In Italia In Italia Alessandro Torcoli

Il mondo del vino piange Giacomo Tachis

Il mondo del vino piange Giacomo Tachis

Oggi il mondo del vino si ferma. Chiunque dovrebbe prendersi almeno un minuto per pensare a Giacomo Tachis, che ci ha lasciati sabato scorso a 82 anni. I funerali sono oggi alle 15 nella piccola chiesa di Santa Maria ad Argiano, nel quartiere del Bardella (San Casciano Val di Pesa).

L’ultimo ricordo

Sono stati anni duri per lui e per la sua famiglia, e mesi durissimi questi ultimi. Spessissimo l’ho pensato. E sempre, ricordando la mia formazione professionale, torno a qualche episodio in cui Giacomo Tachis mi ha insegnato qualcosa. Anche l’ultima volta, a Palazzo Antinori, quando fu nominato Man of the Year da Decanter. Mi bastò il suo sguardo da furetto geniale, e due parole, per dare senso a tante cose. Avevo perso da poco tempo mio nonno, Pino Khail, che con lui aveva organizzato grandi cose. Con uno sguardo e gli occhi lucidi seppe dirmi più di quanto tanti altri con sperticati elogi avevano fatto. Loro due avevano qualcosa in comune, certamente il rigore e la signorilità, e ora si ritrovano in bella compagnia, speriamo, con Veronelli, Soldati e tutti coloro che hanno fatto qualcosa di realmente utile per il mondo del vino.

Scienza e passione. I due capisaldi di Giacomo Tachis

Lui, però, forse più di tutti in Italia. Suona retorico, ma è così: Tachis è un padre fondatore del Rinascimento enologico italiano. E tra tante sue visioni, citerei la correlazione di due elementi che rendono unica la sua lezione: è stato il primo a credere fermamente che bisognasse seguire la scienza, specie microbiologica, per esprimere al massimo il grande vino e, al contempo, non lasciava mai che la scienza gelasse la passione, così accompagnava ogni sua osservazione con citazioni dotte, menzioni di autori classici, e non solo Plinio e Columella, o Galileo (al quale era particolarmente affezionato). A lui chiedevo dei vini di Sicilia e Sardegna e lui suggeriva di leggere trattati sociologici sul mito del Mediterraneo. Memorabile, ad esempio, il suo intervento su questo tema in Sardegna, per la presentazione di un liquore al mirto. In un luogo di rara suggestione, come il santuario nuragico di Santa Cristina, le parole di Tachis sono ancora una splendida musica in quel ricordo. E ancora, mai un enologo prima di Tachis era stato chiamato a parlare di vino nel tempio di Segesta. Solo Tachis poteva farlo (e ricordo anche il suo scandalo quando scopriì che la stessa sera, oltre a lui, si esibivano gli Stadio, un “gruppo di canzonette… per carità”).

Umile, tecnico, letterario. Unico

Potrei naturalmente rievocare decine di episodi in cui il grande enologo mi insegnava ad amare la vita e la cultura innanzi tutto. Se lo prendevi di petto, d’altronde, ricordandogli che era considerato il padre dell’enologia moderna in Italia, lui si schermiva e diceva “sono solo un mescolatore di vini“. Poi si finiva a parlare del ruolo della microbiologia, e degli studi dell’Università di Pisa, che riteneva il futuro del vino. E ancora citazioni su citazioni: “Io non ho potuto studiare”, diceva, “per questo ho fame di cultura. Sono un dilettante, ma non bisogna mai smettere di sognare”. Umile, ma per niente modesto, tecnico, ma letterario. Unico. E per finire, lo spessore umano: ci ha dato tanto, sapeva lasciare qualcosa a tutti. Apparteneva al genere umano che coltiva la bellezza, che semina saggezza e sapienza. Quasi tutti, in questo mondo, gli devono qualcosa di importante: una parola, una lezione, e in fondo in fondo anche qualche vino indimenticabile.

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© Riproduzione riservata - 08/02/2016

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