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Vini contemporanei da antichi vitigni. Il seminario a Vinitaly

Vini contemporanei da antichi vitigni. Il seminario a Vinitaly
Attilio Scienza e Andrea Lonardi con i vini protagonisti del seminario © Ennevi Foto - Veronafiere

Il Master of Wine Andrea Lonardi e il professor Attilio Scienza si sono confrontati sul concetto di modernità collegato alle varietà autoctone, che rappresentano l’arma vincente su cui puntare per intercettare i gusti dei consumatori attuali

«Ho pensato di coinvolgere il professor Attilio Scienza, perché credo che in questo preciso momento ci sia una forte necessità di cambiamento in termini culturali e scientifici». Esordisce così Andrea Lonardi, esperto manager vitivinicolo, nonché fresco MW, durante il seminario dal titolo Contemporary Wines from old grapes variety” svoltosi durante quest’ultima edizione di Vinitaly. Proseguendo in maniera schietta e precisa: «sento sempre più parlare di tecnica, ma non sento parlare, o almeno, pochissimo, persone competenti in fisiologia, geologia, pedologia, biologia, chimica e quant’altro».

Il ruolo della scienza nel pensiero critico

Lonardi non nasconde quindi l’importanza della funzione dello scienziato autorevole, cioè di una persona che può prevedere e intuire il corso degli eventi poiché in grado di elaborare un pensiero di fondo, proprio come è Scienza, suo docente all’università ma anche “professore di vita”, come lui stesso ci tiene a sottolineare.
Il convegno, dunque, nasce proprio sulla scia di tale spirito. Ovvero spingere le nuove generazioni ad avere dei mentori per essere coadiuvati nel loro critical thinking per poi affrontare gli argomenti trattati utilizzando il rigore e il metodo proprio della scienza. Ed eccoci allora al tema particolarmente atteso, quello relativo ai vini contemporanei. Secondo entrambi i relatori, a livello internazionale, l’Italia infatti può e deve giocare un’arma vincente. E questo poiché ha a disposizione una ricchezza di varietà endemiche (presenti solo in un dato ambiente) che godono di profili davvero sorprendenti.

Timorasso, Verdicchio, Corvina, Nerello, Schiava, Grignolino e Lambrusco

Nel caso delle varietà a bacca bianca «abbiamo optato in questa degustazione per il Timorasso e per il Verdicchio, poiché possiedono una certa tensione, croccantezza, salinità e soprattutto la capacità di durare e talvolta di migliorare addirittura nel tempo», spiega Lonardi.
Per ciò che concerne, invece, le cultivar a bacca rossa, «esistono varietà che anche grazie al cambiamento climatico sono decisamente migliorate; ancor meglio, per via del perfezionamento delle tecniche di viticoltura rivivono una nuova epoca». La scelta è ricaduta di conseguenza sulla Corvina per la Valpolicella, sul Nerello Mascalese per l’Etna, sulla Schiava per l’Alto Adige, sul Grignolino per il Monferrato e sul Lambrusco di Sorbara per il Modenese. In sostanza, dice Lonardi, «vini spaventosamente contemporanei, molti dei quali fino a pochi anni fa, erano però considerati inadeguati».

I vitigni autoctoni sono migranti

Come ricorda poi correttamente il prof. Scienza «di fronte alle variazioni di gusto e di clima, ci accorgiamo improvvisamente che tutto ciò che viene definito autoctono acquista valore». Dal momento che ogni varietà di uva si è di fatto adattata ad un contesto territoriale, provenendo da altrove, lo stesso termine “autoctono” risulta agronomicamente e, in grazia della natura, una forzatura. Basti pensare ai nomi di alcuni presunti autoctoni per comprendere quanto sia forzata l’idea di origine: Greco, Grechetto, Grecanico per esempio che rimandano tutti alla Grecia e che confermano quanto i luoghi di origine siano piuttosto differenti da quelli della tradizione.
Stiamo parlando di vitigni migranti che si sono ambientati e hanno tracciato una tipicità, una presenza documentata nel tempo. Checché ne dicano alcune manifestazioni, autoctono non si nasce, al limite si diventa. Di fatto, la biodiversità, la promiscuità e l’intreccio rappresentano valori ben più importanti, sia culturalmente che biologicamente parlando.

Cosa ci riserva il futuro

La viticoltura del futuro, continua ancora il professore, «porterà gli imprenditori a pensare in orizzonti di medio e lungo termine, anche perché i cambiamenti climatici alterano le condizioni pedoclimatiche che conferiscono caratteristiche di unicità e identità alle denominazioni e rendono più favorevole l’utilizzo di vitigni nuovi e più resistenti, come quelli più remoti». In più, poiché la società è sempre più sensibile all’aspetto ambientale e alla gestione del territorio, «il legislatore dovrà sempre più orientare la propria politica verso la sostenibilità che può essere migliorata con gli stessi vitigni antichi».

Esplorando il concetto di Pinosophy

Infine, Lonardi pone l’accento sul concetto di Pinosophy (coniato da lui stesso), che non vuol dire soltanto assaporare nettari che ricordano il Pinot nero, ma qualcosa di più culturalmente avanzato. Significa sostanzialmente bere vini che presentano «un bel nerbo acido e che ben si sposano con le cucine esotiche» trovando in certo qual modo una visione internazionale e quindi una scrupolosa e puntuale contemporaneità.

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