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Storie di vigna. Con Piantagrossa Donnas ha il primo sognatore privato

24 Novembre 2015 Alessandro Torcoli
Quanti lo hanno sognato? Qualcuno lo ha anche fatto, come Luciano Zoppo Ronzero di Quincinetto. Il 30 giugno 2013 si è licenziato dalla Vodafone, dov’era project manager, e si è messo a fare il vignaiolo. Giaccia, cravatta, risorse umane, molte notti fuori di casa mentre Sofia, Enea, Cloe ed Eva, i suoi quattro figli, crescevano all’ombra dei monti di Donnas. D'autunno aiutava i parenti che vendemmiavano il Nebbiolo, e che lo versavano nelle casse della Cantina sociale: oro trasformato in piombo, mentre lui - impotente - la mattina lasciava quelle meravigliose pergole, che hanno incantato scrittori e poeti, per l'ennesimo meeting. Ogni giorno si chiudeva alle sue spalle il cancello dei sogni. Era costretto ad abbandonare la grossa pianta di famiglia, un ippocastano di 396 anni, che ombreggiava il cortile di casa. La sua casa è una cascina ottocentesca, dove un tempo si allevavano vacche e viti, e fino agli anni Ottanta c'era pure una trattoria.

Un sogno realizzato: cambiare vita

«Oh, fin troppo fortunati, gli agricoltori! Se conoscessero i beni che hanno…». Avrà sentito l’eco delle Georgiche, Luciano. A 42 anni ha fatto l’inventario della sua vita e ha realizzato che se avesse conquistato qualche pezzo di vigna, avrebbe potuto cambiare vita, e godere di questi beni. Il vignaiolo ha un animo poetico, purtuttavia è stato un manager e i conti li sa fare. Si è mosso con cautela, ma con convinzione. Certo, non è stato neppure particolarmente fortunato: prima annata 2014, la più piovosa del decennio. Comunque, ha gestito brillantemente i suoi 1.600 metri, presi tutti in affitto da parenti e amici che ponevano un’unica clausola: mantenere in vita quelle vecchie piante. Sta per raggiungere i due ettari, per 10 mila bottiglie di pregio. «Così regge il business case. In tre anni dovremmo raggiunge il break-even point, il pareggio», spiega mostrando le ultime scorie linguistiche della sua vita precedente. Ci arrampichiamo sui gradoni che ci portano, in un bel giorno di ottobre, sotto le pergole. «Siamo a due terzi della vendemmia, forse finiamo in due o tre giorni». Le uve sono per il 90% Nebbiolo, il resto una mescola di vitigni complementari da sempre presenti in Valle.

Il primo Nebbiolo di Luciano

Quando rientriamo a casa, o in cantina - difficile distinguere gli ambienti come sempre quando si frequentato i piccoli vignerons - dal cortile osserviamo le trame disegnate dalle pergole dietro di noi, e di fronte la cima già impolverato di neve che si staglia nel blu cobalto del cielo. Luciano non ha saputo rinunciare a questo scenario. Finalmente abbiamo accesso alla cantina: minuscola, pulita, con piccoli fermentini d’acciaio, dove è nato, l’anno scorso, il primo vino, e quest’anno sta fermentando il secondo millesimo. Poi scendiamo nella bottaia: ci sono due botti per la precisione, due Stockinger (scelta oculata, ottimo produttore austriaco) da 500 e 600 litri. Oggi c’è solo un vino "sul mercato". Lo scrivo tra virgolette, perché le 2.400 bottiglie sono state vendute nei dintorni e a qualche curioso di passaggio, come noi, che siamo capitati lì quasi per caso: ero sul trenino che da Morgex porta ad Aosta, sfogliavo La Stampa del 18 ottobre, e mi è caduto l’occhio sul titolo "Da manager in carriera a piccolo viticoltore". Preso il telefono in mano e l’appuntamento con Luciano per l’indomani.

L'arte di saper aspettare. Altri due vini riposano in cantina

Ora volteggia nel calice il primo vino di Luciano. Si chiama 396 (come gli anni dell’ippocastano che svettava nel cortile), vino da tavola, solo acciaio, Nebbiolo Picotendro e un 10% delle altre varietà tradizionali. Ha colore rubino brillante, profumi di viola, ciliegia, rosa e sfumature di pietra ollare, al palato è pimpante, con un piacevole tocco finale di liquirizia. Gli altri due vini che verranno, riposano nelle Stockinger. La seconda etichetta uscirà a inizio 2016 e sarà Nebbiolo Doc. In quel momento Luciano Zoppo Ronzero avrà conquistato il suo primato: sarà il primo viticoltore privato a imbottigliare un Nebbiolo di Donnas Doc, poiché sinora l’ha prodotto solo la Cantina sociale. Il terzo vino starà in botte almeno due anni, fino al dicembre 2016. "L'agricoltura è l'arte di saper aspettare", scriveva Riccardo Bacchelli, autore de Il mulino del Po, e anche qui sulla Dora Baltea, c'è un ex manager che si è arreso volontariamente a questa evidenza. Mancava solo il nome da dare a questa piccola azienda vitivinicola. L’anno scorso, quell’ippocastano che aveva accudito la famiglia nel cortile, morì e fu rimosso. Luciano ha deciso di ricordarlo per sempre, e ha chiamato la sua azienda Pianta Grossa, o meglio piantagrossa minuscolo e tutto attaccato. Ne riparleremo l’anno prossimo, quando brinderemo al primo Nebbiolo di Donnas Doc opera di un singolo sognatore privato.

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