In Italia In Italia Jessica Bordoni

La enogioventù: lo spirito innovativo di Simone Cotto alla Cantina Pelissero di Neive

La enogioventù: lo spirito innovativo di Simone Cotto alla Cantina Pelissero di Neive

Classe 1999, maturità alla scuola enologica di Alba, dal 2019 affianca la madre Ornella alla guida della storica azienda di famiglia. Passione, impegno e voglia di misurarsi, anche a costo di allontanarsi dalla visione di chi lo ha preceduto.

Quando sei di Neive e la tua famiglia produce Barbaresco da tre generazioni è inevitabile che i tuoi primi ricordi siano legati al mosto. Così come è altamente probabile che tu scelga di occuparti a tempo pieno di produzione vinicola. «Quando ero bambino, già a 6-7 anni passavo i pomeriggi a etichettare le bottiglie insieme a nonno Pasquale. I giorni più belli erano quelli in cui lui mi faceva salire sopra il trattore e giravamo in mezzo ai filari. Sarà per questo che oggi l’attività che preferisco svolgere è proprio quella in vigna». A parlare è Simone Cotto, classe 1999, che dal 2019 affianca la madre Ornella Pelissero nella gestione della Cantina di famiglia Pasquale Pelissero.

Il confronto-scontro quotidiano con mamma Ornella

«Il nonno è mancato nel 2007, quando avevo soltanto otto anni, ma la sua figura è stata molto importante», ricorda il giovane produttore. «È stato lui a far scoccare in me la scintilla. Il modo in cui si prendeva cura delle viti – mai un tralcio fuori posto, come se fossero delle bomboniere – resta un esempio da seguire».
Dopo i sei anni alla scuola enologica di Alba, Simone entra subito in azienda a tempo pieno, con la voglia e la convinzione di poter dare il suo contributo. «Gli scontri con mamma sono all’ordine del giorno. Lei è decisamente “tradizionalista”, mentre io ho una visione più moderna. Quando sono arrivato, ho cercato di ridurre la tannicità dei vini, di renderli un po’ più morbidi così da non doverli aspettare troppo a lungo. Siamo una realtà medio-piccola: possediamo 8 ettari e facciamo circa 50 mila bottiglie all’anno. Abbiamo l’esigenza di far girare il più possibile le bottiglie dell’annata corrente per far spazio a quella successiva».

Pasquale Pellissero Simone Cotto
I vigneti di proprietà a Neive, uno dei tre comuni dove si produce il Barbaresco

Simone Langhe Nebbiolo: assunzione di responsabilità

Lo spirito innovativo di Simone si trova di fronte il piglio decisionista di sua madre Ornella che, come lui stesso ci racconta «sul Barbaresco per il momento non mi lascia margine d’azione». Così lui ha iniziato a prendersi i suoi spazi altrove, creando un Langhe Nebbiolo che porta il suo nome. Vinificato rigorosamente in acciaio per 12 mesi, è il contraltare dell’altro Langhe Nebbiolo aziendale, Pasqualin, che invece omaggia il nonno e sosta un anno in botte. Insomma: due espressioni antitetiche dello stesso vitigno che mettono a confronto due generazioni lontane eppure vicine. «Sull’etichetta c’è il mio nome e questa scelta è ovviamente un’assunzione di responsabilità. È un rosso dai sentori di rosa, violetta, piccoli frutti rossi e un pizzico di pepe nero e cardamomo. Al sorso è deciso, fresco, grintoso, da “sbicchierare” in compagnia senza troppi pensieri». Decisamente più caldo e avvolgente il Langhe Nebbiolo Pasqualin si esprime con note fruttate di lampone e ribes, poi tabacco e cacao.

50 vendemmie di Barbaresco Cascina Crosa

L’azienda Pasquale Pelissero lavora in maniera sostenibile, limitando gli interventi in vigna e l’uso di prodotti di sintesi per cercare di ridurre l’impatto sulla terra e l’ambiente. La maggior parte dei filari si estende in un corpo unico in località Cascina Crosa, in gran parte reimpiantati negli anni Novanta. Ma non il vigneto storico da cui nasce il Barbaresco Cascina Crosa: «Si tratta di un appezzamento di circa 1 ettaro, che è stato impiantato 65 anni fa da nonno Giuseppe e si trova proprio sotto il campanile della chiesa di Neive, dove l’orologio batte anche i quarti d’ora. Quando siamo in vigna, le campane cadenzano le nostre giornate». È da lì che nascono le 4 mila bottiglie del Barbaresco Cascina Crosa, affinato in botti di rovere francese da 25-30 ettolitri vecchie di 35 anni e più. Il sorso ampio, rotondo, piacevolmente sapido e minerale, con un tannino finemente cesellato. «La prima annata risale al 1971 e la vendemmia 2021, commercializzata proprio quest’anno, segna il 50°», conlude con un pizzico di orgoglio Simone.

La produzione dalla micro Mga San Giuliano

Nel suo cuore, però, c’è anche un’altra vigna più unica che rara: San Giuliano. «È una delle 66 Menzioni geografiche aggiuntive previste dal disciplinare del Barbaresco; fino al Fino al 1995 era Mga Gallina, poi c’è stata la suddivisione. Io lo definisco un luogo magico, con il caratteristico ciabot, ossia una piccola casetta in mattoni che domina la domina collina e la vigna. È di proprietà della Curia oltre che Patrimonio culturale, all’interno c’è la statua di Santo Stefano. Nel 2010 abbiamo ristrutturato le porte e finestre in legno che fece il mio bisnonno Giuseppe a inizio Novecento». Le uve vengono utilizzate per la produzione del Barbaresco Bricco San Giuliano, circa 8 mila bottiglie, e della Riserva Ciabot, intorno alle mille. «Anche in questo caso utilizziamo botti grandi, ma nuove, mentre le viti hanno circa 25-27 anni, contro i 65 di Cascina Crosa. Qui il Barbaresco rivela un profilo organolettico più tannico, corposo e possente. Si evolve più lentamente, bisogna aspettarlo un po’ di più».

Lo spazio agli altri vitigni e il sogno del Moscato

Da ricordare anche l’impegno sul fronte della Freisa e della Favorita, varietà sempre meno presenti in Langa, che i Pelissero hanno scelto di non estirpare per mantenere il legame con le radici di famiglia. In Cantina si producono anche Dolcetto, Barbera d’Alba Superiore, Sauvignon (grande passione di mamma Ornella), un rosato da uve Nebbiolo e due bollicine, tra cui l’Alta Langa Docg. «Il mio sogno nel cassetto è aggiungere alla gamma anche un Moscato d’Asti. Papà è originario di quelle zone e io sono cresciuto con il cuore diviso tra Nebbiolo e Moscato. È un’uva difficile da gestire, il mercato è saturo… insomma, sulla carta i contro sono decisamente più dei pro. Ma io sono una persona tenace quindi mai dire mai».

Foto di apertura: Simone Cotto e sua madre Ornella, che insieme gestiscono la storica azienda di famiglia

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© Riproduzione riservata - 06/09/2024

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