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Dievole celebra i 30 anni di Novecento e lancia il progetto dei cru

Dievole celebra i 30 anni di Novecento e lancia il progetto dei cru

La verticale di Novecento ha permesso di cogliere l’evoluzione stilistica di questa etichetta iconica dal 1990 ad oggi. Oggi la Cantina toscana, che dal 2012 fa parte del gruppo Abfv Italia, è impegnata in un progetto di valorizzazione del Chianti Classico d’annata dai vigneti più identitari.

Novecento. Come il celebre film diretto da Bernardo Bertolucci. Come il poetico libro di Alessandro Baricco. Come il Chianti Classico Riserva di Dievole che oggi compie 30 anni. Per celebrare questo vino emblematico, il 28-29 ottobre è stata organizzata una due giorni di incontri e degustazioni che si è conclusa con una straordinaria verticale di alcune annate particolarmente significative – incluse la prima vendemmia targata 1990 e l’ultima in commercio, la 2019 – che hanno permesso di comprendere l’evoluzione dell’etichetta nell’arco dei decenni.

Correva l’anno 1090

«Quando Novecento è nato, si celebravano i 900 anni della storia di Dievole, una delle più antiche aziende vinicole della Toscana. Ecco spiegato il significato del nome». Così esordisce Stefano Capurso, executive president del gruppo Abfv Italia, di cui la Casa vinicola chiantigiana fa parte. Il riferimento è ad un documento storico del 1090, il Diplomatico dell’opera metropolitana.
All’interno di questa pergamena, conservata presso l’Archivio di Stato di Siena ed eccezionalmente esposta al pubblico in occasione del trentennale di Novecento, si legge che l’abate del monastero benedettino di Sant’Eugenio concedeva in affitto ad un certo Winizio, figlio del fu Sichelmo e a Rodolfino, figlio di Ardimanno, un pezzo di terra e dei beni fondiari ubicati a “Diulele”, la valle divina. Nel contratto si parla di case, terre, vigne, boschi e corsi d’acqua, per il cui sfruttamento i due affittuari si obbligavano al pagamento di un censo di sei soldi di denari lucchesi, due capponi e tre pani, da consegnarsi ogni anno entro il mese di dicembre.

Una lunga storia

«Novecento è il nostro vino simbolo e per festeggiare i suoi 30 anni abbiamo deciso di tornare indietro nel tempo incaricando Roberta Mucciarelli, docente di Storia Medievale presso l’Università degli Studi di Siena, di effettuare una ricerca per ripercorrere le principali tappe della storia del borgo e della sua vocazione vinicola proprio a partire dal Diplomatico dell’opera metropolitana». Il viaggio tra i secoli si dipana attraverso numerosi passaggi di proprietà, cessioni, parcellizzazioni e ricomposizioni dei fondi. «L’articolata descrizione fornita dagli ufficiali del Catasto Generale Toscano, il famoso Catasto Leopoldino istituito nel 1817 dal granduca Ferdinando IV, mostra che agli inizi dell’Ottocento Dievole era costituita da una casa e annessi, un frantoio da olio, un granaio, una chiesa, una “casa di fattoria” con corte, un pollaio, una “conserva d’acqua” ed un giardino per un’estensione complessiva di 10.170 braccia quadre, corrispondenti pressappoco a 3.458 metri quadri», racconta la professoressa Mucciarelli.

Un tesoro da valorizzare

«Dievole oggi affonda le sue radici in un passato fatto di agricoltura e antiche famiglie, coniuga la sua unicità con la volontà di cercare le specificità di questo territorio speciale, che cambia radicalmente anche solo a pochi metri di distanza, mostrando una variabilità di suoli che forse solo il Chianti Classico può vantare», sintetizza il presidente Capurso.
E c’è un’altra importante fase storica da ricordare: l’acquisizione, nel 2012, da parte della famiglia Bulgheroni, che sta traghettando il marchio verso il futuro. «La Dievole di oggi fa tesoro di quel che è stato, grazie ad un’agricoltura rigenerativa che parte dal rispetto del suolo e dalla ricerca dell’espressione massima della tipicità attraverso un grande lavoro di parcellizzazione». Con la nuova proprietà, esattamente 10 anni fa, è partito un importante studio dei vigneti e dei suoli per un totale di 150 ettari fra vecchi e nuovi impianti.  Due le principali formazioni geologiche: il Macigno del Chianti e la Formazione del Monte Morello. Il primo conferisce soprattutto concentrazione e profondità; il secondo dona maggiore eleganza e rotondità di tannino.

Il progetto dei vini cru

«Il passo successivo è stato quello di individuare i vigneti più vocati e che avessero un carattere distintivo, un’anima che li rendesse riconoscibili. All’interno di ciascuna vigna abbiamo poi cercato delle aree ancora più identitarie, talvolta perfino pochi filari. È questa la genesi dei nostri cru, a cominciare dalla Gran Selezione Vigna Sessina, a cui è seguito il Chianti Classico Petrignano, che alla sua prima annata si è aggiudicato il riconoscimento di Miglior vino rosso dell’anno per la Guida del Gambero 2023. A breve ne arriveranno altri due, sempre d’annata (2020) ed espressione pura del Sangiovese. Sarà interessante assaggiarli tutti e tre in parallelo, per cogliere le sfumature legate alla provenienza delle uve e alle caratteristiche del suolo». 

1990-2019: una ripartizione in tre periodi

Ma torniamo alla Riserva Novecento, che nasce da una selezione delle migliori uve da diverse vigne aziendali. Il Sangiovese occupa il 95% del blend, con un piccolo taglio di Canaiolo e Colorino. La vinificazione avviene in grandi tini di cemento non vetrificati e l’affinamento di 24 mesi in botti di rovere francese non tostate.
«Assaggiando le trenta vendemmie di Novecento, dalla 1990 fino alla 2019, ho individuato tre periodi», racconta il wine writer Filippo Bartolotta, che ha guidato la verticale. «Le annate degustate hanno fatto emergere una fotografia precisa di quello che era non solo Dievole in quegli anni, ma tutto il Chianti Classico. Un vino che ha una storia così importante è un marcatore unico di un periodo storico. Anzi, in questo caso, di tre. Fino all’ultimo, quello che inizia stilisticamente dal 2013, anno post acquisizione, e arriva fino al 2019, che ci regala un vino portatore di esperienza, visione e territorialità».

Naif, deep purple e contemporaneo

 Il primo periodo, legato agli anni Novanta, potrebbe essere definito naif, quando ancora la formula del Chianti Classico prevedeva la presenza di uve bianche oltre a Sangiovese con un tocco di Canaiolo. Il colore è rosso rubino scarico con riflessi aranciati. Gradazioni relativamente basse, sotto i 13% vol. Il secondo periodo, dalla fine degli anni Novanta fino al 2012 è stato ribattezzato da Filippo Bartolotta come deep purple.
«È un momento di grandi euforie tecnologiche alla ricerca della concentrazione, della struttura e di alcuni tratti “internazionali”. La barrique comincia ad imperversare dovunque come la panacea di tutti i mali e la maggior parte delle aziende, incoraggiata da giornalisti e dal mercato spinge l’acceleratore su vini estrattivi, potenti e talvolta troppo dominati dal legno. Eppure anche in questo caso, a distanza di qualche anno, si intravedono i tratti di un Chianti Classico con una certa energia grazie al raffinato e potente terroir di Vagliagli».
Si arriva così al periodo contemporaneo, dal 2013 ad oggi. Dievole intraprende un nuovo percorso dando vita a vini dai colori brillanti, dotati di maggiore acidità e agilità rispetto al passato.
«Sono vini di terroir, ricchi di energia, espressività e di una precisione impeccabile», commenta Bartolotta. Il risultato di un’agricoltura di precisione in vigna e di un approccio il più rispettoso possibile in cantina, dove le vasche di cemento e le grandi botti di rovere prendono il posto del legno piccolo.

Di seguito le nostre note di degustazione dei vini in assaggio

1990

Sentori di arancia rossa, sottobosco, spezie dolci. In bocca è ancora citrico, vivo, con un tannino disteso e una nota salty molto intrigante. Ottimo equilibrio.

1993

L’olfatto è più giocato sulle note terrose, di finferli e porcini essiccati, ma anche cuoio. Palato fresco, c’è ancora energia e slancio. Leggermente più ossidativo del precedente.

1995

Bouquet floreale, tannino composto, buona nota sapida. È più esile dei precedenti: l’alcol scende a 12,1% vol.  

2006

Certamente un ottimo vino ma poco “chiantigiano”, dal piglio internazionale come richiesto dal mercato all’epoca. Viola, cacao, nota ferrosa e una tannicità legata alla barrique che si rivela anche nei due vini successivi

2004

Ciliegia, caffè e una caratteristica nota iodata. La concentrazione materica è notevole, ma l’acidità aiuta ad alleggerire il muscolo.

2001

Nota mentolata, cedro, testa di fiammifero, rabarbaro e china. L’alcol si alza (ma siamo sempre intorno ai 13,2% vol.) contribuendo ad apportare intensità e rotondità.

2016

Viola mammola, ribes, aneto, liquirizia, elicriso, mentuccia. Al naso come al palato tutto è sussurrano. Acidità importante, 6,6 g/l, a fronte di un ph basso. Deve ancora distendersi, conserva una certa austerità. Le premesse sono ottime.

2018

È meno tagliente e più sapido del precedente. Colpisce per il frutto decisamente succoso e croccante. Estrattivo e con una bella nota minerale.

2019

Torna il coté succoso di frutta rossa. Il tannino si deve ancora polimerizzare e distendere. È giovane, ma ha dalla sua un ottimo potenziale.  

Foto di apertura: nel Riserva Novecento di Dievole il Sangiovese occupa il 95% del blend, con un piccolo taglio di Canaiolo e Colorino

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© Riproduzione riservata - 16/12/2022

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