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Se il consumo cala ci vogliono fantasia, coraggio e iniziative

18 Giugno 2025 Civiltà del bere
Se il consumo cala ci vogliono fantasia, coraggio e iniziative

In questo articolo del 1982 vengono esposte cause, conseguenze e possibili soluzioni per arginare la flessione. Leggendolo si resta colpiti dalla spiazzante attualità e profondità di visione, che abbraccia temi socio-culturali, economici, salutistici ed ecologici. La penna è di Antonio Niederbacher, all’epoca ad di Unione Italiana Vini e direttore del Corriere Vinicolo

Il problema della riduzione del consumo del vino nei Paesi grandi produttori, quali la Francia e l’Italia, e le possibilità offerte dal mercato e dai gusti dei consumatori a vini di gradazione più leggera (i soft – e light – wines già lanciati con successo negli Usa) hanno dominato quest’anno le discussioni degli esperti. Il tema è a nostro giudizio importantissimo, attualissimo e va quindi lumeggiato in tutti i suoi aspetti. Del dibattito ad alto livello promosso dall’Oiv e dalla fondazione Bolla a Verona abbiamo già pubblicato ampi estratti e il testo dell’intervento del direttore dell’Office Internationale de la Vigne et du Vin, Gilbert Constant. Diamo ora quasi tutto il testo dell’ampia relazione, in quella sede, di Antonio Niederbacher, amministratore delegato dell’Unione Italiana Vini e direttore del Corriere Vinicolo.

Calano i consumi, aumentano i volumi

Un problema nuovo per l’economia vitivinicola si è presentato recentemente in Italia: il consumo alimentare del vino ha cominciato a diminuire.
Per oltre un secolo – tra il 1860 e il 1970 – il principale problema del viticoltore italiano era dato dalle gravi crisi di mercato provocate, di tanto in tanto, da raccolti eccezionalmente esuberanti. I viticoltori più anziani ricordano ancora, in Italia, come negli anni 1907, 1908, 1909 l’abbondanza del vino fu tale, specialmente in Puglia, da indurre gli osti a farne pagare il consumo “a ore” e i muratori a usare il vino al posto dell’acqua per preparare la calce. Ma non esisteva un problema di scarso consumo del vino essendo questo prodotto considerato, senza discussione, parte integrante e tradizionale dell’alimentazione della popolazione italiana.Nel trascorso decennio 1970-1980, invece, si è dovuto constatare che questo ottimistico assioma sta diventando discutibile. Le statistiche della Cee documentano questo inatteso e grave fenomeno, indicando che dal 1970 al 1981 il consumo del vino per alimentazione in Italia è sceso da 110 a 87 litri annui pro-capite.

I numeri della flessione in Francia

Ritornando all’ultimo decennio, occorre sottolineare che la flessione del consumo del vino in Italia trova un parallelo in una flessione non meno pronunciata del consumo del vino in Francia, e che a maggiore ragione sembra doversi considerare non come un fatto transitorio, bensì come una tendenza di lungo periodo.
In Francia, è opportuno ricordare, il consumo pro-capite annuo di vino è salito progressivamente fino al 1955/1956 raggiungendo i 141,6 litri, ma poi gradualmente è disceso fino a toccare i 94 litri nel 1978/1979, i 96 nel 1979/1980 e i 90 nel 1980/1981 (cifre tratte dalle statistiche Cee).Nel contempo la produzione del vino in Italia ha registrato un cospicuo incremento, dovuto soprattutto alle più elevate rese unitarie ottenibili con la tecnica moderna nel rinnovo dei vigneti. Da una media di hl 55.490.000 del decennio 1952-1961, si è passati a una media di hl 66.800.000 nel decennio 1962-1971 e alla media di hl 72.660.000 nel decennio 1972-1981.

L’insufficienza dei sostegni statali e comunitari

Questo andamento a forbice tra produzione e consumo in Italia è stato assorbito in parte, e negli anni recenti, dal forte sviluppo dell’esportazione passata dai 2-3- milioni di ettolitri degli anni Sessanta, ai 10-13 e persino ai 15-18 milioni di ettolitri negli anni Settanta. Tuttavia ha comportato crescenti difficoltà per le Autorità pubbliche impegnate a sostenere il reddito dei viticoltori, cioè dapprima per lo Stato italiano e poi per la Comunità economica europea. Mentre nel ventennio 1949-1969 si è potuto sostenere il mercato del vino in Italia distillando circa 16 milioni di ettolitri, in quanto nello stesso tempo il consumo totale per l’alimentazione è passato da circa 45 a circa 60 milioni di ettolitri annui, nel successivo decennio la distillazione di circa 24 milioni di ettolitri è stata in parte neutralizzata dalla flessione del consumo alimentare del vino passato da circa 60 a circa 50 milioni di ettolitri annui.

I punti chiave da considerare

Il fenomeno dell’inversione della tendenza del consumo del vino in Italia, tanto più esige di essere affrontato in quanto:
– la tendenza del consumo del vino, in Paesi di grande tradizione viticola come l’Italia e la Francia, si può modificare soltanto in periodi molto lunghi;
– la viticoltura in Italia non può essere ridimensionata in tempi brevi o medi, né senza gravi sacrifici economici per i viticoltori che hanno un alto peso sociale nel Paese;
– la viticoltura, nelle sue odierne dimensioni economiche, è un pilastro essenziale per l’agricoltura italiana, incidendo all’incirca per il 10% sul PLV totale della stessa;
– la coltivazione della vite è una componente essenziale dell’equilibrio sociale e ecologico per gran parte del territorio nazionale.

La ricerca delle cause

Bisogna dunque porsi un primo problema che è quello di accertare le cause della flessione del consumo del vino. In merito è utile orientamento un’indagine compiuta dall’Irvam nel 1979 per conto del ministero dell’Agricoltura.
Secondo tale indagine il consumo del vino risulterebbe stazionario nell’ambito delle famiglie già consumatrici, ma quello delle bevande alcoliche e non alcoliche concorrenti (a parte l’acqua) sarebbe in evidente aumento.
Sempre nel 1979, l’Irvam così descriveva le prospettive del consumo del vino nel nostro Paese: “Nel nostro Paese il consumo di vino è tra i più elevati del mondo, causa la capillare diffusione di questa bevanda in tutte le regioni e fra tutte le classi sociali. Anzi, l’abitudine al bere da parte delle classi lavoratrici addette ai lavori pesanti sembra aver influito sulla diminuzione dei consumi, nella misura in cui si è verificato un largo spostamento degli attivi dell’agricoltura all’industria ed un generalizzato minor impegno fisico durante il lavoro. Tipico in proposito il comportamento degli addetti all’agricoltura più giovani, che in molte zone hanno sostituito il vino con la birra e la Coca Cola per dissetarsi durante le pause del lavoro”.

Dati non omogenei e difficili da collegare

Non meraviglia quindi che la domanda pro-capite di vino, dopo essere rimasta praticamente stazionaria durante gli Anni Sessanta, abbia mostrato un netto decremento durante gli Anni Settanta, passando da 114 litri pro-capite nel 1969/1971 a 94 nel 1976/1978. Tale decremento è in parte dovuto alla crisi economica che ha colpito il Paese a partire dal 1974, ma ciò non consente di poter prevedere una ripresa dei consumi nel momento in cui le famiglie dispongano di un maggior reddito. In realtà numerosi studi pongono in evidenza che il reddito non influisce tanto sul consumo quanto sulla qualità del vino e che, anzi, oltre ad un certo livello, la domanda tende a decrescere in termini fisici.
Proprio per questi motivi le funzioni di consumo esaminate dall’Irvam non giungono ad alcun risultato significativo, quando si introduce il reddito come variabile esplicativa. Risultati insoddisfacenti si ottengono anche dall’introduzione dei prezzi, date le estreme variabilità di questi in funzione della qualità. Un altro motivo della mancata significatività dei modelli utilizzati è dovuto alla scarsa omogeneità delle serie storiche Istat, derivante da obiettive difficoltà nell’individuare l’effettivo andamento della domanda interna nel nostro Paese.Le stime al 1984 debbono pertanto basarsi su considerazioni di tipo logico, tenute presenti le prospettive della domanda emerse da colloqui con qualificati esperti del settore.

Questioni salutistiche, di prezzo e di gusto

Un consumo di 100 litri pro-capite è ritenuto compatibile con un certo maggior interesse verso questo tipo di bevanda, nell’ipotesi di migliorate prospettive economiche. Ovviamente a tale ripresa dovrebbe accompagnarsi il sensibile incremento delle aspettative dei consumatori nei confronti della qualità.
Fin qui la diagnosi più recente dell’Irvam, che ci sembra allarmante anche se non tocca alcuni problemi importanti come quello del comportamento dei giovani nei riguardi del vino.
Tra le cause della diminuzione del consumo di vino comune, ove si sia verificata, sempre dall’Irvam apprendiamo che prevalgono “il consiglio del medico o la dieta”, seguiti dal “prezzo” e, a distanza, dal “gusto”. Ma per il vino pregiato il “prezzo” è il motivo dominante dell’eventuale riduzione del consumo. L’aumento del consumo, nelle famiglie in cui si è verificato, è invece dovuto essenzialmente a ragioni di “gusto”. Il “gusto” è anche il fattore predominante dell’aumento del consumo di altre bevande (birra, ecc.).
Circa le diverse cause che secondo l’Irvam possono considerarsi alla base della flessione del consumo del vino in Italia, si possono aggiungere alcune puntualizzazioni. Lo spostamento della popolazione attiva dall’agricoltura ad altre attività è documentato dalle cifre nella tabella C (ndr, vedi pdf dell’articolo originale). Come si vede la popolazione attiva in agricoltura, tradizionale consumatrice di vino, si è ridotta a meno della metà nel volgere di due decenni.

L’analisi dell’Unione Italiana Vini

Una diagnosi più recente sulle cause della flessione del consumo del vino in Italia è stata presentata dall’Unione Italiana Vini al Congresso nazionale del Commercio Vinicolo, tenutosi nel novembre 1981 a Milano.
In particolare l’Unione Italiana Vini segnala le seguenti possibili cause:
– la riduzione della popolazione rurale e la sua urbanizzazione;
– la modificazione dei costumi alimentari determinata soprattutto dalla diversa organizzazione del lavoro;
– lo sviluppo del consumo di bevande alternative dovuto anche a cospicue campagne pubblicitarie;
– le informazioni distorsive sia sotto il profilo della tutela della genuinità sia sotto il profilo sanitario;
– la maggiore propensione del consumatore a spese alternative al vino.
La predetta diminuzione del consumo, invece, per il vino non sembra imputabile – a parte taluni eccessi nel settore della ristorazione – a un costo della distribuzione troppo elevato o anomalo quale si lamenta per altri prodotti agricoli. Ciò per effetto del regime di libera concorrenza pressoché perfetto e dell’efficienza delle strutture esistenti nella fase della commercializzazione, mentre una rilevante aliquota del prodotto viene offerta direttamente al consumo da parte dei viticoltori in tutte le regioni italiane.

La necessità di un intervento statale

Considerata la situazione fin qui descritta, tutte le categorie professionali interessate alla vitivinicoltura, in Italia, hanno concordato sulla necessità di un intervento dei pubblici poteri a sostegno del consumo del vino, dovendosi considerare essenziale il mantenimento dei tradizionali livelli del predetto consumo, sia per il collocamento del prodotto della viticoltura, sia per l’equilibrio socio-economico dell’agricoltura italiana e in particolare:
– per gli insediamenti nelle zone collinari e in quelle a prevalente vocazione viticola;
– per l’economia delle aziende viticole in genere;
– per l’occupazione nelle varie fasi di produzione, trasformazione e distribuzione, come pure nelle attività collegate;
– per le stesse abitudini alimentari della popolazione.
È opinione corrente in Italia, avvallata anche da autorevoli economisti, che un consumo pro-capite di vino superiore ai 100 litri annui non sia più agevolmente compatibile con la struttura socio-economica del Paese. Si ritiene più realistico, per il futuro, uno scenario in cui i consumi più elevati di vino, in tutti i Paesi produttori, tenderanno a decrescere e quelli meno elevati, nei Paesi non produttori, tenderanno a salire. Forse è ipotizzabile un assestamento, nei Paesi produttori, intorno a un consumo di 80-90 litri di vino annui pro-capite.

Gli obiettivi del programma emersi nel Congresso

Ma se il consumo del vino, che in Italia rappresenta il 10% del prodotto lordo vendibile dell’agricoltura (1980: 2877 miliardi su un PLV di 29.434 miliardi), e un fatturato al consumo dell’ordine di 5.000 miliardi annui, viene abbandonato a sé stesso, anche le future condizioni economiche della viticoltura attuale, destinata a produrre per altri dieci, venti, trenta o più anni, restano affidate unicamente alla sorte. E ciò non sembra ragionevole, si creda o no sulla possibilità di risollevare il consumo del vino pro-capite in Italia.
Pertanto nel recente Congresso nazionale del Commercio Vinicolo, è stato affermato che è urgente e indispensabile intervenire con un programma a medio e lungo termine allo scopo di:
– informare meglio il consumatore circa il valore alimentare e gastronomico del vino, come pure circa le peculiari caratteristiche dei diversi tipi, anche in riferimento alle Doc, distinguendo il consumo salutare dall’abuso nocivo;
– estendere il moderato consumo del vino ai pasti;
– acquisire a favore del vino una maggiore quota della spesa delle famiglie, considerando anche che tale maggior quota potrebbe andare a detrimento sia di altre spese meno necessarie, sia di spese per prodotti alimentari di importazione; ricostruire soprattutto tra i giovani quella cultura vitivinicola che a lungo termine è certamente una delle motivazioni più profonde e delle basi stesse del consumo del vino in Italia.

Come fermare la flessione

Per raggiungere i predetti obiettivi, coi quali si potrebbe quanto meno bloccare a medio termine il declino del consumo pro capite del vino in Italia, è auspicabile una vasta campagna promozionale pluriennale, finanziata dai pubblici poteri (Stato, Regioni, Cee), e guidata da un Comitato nazionale costituito da tutte le organizzazioni nazionali rappresentative delle categorie vitivinicole, accompagnata da concrete, incisive misure di disciplina vitivinicola, tendenti a elevare ulteriormente il livello qualitativo sia dei vini da tavola sia, e in special modo, dei vini a Denominazione d’origine.

Antonio Niederbacher, all’epoca amministratore delegato dell’Unione Italiana Vini e direttore del Corriere Vinicolo

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