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Alle radici del Lugana: Le Morette dalle barbatelle al bicchiere

Alle radici del Lugana: Le Morette dalle barbatelle al bicchiere

Al ristorante Cracco di Milano la lectio magistralis (con prova pratica) di Le Morette su come nasce una barbatella. Accompagnata dalla verticale dei Lugana Mandolara, Benedictus e Riserva.

L’elegante boiserie acquamarina e l’innestatrice a pedale. Gli stucchi ottocenteschi e una pila di tralci da incastrare con una pratica contadina. Ossimori solo apparenti che hanno dato vita a “barbatelle in galleria”, l’appuntamento con cui Le Morette, storica azienda vivaistica e vinicola di Peschiera del Garda, ha fatto “assaggiare” alla stampa di settore una fase poco reclamizzata, ma fondamentale, della viticoltura e del ciclo di produzione del vino: l’operazione dell’innesto di un tralcio di vitis vinifera su un piede di vite americana, vale a dire il battesimo di una barbatella con la tecnica che ha permesso di mettere un freno al flagello della fillossera.
La lectio magistralis, con prova pratica annessa, è andata in scena nel salotto meneghino dalle atmosfere art decò di Carlo Cracco, sotto le cupole della Galleria Vittorio Emanuele; ed è stata accompagnata da una verticale dei vini di Le Morette: Mandolara, Benedictus e Riserva. Un viaggio alle radici del Lugana e delle sue possibilità espressive.

L’ingrediente di una vigna

Il poco convenzionale esperimento non poteva non calamitare decine di curiosi attraverso i vetri bombati dell’elegante dehor, con gli sguardi ipnotizzati dal celebrity chef e dalla collettiva prova amanuense: la gemma in una mano, il portainnesto nell’altra e una lama azionata a pedale che con un paio di colpi cuce la nuova pianta. E se noi ci mettiamo 20 minuti per realizzare tre “pressapoco”; gli addetti dell’azienda confezionano in media 6 mila talee al giorno. Un lavoro che ancora oggi viene svolto manualmente. Il senso della prova, ha spiegato Paolo Zenato che assieme al fratello Fabio rappresenta la terza generazione alla guida Cantina, sta proprio nel trasferire “l’importanza della materia prima”.
«Come gli ingredienti e la loro valorizzazione esaltano un piatto in una cucina prestigiosa, così l’innesto di una tralcio rappresenta il momento zero di una vigna, che poi diventerà uva e vino di qualità».

Le Morette
Carlo Cracco alle prese con una prova di innesto sotto lo sguardo attento di Paolo Zenato

Know how e ricerca sul Turbiana

Del resto cuore pulsante dell’azienda, fondata 60 anni fa da Gino Zenato e che oggi ha circa 50 ettari di vigneti divisi tra le tenute a San Benedetto di Lugana e quella di Desenzano del Garda, è sempre stata l’attività vivaistica. Tanto che Le Morette ha tenuto a battesimo la gran parte dei vigneti del territorio negli ultimi 50 anni. Un know how profondo quello sul Turbiana, testimoniato dal ruolo di primo piano, in partnership con l’Università di Milano, sui programmi di sperimentazione e ricerca di questo vitigno avviati di recente dal Consorzio di tutela. Un piano che ha portato alla registrazione di alcuni nuovi cloni della tipologia dopo anni di microvinificazioni di circa 30 diversi biotipi individuati sul territorio e coltivati in un campo di collezione.
Il progetto ha fatto emergere la peculiarità del Lugana: un caso probabilmente unico in Italia, con un elevato grado di conservazione del germoplasma (propio in virtù della moltiplicazione viticola dello stesso vivaista) che ha consentito un migliore adattamento della pianta al territorio.
Una stabilità genetica che ne ha allungato la vita (i vigneti arrivano a una media di oltre 40 anni), saldato il legame con il territorio e sviluppato tratti distintivi e riconoscibili nei vini in relazione alle peculiari argille dell’area.

Il futuro nella genetica

«Accendere i fari del mercato sulle molteplici capacità espressive del Lugana è la direzione in cui stiamo remando da qualche anno assieme a tutti i produttori del territorio», spiega Fabio Zenato, fresco presidente del Consorzio di tutela della Doc. «In questo sentiero si inseriscono il lavoro di zonazione e l’introduzione della tipologia Riserva. E naturalmente i progetti sui cloni di Turbiana, il cui senso è proprio quella della ricerca sulla caratterizzazione intravarietale, che si traduca in futuro in vini sempre più personali e capaci di tradurre il territorio. Sul tema la prospettiva più interessante aperta sul futuro della ricerca vivaistica è la cisgenetica, che permette ad esempio di rendere di rendere i vitigni più resistenti a talune malattie, conservando al contempo il patrimonio ampelografico».

I nostri assaggi

Mandolara Lugana Doc 2021

Espressione più paradigmatica ed identitaria del Lugana d’annata, senza ricerca di vigna o di affinamenti. Figlio di un’annata calda ma con buona dotazione idrica, capace di regalare omogeneità nel percorso fisiologico della pianta. Verticalità e sapidità che arrivano al calice direttamente dai suoli a prevalenza argillosa del territorio. Naso profumatissimo tra pesca, lime, pompelmo e magnolia. E un bouquet di erbe aromatiche fresche. In bocca è verticale, diretto e accompagnato alla chiusura dalla tipica scia ammandorlata.

Benedictus Lugana Doc 2021

Lugana da singola vigna, un appezzamento di 3,5 ettari a San Benedetto di Lugana con piante di 47 anni e rese più basse. Le uve, raccolte 3/4 settimane dopo l’epoca ordinaria, fermentano con contatto con le bucce per 12 ore sfruttando l’azione di lieviti indigeni. Il risultato è un profumo più complesso: alla frutta esotica si intonano eleganti note di fiori d’acacia e accenni di spezie.
L’affinamento in tonneau per 5 mesi di una parte del vino sottolinea il sorso, che resta freschissimo, più che marcarlo.

Lugana Riserva 2019

Un anno di affinamento in più di quanto prescritto da disciplinare (3 invece di 2) disegna un vino dalla struttura e complessità diametralmente opposte all’immediatezza della versione base, una testimonianza della poliedricità espressiva del vitigno. Fermentazione condotta da lieviti naturali e sosta lunga “sur lie” per almeno 12 mesi. Un terzo del vino affina in botti di rovere da 500 litri, due terzi in vecchi contenitori di cemento. Manto giallo dorato, grande intensità olfattiva fruttata e floreale, con note di cedro e ananas, ginestra e timo. Sorso saporito, materico, elegante che delinea un carattere di sicuro avvenire.

Mandolara Lugana Doc 2016

Annata dall’andamento climatico regolare, dalle temperature calde e dalle precipitazioni regolari che hanno favorito la maturazione delle uve. Pur non pensato per l’invecchiamento, il nerbo del vino è stato solo scalfito dal tempo. Un’unghia di ossidazione lascia il naso a toni di mango e papaya. Ancora fresco, integro e godibile al palato.

Benedictus Lugana Doc 2016

Un vena acida ancora ben presente e uno scheletro minerale più intatto in evoluzione rispetto al Mandolara 2016. Olfatto intriso di agrumi, spezie dolci, cannella, frutta a polpa bianca e un ricordo di gesso e nocciola tostata. Caldo, avvolgente e marcato da una sapidità composta e gustosa. Il finale è lungo e piacevolmente amaricante.

Lugana Riserva Doc 2012

Millesimo significativo che segna l’esordio “fuori sperimentazione” della tipologia Riserva, nata nel 2011. Viene da un’annata bagnata e da scelte produttive dell’epoca che prevedevano un’uso importante del legno (oltre il 40% del vino) rispetto alla versione moderna. I sentori terziari emergono al naso, le note speziate di torrefazione si intrecciano ai profumi di frutta in confettura e caramello salato. In bocca è più grasso dei fratelli minori. Evoluto, largo, pieno, avvolgente, persistente.

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© Riproduzione riservata - 06/02/2023

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