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Per il Cesanese Alberto Giacobbe cambia vita

6 Giugno 2016 Jessica Bordoni
Classe 1983, il giovane Alberto Giacobbe rappresenta la terza generazione di famiglia impegnata in vigna. Siamo nel nord della Ciociaria, a Paliano, e i terreni di proprietà si estendono anche a Piglio e Aleano Romano, al confine tra la provincia di Roma e quella di Frosinone. Proprio con Alberto, a cavallo tra il 2008 e il 2009, avviene il grande salto da conferitori di uva a produttori e imbottigliatori con un proprio marchio. «Ho una laurea in economia e management», racconta, «e le mie intenzioni erano altre, volevo occuparmi di numeri e statistiche. Ma poi l’amore per la terra ha avuto la meglio e sono entrato in azienda per dare una mano a mio padre e sviluppare l’attività».

Il difficile passaggio a una produzione di stampo biologico

Il suo ingresso segna una vera e propria rivoluzione nell’approccio produttivo: «Dall’agricoltura convenzionale siamo passati alla lotta integrata con pratiche biologiche, ma soprattutto da una resa di quantità abbiamo iniziato a puntare sulla qualità. Confrontarsi con mio padre non è stato per niente facile, anzi. Racconto sempre questo aneddoto, che rende bene l’idea della situazione. Durante il primo anno di conversione, lui che non andava mai in vacanza, decise di partire nel mese di agosto per evitare di assistere alle operazioni di diradamento. Non riusciva a guardare tutta quell’uva per terra, per lui era una specie di “ecatombe”».

La produzione raggiunge le 25 mila bottiglie

Alberto è sicuro, determinato e con il tempo riesce a convincere il padre che la strada intrapresa è quella giusta. I risultati non tardano ad arrivare e oggi dai 9 ettari vitati si producono circa 20-25 mila bottiglie. «Quando siamo partiti, nel 2009, i volumi si aggiravano sulle 5 mila bottiglie. Il potenziale è certamente più alto, ma preferisco muovermi a piccoli passi, senza strafare».

Il Cesanese Giacobbe e la Riserva

Due le varietà di riferimento, entrambe autoctone: il Cesanese di Affile, a bacca rossa, e la Passerina del Frusinate, a bacca bianca. Dal primo nascono le etichette Lepanto, Cesanese del Piglio Superiore Riserva Docg e Giacobbe, Cesanese di Olevano Romano Superiore Doc. «Quest’ultimo è senza dubbio il vino che più ci rappresenta, e per questo porta il cognome di famiglia. Le vigne hanno diverse età, molte risalgono al 1978, altre sono un po’ più giovani, del 2005. L’allevamento è a cordone speronato con 4.600 ceppi per ettaro e una resa di 60 quintali. La fermentazione avviene in serbatoi di acciaio e vasche di cemento, così come l’affinamento di un anno circa, a cui seguono 6 mesi di bottiglia prima dell’immissione sul mercato. La Riserva Lepanto, invece, fa un passaggio in legno: non meno di 12 mesi in botti di rovere e di ameno 18 mesi in bottiglia. Le uve provengono dalla nostra vigna più vecchia, che è stata impiantata da mio nonno nel 1952».

In gamma anche la Passerina del Frusinate

Se il Cesanese è il vitigno principe dell’azienda, grandi attenzioni sono dedicate anche alla Passerina del Frusinate. «Per noi è un vino dal carattere femminile, delicato: non a caso le nostre etichette, tutte a Indicazione geografica tipica, portano nomi di donna come Maddalena, Duchessa e la new entry Nina. Con l’annata 2015 abbiamo ampliato la nostra gamma di etichette creando una seconda linea più giovane e beverina accanto a quella delle etichette storiche. Oltre alla Passerina del Frusinate Nina, comprende i Cesanesi Re Baldoria, Cesanese del Piglio Docg e San Giovenale, Cesanese di Olevano Romano Doc».

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