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Il “vino naturale”, corsi e ricorsi storici di un movimento che non sa fare sistema

24 Giugno 2025 Alessandro Franceschini
Il “vino naturale”, corsi e ricorsi storici di un movimento che non sa fare sistema
© Z. Lazarevic - Unsplash

Le polemiche emerse durante l’ultima edizione del Vinitaly hanno radici antiche, se non endemiche alla stessa genesi del movimento. Ripercorriamo alcune tappe di un comparto che da sempre ha il potere di accendere dibattiti e attirare l’attenzione di media e appassionati

Riavvolgiamo il nastro a 15 anni fa. Alla fine del novembre del 2010 si svolse a Milano una manifestazione che, sin dall’inizio della sua genesi, suscitò un vespaio di polemiche all’interno del cosiddetto mondo del “vino naturale”, e non solo. Si chiamava Semplicemente Uva e la organizzò il giornalista Davide Paolini, voce enogastronomica molto conosciuta dell’epoca grazie alla trasmissione radiofonica Il Gastronauta, trasmessa da Radio 24.

L’inizio della polemica

La concomitanza di quella fiera, che andava a inserirsi all’interno del già ricco palinsesto di eventi annuali che era possibile annoverare in quel filone, con un altro appuntamento, La Terra Trema, organizzato presso il Leoncavallo di Milano, scatenò una polemica che si consumò soprattutto su blog e forum, meno sui social (Facebook era sbarcato solo due anni prima). Il tutto assunse tratti anche molto aspri e duri quando Porthos, rivista cult diventata punto di riferimento anche per appassionati e produttori di “vino naturale”, annunciò non solo la sua partecipazione alla fiera di Paolini, ma anche l’organizzazione al suo interno di una serie di appuntamenti di approfondimento e convegni, oltre alle consuete degustazioni (Il resoconto dei convegni e degli incontri che si svolsero durante Semplicemente Uve, ai quali parteciparono figure centrali del mondo del “vino naturale” come Nicolas Joly, Elisabetta Foradori e Giovanna Morganti, sono riportate all’interno di Porthos 36, pubblicato nel 2011).   

Le ragioni della contrapposizione

Volarono, come si suol dire in questi casi, gli stracci. Prima, durante e dopo. Le accuse di aver venduto l’anima al diavolo, rivolte ai produttori che avevano deciso di partecipare a una manifestazione organizzata da un giornalista che lavorava per la radio di Confindustria si contrapposero alle esigenze di chi invece rivendicava la volontà di esercitare il proprio ruolo, sia sociale che politico, anche in luoghi diversi da quelli più classici e protetti di questo movimento, cercando di evitare il confinamento all’interno di quella che veniva sentita da molti come una sorta di “riserva indiana”.

Le recenti diatribe al Vinitaly

A 15 anni di distanza si è ripetuto, più o meno, lo stesso copione. Le polemiche che hanno animato l’ultimo Vinitaly, tutte raccontate e intercettate da Vittorio Ferla sul Gambero Rosso, hanno riguardato quasi esclusivamente il mondo del “vino naturale”. La decisione di essere presenti con un proprio stand nei padiglioni di Verona da parte di Nino Barraco e Arianna Occhipinti, entrambi produttori siciliani e figure non certo secondarie di questo settore, ha scatenato prima l’ira di Angelino Maule, fondatore e deus ex machina di VinNatur e poi le ulteriori puntualizzazioni da parte di Gabriele Da Prato, tra i fondatori ed ex presidente di Vi.Te, due delle principali associazioni della “tipologia”.

Una storia di divisioni e scissioni

Scontri e polemiche, d’altronde, non stupiscono chi ha seguito le vicende che hanno scandito la storia dei movimenti del “vino naturale” sin dalla loro genesi, che più o meno è possibile datare intorno all’inizio del nuovo millennio. La divisione in fazioni e la necessità di distinguersi sino alla scissione ha fatto, infatti, parte del Dna di questo universo sin dalla sua nascita.In principio fu solo Vini Veri (2003), consorzio il cui momento partecipativo fondamentale era ed è tuttora l’appuntamento di Cerea, in provincia di Verona. Da una prima scissione nacque VinNatur (2005) con relativa fiera che ora si svolge a Gambellara, in provincia di Vicenza.

Il tentativo di reunion fallito a Milano

Da una seconda nacque ViVit (2010), poi trasformatasi in  Vi.Te (2012), che insieme ai biodinamici italiani di Renaissance des Aoc (associazione fondata in Francia dal celebre produttore del Clos de la Culée de Serrant Nicolas Joly nel 2001 con una sezione anche in Italia cresciuta grazie al lavoro di Stefano Bellotti, produttore in quel di Novi Ligure) sbarcò proprio nella tana del lupo, il Vinitaly in uno spazio ad hoc.
Nessun tentativo di ricomposizione ha funzionato nel corso degli anni, nemmeno l’ultimo in ordine di tempo, quello del 2023 quando, sempre a Milano (viene da pensare non sia un caso) due delle tre anime – VinNatur e Vi.Te – diedero vita ad una manifestazione congiunta, Vi.Na.Ri (Vignaioli Naturali Riuniti), che sembrava poter segnare l’inizio di una ricomposizione lungo un percorso, tutto da costruire, di regole comuni da adottare, ma a quanto invece pare naufragata.

Un mosaico di posizioni inconciliabili

Le motivazioni che negli anni hanno portato a questa diaspora dei diversi movimenti, con relative separazioni che a molti osservatori hanno sempre ricordato le vicende che hanno contraddistinto la storia della sinistra parlamentare ed extra parlamentare italiana, sono molteplici e di varia natura.
Distinte visioni commerciali, divergenze tecniche in vigna o in cantina, opposti tentativi di definire l’ambito di azione, non esistendo alcuna certificazione comune, se non quella biologica di una parte di loro o anche l’adesione ai dettami biodinamici di un’altra parte minoritaria. A questo bisogna aggiungere la messa in discussione, da parte di alcuni, del concetto stesso di certificazione, così come di un relativo piano di controlli, interni ed esterni, per verificare le reale “naturalità” degli appartenenti a questo mondo. Tutto questo e tanto altro, nel corso degli anni ha disperso energie e spinto più alla divisione che all’unione in nome di obiettivi comuni.

La partecipazione agli eventi fieristici

Che lo scontro poi spesso avvenga sempre in merito alla partecipazione o meno alle fiere del vino, è un altro tema che non deve stupire. Le fiere, in particolare quelle che si svolgono in concomitanza con il Vinitaly di Verona, erano e rimangono il principale luogo non solo di aggregazione di tutti gli attori del mondo del “vino naturale”, ma anche di affermazione dell’esistenza di questi movimenti. In assenza di una certificazione comune, la sola partecipazione a una di queste fiere sancisce il proprio status di “naturale”, così come il non andarci più ne connota una sorta di tradimento e conseguente allontanamento.

I cambiamenti del movimento e la notorietà

Se liti e divisioni sono una costante, nei 25 anni di esistenza di questo mondo molte cose sono cambiate anche al loro interno. Sul carro dei “vini naturali” sono saliti a bordo molti più produttori di un tempo, per reale sensibilità alle istanze che lo fecero nascere così come per convenienza. Alcune delle new entry sono state in grado di mettere d’accordo anche buona parte della critica mainstream con i loro vini, altri sono stati giudicati troppo sgrammaticati persino dalle stesse associazioni che ne definiscono da sempre il perimetro: ne è un esempio la lettera dal titolo “La forma e la sostanza, le luci e le ombre” scritta dal critico Sandro Sangiorgi, fondatore di Porthos, e Paolo Vodopivec, presidente di Vini Veri nel 2022, una sorta di nuovo manifesto che critica coloro che in nome dell’assenza di interventismo in vigna o in cantina giustifica puzze e instabilità nel bicchiere.

Exploit commerciale e trend di costume

Il successo di questa “categoria non categoria” in questi ultimi anni è comunque un dato di fatto inconfutabile: sono sorte distribuzioni specializzate in “vini naturali”, sono nate enoteche e wine bar di riferimento per chi li ama e cerca, molti di questi produttori hanno debuttato nelle carte dei vini di blasonati ristoranti posizionandosi al fianco, anche nel prezzo, dei più celebri (e convenzionali), colleghi della Penisola. Tante nuove e giovani generazioni si sono avvicinate al mondo del vino proprio perché affascinate da questo universo, tanto da farlo diventare anche un fenomeno di costume, alimentando atteggiamenti che potremmo definire da wannabe, consacrazione definitiva di uno status modaiolo e di tendenza. 

Il sorpasso a destra

Tra i tanti cambiamenti sorti nel corso degli anni, però, è avvenuto quello che è possibile definire come una sorta di “sorpasso a destra”. Se il bisogno di affermare la propria maggior “naturalità” – la partecipazione o meno a determinate fiere è parte di questo atteggiamento – ha catalizzato i pensieri di molti dei protagonisti di questo movimento, sembra che gli stessi non si siano accorti che altri abbiano fatto loro molte delle tematiche fondative di questi movimenti. L’attenzione alla biodiversità delle colture, la difesa dell’integrità e fecondità dei suoli, la sostenibilità ambientale ma anche sociale ed economica, solo per citare alcuni dei temi che questi produttori hanno cercato di evidenziare in tempi non sospetti, nel frattempo sono diventati attuali, anzi, centrali per il business di chiunque operi nel vino, ma non solo.

Ribaltamento di ruoli e visioni

La parola “naturale” è diventata una sorta di passepartout per molti, anche per chi vuole farsi un salutare impacco di greenwashing, sia essa un’azienda che produca vino biologico o zuppe di V gamma. Le istanze legate alla sostenibilità hanno varcato da tempo i recinti del “piccolo e bello” e animano i pensieri e soprattutto bilanci, spesso ben redatti e certificati da enti esterni, di aziende che da sole coprono quasi l’intera produzione di tutto il “vino naturale” presente in Italia (L’unico tentativo di provare a quantificare e schematizzare, anche numericamente, il mondo del vino naturale italiano è stato realizzato dal gruppo di autori Servabo con la pubblicazione del volume dal titolo “Il vino naturale, i numeri, gli intenti e altri racconti” nel 2013).

Con buona pace di chi ritiene centrale il tema dell’appartenenza, o non appartenenza, ad una determinata parrocchia o fiera, oggi la definizione delle regole di cosa sia “naturale” o meno, le stanno in realtà dettando altri, che spesso non sanno neanche cosa sia il “vino naturale” o tanto meno le fiere del “naturale”.

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