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Vigneti La Selvanella, i 50 anni della Riserva

Vigneti La Selvanella, i 50 anni della Riserva

La storica Cantina di Radda in Chianti ha festeggiato a Vinitaly questo importante anniversario. La scelta di produrre un unico vino, massima espressione della ricerca stilistica aziendale. Il restyling della bottiglia e la verticale dal 1969 al 2019.

Cinquant’anni fa alla Fattoria La Selvanella di Radda in Chianti avevano già capito tutto. Ossia che i 50 ettari che abbracciano la collina di proprietà meritavano di essere piantati in esclusiva a Sangiovese con l’obiettivo di produrre una grande Riserva.

Una scelta lungimirante

«Oggi sembra scontato, ma per l’epoca fu una decisione innovativa, considerando che nel disciplinare del Gallo Nero erano ammesse diverse varietà, comprese quelle a bacca bianca», ha spiegato il direttore di tenuta Alessandro Zanette durante una verticale al Vinitaly che ha ripercorso mezzo secolo di storia aziendale in sei calici. «Da subito si è scelto di seguire la grande vocazione dei terreni, alla ricerca della migliore espressione dell’annata e del vitigno». Sono passati i decenni, ma l’impostazione produttiva è rimasta invariata: un unico vino da single vineyard.

La voce del territorio

«Si tratta di uno dei primissimi cru di tutta la regione, e a tutt’oggi il più grande dell’Uga (Unità geografica aggiuntiva) Radda in Chianti», ha precisato il giornalista Aldo Fiordelli, che ha moderato la degustazione. Siamo al centro dell’areale Docg, la parte più vicina ai monti del Chianti, con un clima più fresco e vini longevi, caratterizzati più dall’acidità che dal tannino. I vigneti della Selvanella, in particolare, figurano tra i più alti della denominazione: la base è situata intorno ai 300 metri e i filari salgono fino ai 600 della sommità. La collina – in posizione solitaria, soleggiata e ventilata – gode di tutte le esposizioni: da nord-est a sud-ovest. Le viti sono il frutto di una selezione massale di antiche piante madri già presenti in loco negli anni ’20-’30 del secolo scorso.
«Produciamo una Riserva fortemente territoriale, che parla con la voce di Radda in Chianti», prosegue Zanette. «In passato i vini erano piuttosto nervosi, austeri e non fu semplice proporsi sul mercato. Ma la fedeltà e il rispetto dell’identità stilistica nel tempo hanno premiato gli sforzi aziendali ponendoci come una delle realtà più apprezzate della zona».

Le bottiglie protagoniste della verticale al Vinitaly

In vigna

Con l’agronomo Marco Viciani il discorso si concentra sulla gestione in vigna. «Il sistema di allevamento è a cordone speronato, con una resa di 50 q/ha. La base della collina è ricca di argilla che trattiene l’umidità, mentre salendo crescono la quantità di galestro e la friabilità del terreno». Questo permette di “giocare” con le 31 parcelle in cui è stato suddiviso il vigneto in base all’andamento climatico della vendemmia. «In annate piovose le partite di uva più interessanti si trovano in alto; in quelle più siccitose è la fascia bassa a offrirci un’espressione più compiuta». Dall’unione delle migliori unità nasce la selezione atta a diventare Riserva.

In cantina

All’enologo Francesco Bruni il compito di dettagliare quello che succede dopo la raccolta. «Premetto che si tratta di un vino di vigna più che di cantina. La vinificazione tradizionale in rosso avviene in acciaio, l’affinamento in legno grande. Il nostro approccio è pragmatico: l’interpretazione dell’annata è fondamentale per la scelta dei lieviti e la durata di eventuali macerazioni a cappello sommerso».
La prima annata in produzione risale al 1969; oggi è in commercio la 2019. Per celebrare questi 50 anni è stato fatto un restyling del packaging. Si è deciso di tornare a una bottiglia più bassa di vetro bruno. La litografia della fattoria è stata ingrandita e sono stati ripresi alcuni elementi delle etichette del passato, come la lunetta sulla parte alta che riporta l’annata e la banda laterale con la scritta Riserva. «Abbiamo voluto dare un’immagine classica, leggendo il passato attraverso i codici contemporanei», ha concluso Zanette.

La degustazione di sei annate

La Cantina possiede un archivio attentamente conservato (circa 350 bottiglie per ogni annata), che ha permesso di tornare indietro nel tempo e degustare sei vendemmie iconiche e ancora oggi particolarmente espressive.

1969

Bella evoluzione con l’inconfondibile acidità chiantigiana ancora croccante. Cosa inusuale per l’epoca: è stato imbottigliato con un piccolo residuo naturale di acido malico. Al naso note di prugna secca, sottobosco, tamarindo e polvere da sparo. Grande “masticabilità” in bocca e notevole persistenza. Ancora vivo e coinvolgente.

1971

Il pendaglietto presente sulla bottiglia ricorda come nel 1973, durante una degustazione alla cieca, si meritò il titolo di “migliore espressione di Chianti Classico” dell’annata 1971. Nel profilo olfattivo s’intrecciano note di elicriso, macchia mediterranea, liquirizia, marmellata di arancia, cioccolato al latte. In bocca è cremoso, con tannino fine e sorprendente sapidità.

1986

Senza dubbio una delle più belle espressioni in assoluto, nonché la prima annata ad aggiudicarsi i Tre Bicchieri del Gambero Rosso. Citronella, arancia candita, prugna, ma anche note foxy di selvaggina da piuma, viola e rabarbaro: sono questi i sentori più caratteristici di un naso elegantissimo. In bocca è teso, asciutto, con un tannino più nervoso, seppur denso e vellutato. Acidità brillante da fuoriclasse.

1995

Naso ancora giovane e scattante di violetta, cuoio, pelliccia, nocciolo di ciliegia, humus e radice. Rispetto alle annate precedenti, il corpo appare più sottile, con un’acidità rinfrescante, lunga e vivace. Il tannino si offre con una grana un po’ rustica, ma è ben risolto.

2006

Considerata una grande vendemmia in Toscana e non solo. Bouquet inebriante di tabacco biondo, tamarindo, fungo secco, ciliegia e croccante alla nocciola. Il sorso è pieno, concentrato, con una trama tannica vellutata e gessosa. La volumetria e la materia esaltano l’impronta balsamica e mediterranea. Un calice in perfetto equilibrio.

2019

Annata fresca e piovosa, meno siccitosa rispetto a quelle immediatamente precedenti e successive. Ci ha restituito un vino che ricorda lo stile delle vecchie decadi. Incenso, rosa macerata, sentori pepati ed erbacei al naso. In bocca l’acidità è ben integrata, la struttura è leggiadra e la chiusa fruttata

Foto di apertura: l’enologo di Vigneti La Selvanella Francesco Bruni, l’agronomo Marco Viciani, il direttore di tenuta Alessandro Zanette e il giornalista Aldo Fiordelli

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© Riproduzione riservata - 16/05/2023

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