Uno sguardo su Bordeaux 2020 e oltre
A distanza di quasi due anni da una campagna en primeur condizionata dalle restrizioni della pandemia, la critica enologica fa il punto sui vini di Bordeaux figli dell’annata 2020. Da molti definita “classica” e “promettente”, nonostante un andamento del clima segnato dal caldo e dalla siccità che hanno colpito la regione vinicola francese, la 2020 chiude una grande trilogia di annate.
Per approfondimenti: Jane Anson, Decanter, Antonio Galloni, Wine Spectator, Decanter, Decanter e Robert Parker Wine Advocate
Basse rese (in media circa il 25% in meno rispetto al 2019), bucce spesse e acini piccoli, hanno portato a vini generalmente caratterizzati da tannini fitti, ottima struttura e concentrazione. Per l’esperta di Bordeaux Jane Anson si tratta di prodotti dal grande potenziale di invecchiamento, nel complesso ben bilanciati e superiori ai 2021, anche se non all’altezza delle due annate precedenti.
La trilogia di Bordeaux: panoramica e paragoni della critica
Anche per Georgie Hindle, che ne ha scritto su Decanter, il 2020 ha prodotto una serie di ottimi vini. In parte, si può confermare come la degna conclusione di tre buone annate: 2018, 2019 e, appunto, 2020. Aiutandosi con dei paragoni, la giornalista afferma: «Le etichette 2020 offrono qualcosa per ogni amante di Bordeaux. Sono una combinazione tra le 2005 e 2016 in termini di struttura e raffinatezza, più eleganti e fresche delle mature e opulente 2018, ma meno immediate e affascinanti delle 2019». Per Antonio Galloni, invece, «la 2020 è di gran lunga la più consistente delle tre annate della cosiddetta trilogia di Bordeaux. (…) È un anno ricco di vini fenomenali a tutti i livelli».
Secondo James Molesworth, senior editor di Wine Spectator: «I migliori vini mostrano un’enorme profondità di frutta, con palati ricchi e ampi che mettono in risalto i sentori della terra e gli accenti di tabacco».
Château d’Yquem 2020: è l’anno del rilancio e dei nuovi abbinamenti
Lo scorso 23 marzo è stata immessa sul mercato la 2020 di Château d’Yquem: 75% Sémillon e 25% Sauvignon blanc. Per l’occasione, l’iconico Sauternes ha promosso un’iniziativa già presentata lo scorso anno, ovvero un programma di promozione denominato “Lighthouse”. Si tratta di una comunità di destinazioni gastronomiche selezionate in tutto il mondo come “fari”; ambasciatori in grado di promuovere nuovi modi e abbinamenti per degustare Château d’Yquem non solamente con i dessert o come vino da meditazione.
«Cento anni fa, i vini di Sauternes venivano serviti all’inizio di un pasto. Quindi vogliamo mostrare tutte le possibilità di abbinamento», spiega Lorenzo Pasquini, estate manager di Château d’Yquem. Oggi sono 45 e sparsi in tutto il mondo i ristoranti che propongono la famosa etichetta abbinandola a diverse portate: dal foie gras al sushi.
Evoluzione e nuove prospettive di consumo per i Sauternes
Anche il più famoso Sauternes sta evolvendo: «Negli ultimi dieci anni abbiamo lavorato per preservare e valorizzare il frutto primario. È molto espressivo nella sua giovinezza e può essere universale. Un vino che può parlare a tutti i palati, dagli esperti ai neofiti», continua Pasquini intervistato da Decanter. La stessa rivista riporta in un altro articolo la volontà di altri produttori di Sauternes di contrastare la diminuzione dell’interesse tra i consumatori per i vini dolci guardando all’arte del bere miscelato come nuova via di vendita e di promozione, in particolare tra i più giovani. Anche il Conseil Interprofessionel du Vin de Bordeaux (CIVB) ha appoggiato la proposta; sono già diversi i locali che propongono cocktail a base di Sauternes (Decanter).
Una riflessione sullo stato dell’arte dei vini di Bordeaux
Tra alti e bassi, un passato glorioso e sfide future, i vini di Bordeaux continuano a essere i protagonisti della scena enologica mondiale, sebbene sempre più spesso «messi sfavorevolmente a confronto con la Borgogna», scrive William Kelley in una lunga e dettagliata riflessione sullo stato dell’arte dei vini bordolesi per il sito di Robert Parker Wine Advocate. «Bordeaux non ha mai avuto carenza di sostenitori tra i critici del vino, anche se a volte fatica a entusiasmare una nuova generazione di bevitori», si legge all’interno del report. Passando in rassegna le recenti evoluzioni agronomiche ed enologiche e spiegando come si manifestano nel calice in quello che i giornalisti sempre più spesso chiamano il “classicismo contemporaneo” di Bordeaux, Kelley esplora la capacità di adattamento – produttivo, stilistico e, non meno importante, ecologico – dei grandi Châteaux bordolesi. Per farlo, l’autore ha passato oltre 15 settimane nella regione francese, visitando oltre 500 Tenute.
Il coraggio di cambiare
«A mio avviso, la forza del Bordeaux nel suo complesso è la capacità di coniugare qualità e quantità. E questo dovrebbe essere l’obiettivo di ogni grande area produttiva», afferma William Kelley. Kelley dà merito ai protagonisti di Bordeaux, ovvero alla sua comunità. «Se l’intera regione sta assistendo a un rapido progresso agronomico e tecnico, è grazie a un’intera comunità di persone appassionate, intelligenti e competenti che ha avuto il coraggio di attuare cambiamenti». In conclusione: «Hanno capito che Bordeaux è una delle più grandi regioni viticole del mondo non per l’opulenza dei suoi vini, ma per la loro armonia e un’intensità senza peso e complessità. Sono qualità difficili da raggiungere con questi vitigni in altre regioni, ma costituiscono il grande vantaggio competitivo di Bordeaux nel mondo del vino».
Foto di apertura: l’annata 2020 di Bordeaux, anche se figlia di una stagione difficile, sembra essere molto promettente © J. Benazet su Unsplash
Tag: Antonio Galloni, Bordeaux 2020, Decanter, Jane Anson, Robert Parker, Wine Spectator© Riproduzione riservata - 30/03/2023