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Studio Agronomico Sata: la “case history” Degli Azzoni

30 Novembre 2021 Aldo Fiordelli
Studio Agronomico Sata: la “case history” Degli Azzoni

La storica famiglia Degli Azzoni con vigneti che vanno dalle Marche al Trentino si è avvalsa della collaborazione con gli agronomi Sata anche per produrre uva bio. Dalla Precision Farming al Progetto Biopass, sono state messe in campo tutte le scelte orientate alla tutela della biodiversità, come alleanza verso l’equilibrio produttivo e la qualità del vino.

Degli Azzoni è una grande realtà, in ambito rurale agricolo, che coinvolge diversi territori gestiti da una famiglia storica e comprende una produzione viticola eclettica dalle Marche alla Toscana, dal Veneto al Trentodoc. L’evoluzione verso la produzione di uva bio, che ha accompagnato un percorso parallelo per altre colture erbacee e ortive, è stata avviata con la collaborazione dello studio agronomico Sata. È stato così intrapreso un insieme di attività sperimentali orientate al contenimento dell’impatto e alla valorizzazione dei territori; dalla Precision Farming alla Carbon Footprint fino alla pubblicazione annuale del Bilancio di sostenibilità, nel quale il Progetto Biopass appare come elemento portante delle scelte orientate alla tutela della biodiversità e l’orientamento alla qualità del prodotto.

Con la Precision Farming si tutela un patrimonio

La Precision Farming, con la fertilizzazione a rateo variabile (a partire soprattutto da proprie biomasse generate da sottoprodotti aziendali), è stata protagonista di collaborazioni con istituti di ricerca in progetti europei (Life Vitisom) ed è stata estesa nelle diverse regioni e denominazioni in cui la famiglia è impegnata. Questo ha consentito a Sata di offrire, anche sulla base di confronti oggettivi tra siti e tecniche colturali, indicazioni mirate per conservare o tutelare un patrimonio complesso e diversificato. L’impegno di tutto lo staff tecnico e operativo si estende anche nelle attività di cantina, con la ricerca continua di nuovi percorsi all’insegna dell’integrità; e si concentra in particolare sulla componente più giovane dell’organico, che ne è coinvolta con forte entusiasmo e motivazioni sempre nuove.

Un’azione integrata di tutta la filiera produttiva

Il nostro ruolo è «prevalentemente agronomico», spiega Marco Tonni di Sata, «ma alcuni colleghi si occupano anche della parte enologica. È molto stimolante per noi agire in maniera correlata. Dalla filiera vitivinicola, all’integrazione di conoscenze con la proprietà e il commerciale. Così il lavoro di chi sta a monte non rischia di vanificare quello di chi sta a valle o viceversa nella filiera produttiva. Pensare un vigneto per ottenere un vino bianco, rosato o per un rosso da invecchiamento è molto diverso. Ottimizzare è fondamentale. Il rispetto della materia prima di partenza deve essere supportato da sforzi per garantirne l’espressione fino al vino».

Guidare la pianta è sostenibile

«Per un rosato o una base spumante», prosegue Tonni, «devo lavorare in campagna in modo diverso da un rosso da invecchiamento. Devo privilegiare più profumo e acidità. Guidare la pianta perché produca per le mie esigenze è possibile e di maggiore sostenibilità generale in una visione olistica. Se voglio fare un vino rosso devo avere tanta sostanza nelle bucce. Meno succo, più buccia, acini più piccoli, maturazione fenolica, carico più basso per dare il tempo alla fotosintesi di sintetizzare in modo appropriato».

Il vigneto pensato per un bianco o per un rosso

«In un vino bianco, al contrario», conclude Tonni, «mi interessa di più ciò che ho sotto la buccia: una vendemmia ben pianificata per esaltare i profili aromatici. Ma nel bianco mi interessa anche la sapidità che arriva dai sali minerali del suolo, dove le radici saranno messe in condizione di poterli valorizzare».

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Foto di apertura: secondo gli agronomi Sata, pensare un vigneto per ottenere un vino bianco o rosso è molto diverso © Degli Azzoni

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