In Italia In Italia Alessandro Torcoli

Santi: non è solo questione di appassimento, ma di stile

Santi: non è solo questione di appassimento, ma di stile

Abbiamo visitato la storica azienda della val d’Illasi, la più orientale
della Valpolicella e molto vocata alla produzione dei rossi. Il direttore
Cristian Ridolfi ci ha accompagnato alla scoperta di caratteri ben definiti.

La voce pacata di Cristian Ridolfi, direttore ed enologo, ci conduce nelle storiche cantine di Santi, in Valpolicella, o meglio nella valle d’Illasi, la più orientale e rurale. L’idea di una crescita economica in armonia e non in contrasto col territorio si respira nei saloni e nelle vigne, rispettate e preservate, con un’età media di 50 anni, radici e terreni ricchi di licheni e microrganismi.

La valle d’Illasi: una culla per i vini rossi

«Una biodiversità pazzesca», sbotta Ridolfi con orgoglio. Le argille pesanti agevolano la longevità dei vini, ne sostengono le acidità. L’ambiente è pregevolmente agricolo, di un Veneto operoso e ordinato senza capannoni. «La valle di Illasi è ideale per la produzione di vini rossi», spiega Ridolfi. «Un tempo si chiamava “valle secca” per l’assenza di torrenti o sorgive. È meno piovosa, soleggiata e aperta. Il terreno è drenante, e ne derivano basse rese naturali».

Spazi piccoli per produrre grandi vini

Ci troviamo da Santi a fine vendemmia. «L’annata 2022 è stata buona, con pochi trattamenti», conferma l’enologo. Qui si portano in appassimento circa 2.200 quintali d’uva, 70-80 mila bottiglie di due Amarone (rispettivamente con 3 e 5 anni di invecchiamento), più uno di cui diremo a breve. L’appassimento dura 4 mesi. Non aspettatevi la grande cantina, l’ambiente nel quale ci muoviamo è contenuto. «E il fatto che sia piccolo», dice Ridolfi, «ci consente anche di tenere le temperature facilmente sotto controllo. Durante la fermentazione abbiamo 26° C fissi».

Legni di ciliegio, castagno e rovere

La cifra stilistica dei vini sta nella compostezza. Sono tutti “tirati a secco”, senza cedimenti a dolcezze ruffiane. L’Amarone si eleva per un anno in tonneaux e poi in botti grandi da 50 ettolitri. La bottaia sfoggia legni di ciliegio, castagno e rovere. Il maestro Ridolfi ci impartisce una bella lezione, con la consueta modestia: «Il ciliegio generalmente piace, bisogna stare attenti a non esagerare con l’allenamento – non più di 3 mesi – perché poi il vino cade rapidamente; il castagno conferisce meno vaniglia rispetto al rovere, più spezie verdi (chiodo di garofano, pepe), è interessante ma meno familiare al pubblico».

Carlo Santi 1843, l’ultima novità

Vi suggeriamo di provare una novità (il terzo Amarone di cui sopra): Carlo Santi 1843, annata 2016 che coincide con il rinnovo della cantina. Le uve provengono da colline sui 400 metri, terreni alluvionali, argille che danno colore e una freschezza che sostiene l’alcol (16% vol.). Caratterizzato dalle spezie dolci, con intensità di frutto (amarena e lampone). È morbido, ma secco (zero zuccheri), deciso ma elegante al palato.

Foto: l’antico studio di Carlo Santi

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© Riproduzione riservata - 18/01/2023

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