Metodi tradizionali per una svolta contemporanea: Vistorta all’Enoluogo di Civiltà del bere
Brandino Brandolini d’Adda ha raccontato il percorso evolutivo della sua tenuta friulana nel nostro “salotto del vino” milanese. Protagonisti assoluti: quattro annate dell’etichetta simbolo e le due espressioni più moderne (e naturali) Bianca e Brando.
Il 20 maggio l’Enoluogo di Civiltà del bere ha ospitato una stimolante degustazione dei vini più rappresentativi di Vistorta. In assaggio una verticale del signature Vistorta (annate 1997, 2003, 2009, 2018), seguita dalle più recenti espressioni di Brando e Bianca (vendemmia 2018). A condurre l’incontro c’erano il direttore Alessandro Torcoli e Brandino Brandolini d’Adda, titolare di questa storica realtà vinicola friulana, affiancato da Alec Ongaro, l’enologo aziendale. Prima di lasciare spazio al racconto dei vini, è d’obbligo un inquadramento aziendale.
Un po’ di storia
Vistorta è un piccolo borgo rurale a nord-ovest del Friuli Venezia Giulia, circa 70 km a nord della Serenissima. La tenuta si trova proprio al centro: una villa neoclassica circondata da sette ettari di parco all’inglese. Ad amministrare la proprietà, circa 220 ettari complessivi, da oltre 150 anni sono i Brandolini, famiglia di “capitani di ventura” che dal Quattrocento vive tra Venezia e queste terre. La fondazione dell’azienda agricola, nel 1872, è legata alla figura di Guido Brandolini, grande appassionato di agricoltura.
«Negli anni’50 e ’60 i miei genitori Cristiana e Brando Brandolini hanno portato avanti una grande opera di restauro, con l’intervento dello scenografo Renzo Mongiardino sulla villa e del famoso architetto paesaggista Russell Page per il giardino all’inglese», racconta Brandino Brandolini d’Adda. «Con loro Vistorta è diventata anche un luogo di contemplazione e di connessione con i ritmi della natura».
Il sogno realizzato di un grande rosso
Brandino Brandolini d’Adda gestisce l’attività dagli anni Ottanta. «Dopo la laurea in Agraria all’Università Texas A&M, ho fatto una serie di esperienze a Bordeaux lavorando allo Château Greysac con il giovane enologo Philippe Dambrine. Proprio lì è nato il sogno di tornare nel borgo friulano per dar vita a un grande vino rosso. La composizione argillosa e calcarea dei terreni di Vistorta, così come la similarità pedoclimatica con il Pommerol e il grande Petrus, mi confermarono che la scelta presa già a fine Ottocento dal mio prozio Guido era quella giusta». Il Merlot era certamente la varietà su cui puntare.
Rientrato nel 1979, Brandino decide quindi di piantare nuove vigne di da affiancare a quelle storiche, alcune addirittura di epoca prefillosserica. «Con spirito nuovo ho cominciato a vinificare nella cantina della barchessa di Cordignano, con la collaborazione di Georges Pauli, grande enologo dei Domaine Cordier, e di Alec Ongaro, all’epoca giovanissimo».
Tutto ruota intorno al terroir
Siamo in una zona piana a ridosso della pedemontana friulana e il vigneto copre una superfice di circa 40 ettari (di cui 25 a Merlot) circondati da boschetti e siepi. Gli ettari a seminativo sono 140: colture di frumento, orzo, girasole, soia, erba medica in rotazione, intercalate dai cover seguendo i principi dell’agricoltura biologica rigenerativa.
«Il nostro terroir è decisamente unico», prosegue Alec Ongaro. «La posizione geografica ci garantisce una ventilazione favorevole. La ricchezza di fiumi e torrenti, invece, ci permette di avere una buona dotazione d’acqua costante, mentre i terreni drenanti consentono alle radici di esplorare in profondità le falde di limo. Le vigne di Merlot hanno un’età media di 25 anni, con alcuni filari risalenti al 1918 nel vigneto Ridiel».
Tra i rossi impiantati ci sono anche Refosco e Cabernet Franc, mentre sul fronte dei bianchi troviamo Il Tocai friulano, Pinot grigio, Ribolla gialla e Chardonnay.
La parabola evolutiva del Vistorta
Il vino simbolo è quello che porta il nome stesso dell’azienda e l’ha fatta conoscere a livello internazionale. Prodotto dal 1989, il Vistorta è il frutto di un lungo percorso evolutivo che questa verticale ha voluto valorizzare.
«Nel primo decennio si assemblavano le partite di Merlot con 10% di Cabernet Franc o Syrah, ma col trascorrere degli anni siamo passati alla vinificazione in purezza», ha precisato l’enologo Ongaro. Un altro passaggio chiave riguarda la conduzione biologica dell’azienda, certificata a partire dal 2008.
Il vigneto del Merlot è suddiviso in 16 piccole parcelle che si differenziano tra loro per clone, età d’impianto, sistemi di allevamento. «Negli anni l’impostazione si è fatta sempre più parcellare, con vinificazioni separate dei singoli appezzamenti in vasche di cemento e fermentazioni spontanee con rimontaggi all’aria e delestages giornalieri. Dopo la macerazione post-fermentativa, la malolattica viene indotta naturalmente a temperatura controllata. Segue un affinamento di 18 mesi in barriques di rovere francese a grana fine (40% legno nuovo) per un periodo minimo 18 mesi. Dal 2013 un’altra grande rivoluzione: alcune partite che vinifichiamo in modo naturale entrano a far parte dell’assemblaggio finale. La percentuale varia e cresce ogni anno. Dopo l’assemblage finale il vino viene imbottigliato senza filtrazione né chiarifiche».
Le microvinificazioni
Le partite che effettuano le microvinificazioni eseguono la fermentazione spontanea in barrique a cielo aperto con follature manuali oppure in ceramica. Nel primo caso, dopo una macerazione di circa 20 giorni, le barrique vengono svinate a coppie e continuano il loro percorso di affinamento in singola barrique con tutte le proprie presse e lì rimangono senza travaso fino all’assemblaggio finale. Le partite che vengono fermentate in ceramica effettuano una fermentazione alcolica spontanea con follature manuali. La macerazione con vinaccia si protrae per circa 150 giorni, seguita da svinatura, torchiatura e ritorno in ceramica per un periodo totale 12 mesi, segue travaso in piccole botti di rovere francese e affinamento per un altro anno. Dopo l’assemblaggio è prevista un’ulteriore permanenza del vino in vasche di cemento. Anche in questo caso l’imbottigliamento avviene senza chiarifiche né filtrazioni.
LA VERTICALE DI VISTORTA
Vistorta, Friuli Grave Doc 1997
Un rosso di grande classe, che incanta i presenti con il suo naso terziario e la sua notevole integrità. Note di agrumi, tabacco, sottobosco, tocchi balsamici da felce, cioccolato. Quasi 27 anni sulle spalle ma ancora molto scattante. Rispetto alle edizioni precedenti, per la prima volta si decide di utilizzare uve di impianti giovani, che oggi hanno circa 30 anni. L’annata fu calda e nel blend troviamo un 90% di Merlot più un saldo di Cabernet Franc.
Vistorta, Friuli Grave Doc 2003
Un salto di sei anni ci porta all’annata 2003 che si dimostra non meno sorprendente, contro ogni previsione. La ricchezza aromatica e la dolcezza materica si notano subito all’olfatto e ritornano poi anche in bocca, quest’ultima sorretta da una bella acidità e da un tannino avvolgente. Un vino nel suo stato di grazia, in cui l’evoluzione comincia a farsi sentire, ma c’è ancora tanto frutto rosso maturo. Il richiamo varietale diventa decisamente più protagonista. La 2003 fu un’annata caldissima, con un’estate torrida, ma la posizione dei vigneti, l’abbondanza idrica e la ventilazione hanno permesso alle viti di andare in “autoprotezione” e la gradazione è rimasta intorno ai 13 gradi.
Vistorta, Friuli Grave Doc 2009
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un’annata tutt’altro che fresca, che in territori come il Piemonte, la Toscana e il Sud Italia si esprime in potenza, con “vinoni” dalla gradazione, estrazione e pienezza importanti. Qui invece domina la freschezza, con una nota muschiata al naso. L’intensità olfattiva è maggiore rispetto ai calici precedenti: il Merlot è più giovane ed esuberante. Bocca incredibilmente ampia, con retrogusto di piccoli frutti di bosco e spezie, tra cui spicca un’affascinante nota boisé. Il tannino è morbido ma vivo.
Vistorta, Venezia Giulia Rosso Igt 2018
Il nuovo corso iniziato negli anni Novanta da Brandino trova qui una nuova grandezza timbrica legata alla maturità delle viti e al percorso di microvinificazione portato avanti con l’obiettivo di raggiungere un’autenticità sempre maggiore. Nel caso del Vistorta 2018, la vinificazione “alternativa” ha coinvolto il 20% della massa. La lunga macerazione dona al vino un’intensità olfattiva spinta e una grande grinta. Il varietale è ancora ben riconoscibile con il suo tocco erbaceo, fruttato, poi richiami di cioccolato, prugna matura ma ancora fresca e spezie. In bocca è quasi pepato, va oltre il balsamico. Il tannino è ben evidente, si sentono la lunga estrazione, ma anche la vivacità e l’energia del Merlot. Sarà interessante vedere come si evolverà.
BRANDO E BIANCA, DUE VINI CONTEMPORANEI
La parabola di Vistorta ci porta a introdurre altri due vini monovarietali: Brando, anch’esso da Merlot in purezza, e Bianca, 100% Tocai Friulano. Se nel Vistorta la vinificazione tradizionale resta centrale (80% della massa), Brando e Bianca seguono completamente la nuova impostazione, la svolta contemporanea. «Questi due vini rappresentano l’evoluzione naturale del pensiero e della produzione aziendale. Il nostro obiettivo di cercare di operare in un regime sempre meno interventista non solo in vigneto ma anche in cantina, con uso minimo di anidride solforosa e con metodi quali la macerazione sulle bucce, le follature manuali, le fermentazioni spontanee in botti aperte», ha precisato il titolare.
Brando, Venezia Giulia Igt 2018
Piccola produzione “artigianale” frutto di una fermentazione contemporaneamente in barrique a cielo aperto con follature manuali e in anfore di ceramica (300 lt) dove la macerazione, a contatto con le bucce e i vinaccioli, si prolunga per 180 giorni. Le barrique vengono svinae a coppie e continuano l’affinamento in barrique singole senza travasi fino all’assemblaggio. La parte in ceramica, dopo la svinatura e la torchiatura, continua il suo affinamento per un anno in anfora e un periodo superiore all’anno in barrique di rovere francese.
Merlot fresco e scattante dal naso balsamico e mentolato. Eleganza e complessità sia al naso che in bocca, la beva è succosa, matura, avvolgente; il tannino fine e gentile.
Bianca,Venezia Giulia Igt 2018
Stesso tipo di lavorazione del Brando, con una macerazione che supera i 200 giorni. Il prodotto in ceramica dopo la svinatura e la torchiatura continua il suo affinamento per 1 anno in anfora e 1 in botti di rovere francese da 5 hl. Il risultato è un bianco importante, da meditazione. Colore tipico dei vini macerati, naso di albicocca, zenzero, cera d’api, mentuccia, arancia. Al palato ricchezza, concentrazione, volume ma anche pulizia e freschezza che si affilano in chiusura. Non appare eccessivamente amaro o erbaceo, c’è una forte corrispondenza con il vitigno di partenza. La magia di chiudere la degustazione in grande stile con un vino bianco dopo cinque rossi. Una degna conclusione.
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