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La paura del diverso: polemica sul Sassicaia

30 Agosto 2016 Civiltà del bere

Di Cesare Pillon

Confesso che fin dalla sua prima uscita, nel 2003, la guida Vini Buoni d’Italia, che bandisce dalle sue pagine tutti i vini non ricavati dai cosiddetti vitigni autoctoni, mi è sembrata il sintomo inquietante di una intolleranza troppo diffusa, riportandomi alla memoria un evento del 1939, la scomparsa improvvisa dalle lezioni di un ragazzino mio amico, cui era stato vietato da un giorno all’altro di frequentare la scuola elementare pubblica perché ebreo.

La polemica sul Sassicaia in degustazione

Tuttavia, non lo nego, il dubbio di esagerare ce l’avevo. A fugarlo c’è riuscita la polemica scoppiata nella seconda metà di maggio tra i militanti di Slow Food. Ha cominciato Mike Tommasi, per anni fiduciario a Marsiglia, lanciando il suo anatema contro una degustazione di Sassicaia organizzata per il Salone del Gusto, a settembre: una verticale di sei annate, dal 2013 al 1989, riservata agli iscritti al prezzo di 70 euro.

Le motivazioni

Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso della mia preoccupazione è stata la lettera aperta con cui Patrick Böttcher, portavoce della condotta di Bruxelles, ha chiesto a Carlo Petrini, leader di Slow Food, di eliminare quella iniziativa dal programma. Altrimenti, secondo lui, si festeggerebbero la Terra Madre, i piccoli produttori e il patrimonio del gusto “con un’azienda che oppone all’artigianato e alla naturalità del vino tutte le tecnologie industriali, tutta la chimica della vinificazione, tutte le formattazioni del legno nuovo delle barrique”.

Il solo vitigno non mediterraneo

Accuse infondate, sarebbe facile dimostrarlo, ma ciò che ha fatto sanguinare il cuore di Böttcher è che Slow Food voglia glorificare un vino che “ha messo al vertice dei Supertuscan, termine atroce da pronunciare, il Cabernet Sauvignon, il solo vitigno non mediterraneo”. E poiché è innegabile che il Sassicaia nasce da uve (prevalentemente) di Cabernet Sauvignon, questa è dunque la sua vera colpa, oltre a quella, tenuta in sottordine ma ben presente, di essere troppo caro. Certo, i vini figli del Sangiovese che si facevano a Bolgheri nei primi 70 anni del secolo scorso costavano molto meno, ma non perché il Sangiovese è un vitigno autoctono, ma perché erano, per usare un eufemismo, piuttosto mediocri.

L'importanza della sintonia tra territorio e vitigno

I grandi vini nascono dalla sintonia di un vitigno con un territorio, e il Sassicaia, che di questa sintonia fruisce, ha ottenuto un successo planetario grazie al quale spunta prezzi molto elevati (mai sentito parlare della legge della domanda e dell’offerta?). Ma proprio per questo ha garantito un reddito soddisfacente a tutti i vignaioli che in quel territorio hanno seguito il suo esempio, trasformando così una delle zone più povere della Toscana in una delle più ricche.

Il confronto con il diverso

Quel che emerge quindi, in questa polemica, è il rifiuto del confronto con il diverso. Sulla cui diversità ci sarebbe da meditare, visto che il Cabernet Sauvignon discende della vitis biturica portata in Gallia dai legionari romani (vedere “Gli emigranti tornano in patria”, Civiltà del bere, giugno 2014). E ad allarmare è la pretesa di metterlo al bando, questo diverso. Se la storia è maestra di vita, vale la pena di ricordare che nel 1939 si cominciò cacciando gli ebrei dalle scuole pubbliche ma si finì mandandoli nei campi di sterminio.  
Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 4/2016. Puoi leggere l'intero numero acquistando una copia (anche digitale) sul nostro store o scrivendo a store@civiltadelbere.com. Buona lettura!

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