Raboso e Malanotte: alla riscoperta del rosso del Piave
Lentamente abbandonato a favore di varietà più commerciali e di successo, il Raboso del Piave merita di essere riscoperto, con i suoi pregi e le sue asperità. I produttori locali ci credono fortemente e puntano sulla Docg Malanotte, espressione del suo grande potenziale d’invecchiamento.
«Coltivare Raboso è un ottimo allenamento per la mente del viticoltore. Non si possono fare progetti da qui a dodici mesi, serve una visione più ampia». Antonio Bonotto, titolare dell’azienda Bonotto delle Tezze, è fra i numi tutelari di questo vitigno che un tempo occupava il 95% dell’area vitata lungo il corso del Piave, dall’alta collina fino alla laguna, ma ormai da trent’anni conosce un progressivo declino. «Se alla base non c’è un progetto enologico forte e un legame con il Raboso, spesso viene lasciato da parte», prosegue il produttore, mentre insieme a Elvio Forato, direttore della Cantina sociale di Tezze, ci guida nei luoghi storici di questo vitigno, che oggi conta 600 ettari fra Piave e Veronese.
Bellussera, un’invenzione di successo oggi abbandonata
Il Raboso non è un’uva dalle mezze misure. È difficile in vigna, dove germoglia per primo ed è l’ultimo a maturare, tanto che si vendemmia tra fine ottobre e inizio novembre. La sua vite non ha un portamento eretto, né si appiglia facilmente, in compenso è abbastanza resistente e produttiva. Sfruttandone la vigoria (e l’invenzione del fil di ferro), i fratelli Bellussi di Tezze di Piave (Treviso) hanno dato vita alla fine del Settecento a uno dei sistemi d’allevamento più suggestivi e peculiari d’Italia: la Bellussera. Una tecnica oggi ormai in via d’estinzione, perché non compatibile con la meccanizzazione del lavoro in vigna, ma un tempo largamente diffusa e utilizzata, oltre che per il Raboso del Piave, anche per altri vitigni come Merlot e Verduzzo.
Nella Bellussera centenaria di Tezze il Raboso è maritato al gelso
A Tezze è ancora possibile visitare la spettacolare Bellussera centenaria della famiglia Roveda, mezzadri dei Bellussi, ora conferitori della Cantina sociale di Tezze; un patrimonio vivente della storia produttiva locale. La struttura è imponente, a metà tra la vigna e il bosco: ogni vite è maritata a una pianta di gelso fino a raggiungere 2,5 metri d’altezza, poi i tralci si estendono paralleli al suolo per oltre 5 metri, aiutati dal fil di ferro, andando a formare un intreccio sospeso tra un filare e l’altro. La distanza dei grappoli dal suolo offre una protezione naturale dalle malattie e dalle gelate primaverili, mentre lo spazio sotto i tralci un tempo era occupato da altre colture, legumi e seminativi, andando a formare – con la vite e il gelso per i bachi da seta – un vero sistema integrato per l’attività dei mezzadri.
Raboso in cantina: pregi e caratteristiche
Se la conduzione agronomica del Raboso è per certi versi sfidante, anche in cantina non è di semplicissima gestione. Tannino e acidità a livelli molto elevati gli sono valsi la nomea di “rabioso”, seppur anche il successo come “vin da viajo”, vino da viaggio lungo le rotte della Serenissima; rustico, ma capace di resistere all’ossidazione anche per lunghi tragitti via mare. In passato è stato spesso utilizzato come vino da taglio, anche in altri territori, per dare spalla, acidità e colore. Ha inoltre il pregio di essere particolarmente versatile, può diventare una base spumante per Metodo Classico come un più semplice vino frizzante, un rosso di pronta beva o dalla grande struttura, un passito. Difficilmente viene sovrastato dal legno, grazie alla sua potenza. E come anticipato, regge molto bene l’età: affina ma non invecchia; diverse aziende del territorio conservano in cantina bottiglie degli anni Trenta.
I cavalieri del Raboso
Con l’evoluzione dei consumi il Raboso sembra destinato a un lento, ma inesorabile declino. Ma negli anni Ottanta un gruppo di vitivinicoltori locali si pone l’obiettivo di riscattarne l’immagine, fornendo una nuova chiave di lettura alla tradizione produttiva del territorio trevigiano. Si comincia a sperimentare nella gestione agronomica ed enologica, con impianti più fitti (generalmente guyot tradizionale o modificato) per limitarne la vigoria. “Domarlo” in cantina non è facile, serve un lungo periodo di sosta in legno (6-7 anni). Alla vigilia del nuovo millennio si introduce con successo l’idea di far appassire una parte delle uve, con lo scopo di bilanciare l’acidità del Raboso dando pienezza e maggiore rotondità al vino. Un nuovo stile che presto prenderà la strada della Docg Malanotte.
New wave: la storia prosegue
Accanto a queste tecniche di produzione ormai classiche e diffuse, oggi una nuova generazione di giovani produttori si avvicina al Raboso sperimentando pratiche alternative, senza vincoli con la tradizione: affinamenti in anfora, maturazioni tardive con taglio del tralcio… e se l’impatto economico di questi “vin de garage” è ancora irrilevante, tutt’altro valore ha l’attenzione che ripongono le nuove leve nei confronti di un’uva così bistrattata e difficile. «Siamo riusciti a tenere la fiammella accesa, la tradizione continua con la nuova generazione», commenta Bonotto.
Malanotte del Piave, la Docg del Raboso
Nata nel 2010 ma utilizzabile dalla vendemmia 2008, la Docg Piave Malanotte identifica un nuovo stile di Raboso, dove una percentuale di uve viene fatta appassire per conferire più morbidezza e volume a un rosso naturalmente dotato di spigoli. Il disciplinare prevede:
- uve: Raboso in purezza (Raboso del Piave, ma è ammesso fino al 30% di Raboso Veronese, altro clone della varietà)
- appassimento: dal 15% al 30% delle uve; non è previsto un periodo minimo di appassimento, ma la resa massima è del 40% (mentre da uve fresche è il 65%)
- affinamento: minimo 36 mesi prima della commercializzazione, di cui minimo 12 mesi in legno e 4 in bottiglia
A Borgo Malanotte si respira la storia
La Docg prende nome dallo storico Borgo Malanotte, poco distante da Tezze di Piave. Fu edificato da una famiglia trentina dedita al commercio, i Malanotte, come stazione di posta per il cambio dei cavalli lungo l’antica strada che da Oderzo portava a Trento (il ciottolato romano è stato asfaltato negli anni Settanta). L’impianto seicentesco – tuttora abitato da 150 anime – è ottimamente conservato, una rarità nel nordest che oggi paga anni di urbanizzazione e industrializzazione non controllata dal punto di vista paesaggistico. Ha resistito anche all’impatto della Grande Guerra, qui aspramente combattuta lungo il fronte del Piave, come testimoniano le 355 lapidi del cimitero britannico di Tezze. Malanotte è stato il primo avamposto liberato, nelle notti del 26-27 ottobre 1918, e ancora oggi conserva le tracce del conflitto, con numerosi reperti bellici e resti di trincee.
Note di degustazione
6 Malanotte Docg
Sono circa 25 i produttori che imbottigliano il Malanotte Docg. Fra questi, il Consorzio Vini Venezia (rappresentato dal direttore Stefano Quaggio) ha selezionato con un panel tecnico sei etichette particolarmente rappresentative della denominazione, tutte 100% Raboso Piave.
De Stefani – Malanotte del Piave Docg 2016
Gradazione alcolica: 15,5% vol.
Luogo di produzione: Fossalta di Piave, terreni argillosi (il cosiddetto “caranto”); da unico vigneto
Sistema di allevamento: Guyot
Rubino intenso, al sentore molto tipico di prugna secca e confettura si fondono note di boiserie, spezie dolci. In bocca l’acidità è spiccata e il tannino polveroso, “terroso”, ma abbastanza integrato; si registra una corrispondenza degli aromi.
Anna Spinato – Malanotte del Piave Docg 2015
Gradazione alcolica: 15% vol.
Luogo di produzione: Negrisia, da suoli argillosi (area simile al precedente)
Sistema di allevamento: Guyot
Colore meno carico, naso più balsamico e mentolato, con toni di china, pepe dolce, marasca. Al palato torna la china, insieme a una suggestione umami; il tannino è molto più integrato e fine. È succoso, pieno, più immediato.
Ornella Molon – Malanotte del Piave Docg 2014
Gradazione alcolica: 14% vol.
Luogo di produzione: Campodipietra (Treviso), suoli argillosi
Sistema di allevamento: Guyot
Al colore intenso si accompagna un naso più chiuso, meno fruttato: grafite, cardamomo, toni officinali. Il tannino è un po’ spigoloso, ma integrato; retrogusto e persistenza sono piacevoli, con finale lungo. È il più gastronomico.
Cà di Rajo – Notti di luna piena, Malanotte del Piave Docg 2015
Gradazione alcolica: 14% vol.
Luogo di produzione: San Polo di Piave (vicino a Tezze), zona più vocata per rossi
Sistema di allevamento: doppio capovolto e Bellussera
Molto intenso, dai sentori di vaniglia, mallo di noce, confettura, cioccolato e ciliegia sotto spirito (boero). Il palato è morbido, quasi fin troppo, “amaroneggiante”. Sorso molto lungo, con finale dolce e oleoso. Un’alternativa “piaciona” alla tradizione del Raboso.
Tenuta San Giorgio – Bruma nera, Malanotte del Piave Docg 2015
Gradazione alcolica: 14% vol.
Luogo di produzione: Grave di Papadopoli, terreno ricco di scheletro
Sistema di allevamento: Sylvot classico
Al naso è più sottile, meno esplosivo. Ha un profilo floreale, fresco, speziato, con toni di chiodo di garofano, rosa essicata, fienagione; le note di frutta rimandano alla mora più che alla marasca. Al palato è caldo, morbido il giusto, con sentori di vermouth, rabarbaro, una lieve nota amaricante piacevole. È un Malanotte “alla vecchia maniera”.
Antonio Facchin – Unno, Malanotte del Piave Docg 2011
Gradazione alcolica: 15% vol.
Luogo di produzione: San Polo di Piave (stessa zona di Cà di Rajo)
Sistema di allevamento: capovolto e Bellussera
È al massimo della sua forma, a 11 anni dalla vendemmia. Le note di legno vecchio, fiori secchi, prugna secca, marasca molto matura, confettura accompagnano un palato morbido, equilibrato. I tannini sono ben integrati e più fini, l’acidità ingentilita dal trascorrere del tempo.
In apertura: il ricamo della Bellussera visto dall’alto (foto del Consorzio Vini Venezia)
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© Riproduzione riservata - 28/10/2022