Umami sinergy, perché bollicine e bianchi invecchiati esaltano il quinto gusto
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Copenaghen ha studiato le sostanze capaci di esaltare il gusto umami nelle bevande, scoprendo i meccanismi con cui bollicine e bianchi invecchiati enfatizzano il sapore di alcuni pesci e frutti di mare. Il segreto è la presenza di sostanze a cui generalmente si fa poca attenzione, come l’acido glutammico e l’acido aspartico.
Nell’intrico spesso inestricabile dei nostri sensi, l’umami gioca forse uno dei ruoli più misteriosi. Noto anche come quinto gusto, in aggiunta a dolce, amaro, salato e aspro, fu individuato per la prima volta agli inizi del Novecento da un chimico giapponese, Kikunae Ikeda. Fu lui il primo a isolare il glutammato di sodio, la sostanza più comunemente associata all’umami e contenuta in alta concentrazione nel brodo di alghe, alimento di cui Ikeda voleva scoprire i segreti organolettici. Le papille che si attivano sorbendolo si trovano ai lati della porzione posteriore della lingua e sono diverse da quelle che percepiscono gli altri gusti.
L’iniziale disinteresse occidentale
Dal momento che queste sensazioni gustative sono soprattutto tipiche della cucina orientale, e dei suoi cibi particolarmente sapidi, l’Occidente per decenni ha tenuto in scarsa considerazione le scoperte del chimico giapponese. Fino a una ventina di anni fa, quando uno studioso tedesco, Bernd Lindemann, individuò nel 2000 una proteina strettamente connessa alla percezione del gusto del glutammato. Scoperta che ha rivelato come questo viene percepito secondo un meccanismo tutto suo, completamente distinto dagli altri quattro più cari alla tradizione occidentale (qui il link a quello storico studio).
La ricerca danese sull’umami dedicata alle bevande
Da allora le ricerche in materia si sono moltiplicate, complice anche la potente diffusione, negli Stati Uniti e nella vecchia Europa, delle cucine giapponese, fusion e orientale in generale. Uno studio recentissimo, condotto da scienziati del dipartimento di Food Science dell’Università di Copenaghen, in Danimarca, può essere molto interessante per chi produce vini o, quanto meno, per chi cerca di abbinarli ai cibi (per alcuni consigli di abbinamento leggi qui). Pubblicato lo scorso dicembre sulla rivista scientifica Food Chemistry, è tra i pochi ad avere cercato le sostanze responsabili del gusto umami nelle bevande. La ricercatrice postdoc Charlotte Vinther Schmidt, insieme con due colleghi, lo ha realizzato esaminando quattro prodotti: birra, sake, Champagne e vini bianchi, arrivando a risultati interessanti.
L’analisi sui vini
Le analisi avevano l’obiettivo di individuare, in questi prodotti, la presenza di aminoacidi, come l’acido glutammico e l’acido aspartico, capaci di stimolare il gusto umami. Il sake è quello che ha evidenziato i quantitativi più elevati, come era prevedibile vista la sua provenienza dal Giappone, dove le sensazioni collegate al quinto giusto sono infatti particolarmente ricercate. Ma ciò che più ha sorpreso i ricercatori è quanto hanno scoperto in vini come Champagne e bianchi “invecchiati”. In un certo numero di bottiglie analizzate, infatti, gli studiosi danesi hanno trovato minime tracce di acido glutammico e acido aspartico, soprattutto nei vini sottoposti a un più lungo periodo di elevage. Quantitativi molto bassi, non sufficienti in sé a produrre la sensazione del gusto umami in bocca, ma in grado invece di stimolarlo se uniti a cibi con determinate caratteristiche.
Cos’è la “umami sinergy”
“In particolare”, osserva Charlotte Vinther Schmidt, “ci siamo accorti che alimenti con un alto contenuto di ribonucleotidi, blocchi di base dell’RNA che svolgono anche una funzione di esaltatori della sapidità, producono un effetto moltiplicatore fino a otto volte del contenuto di acido glutammico presente nel vino”. Gli studiosi definiscono questo effetto “umami sinergy”, sinergia umami. Se ci si limita a sorseggiare un vino non si percepisce l’umami, ma abbinandolo ai cibi in grado di favorire questa sinergia, invece, lo si sente eccome, e anche in modo molto intenso.
Tonno, ostriche e capesante
“Sapevamo già”, continua Schmidt, “che i sapori di salumi e formaggi si enfatizzano con l’abbinamento a determinati vini, quindi abbiamo voluto verificare se l’effetto moltiplicatore si realizza anche con altri prodotti ricchi di ribonucleotidi”. Lo studio si è concentrato quindi su alcuni tipi di pesce e su frutti di mare come ostriche, crostacei e capesante. «In particolare», riporta la ricercatrice, «abbiamo visto che tutte le classi di bevande esaminate, quindi sake, birra, Champagne e bianchi invecchiati, esaltano il sapore umami in abbinamento a ostriche e tonno. E per certi bianchi e per lo Champagne questo avviene anche con le capesante».
Sapere che cosa si acquista
Sapere come enfatizzare il gusto umami ha un’utilità, secondo i ricercatori dell’Università di Copenaghen, in funzione di una dieta alimentare più sana. “Se infatti riusciremo a capire quali verdure, abbinate a determinate bevande, possono acquisire un gusto più intenso e appetibile, probabilmente potremmo indurre molte più persone a nutrirsi in modo più salutare. E in ogni caso si rivela una buona idea per i consumatori acquistare vini o Champagne con una concentrazione relativamente alta di gusto umami, perché avranno sempre la garanzia di esaltare i sapori di cibi con alti contenuti di ribonucleotidi”.
Sinergia umami e marketing
Tutto questo sottintende non soltanto la necessità di essere preparati su cibi e vini che si acquistano, ma suggerisce anche ai produttori di indagare in modo più approfondito su ciò che è contenuto nei loro vini, allo scopo anche di evidenziarlo in etichetta. La “sinergia umami” è poco nota. Praticamente a nessuno viene in mente di evidenziare la presenza di acido aspartico o acido glutammico per esaltarne la funzione di sostanze “buone”, capaci di magnificare i sapori dei cibi. Farlo potrebbe invece rivelarsi un interessante strumento di marketing.
Foto di apertura di B. Dodzy
Tag: acido aspartico, acido glutammico, bianchi invecchiati, Champagne, glutammato, Kikunae Ikeda, lunga fermentazione, umami, Università di Copenaghen© Riproduzione riservata - 08/02/2021