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Nomi insoliti (2). Alla scoperta dei vitigni dall’etimologia curiosa

Nomi insoliti (2). Alla scoperta dei vitigni dall’etimologia curiosa

Il patrimonio ampelografico della nostra Penisola è tra i più ricchi al mondo. Non potevano dunque mancare cultivar dal nome fantasioso se non “improbabile”. Ecco una rassegna di alcune fra le uve dagli appellativi più bizzarri.

Nella puntata precedente abbiamo parlato dell’origine dei nomi delle Doc e Docg italiane più curiosi e bizzarri. Per poi esporre una breve “assaggio” degli etimi più stravaganti di alcuni vitigni nostrani.  La vastità delle cultivar del Belpaese merita tuttavia una trattazione ulteriore. Ecco allora una carrellata, non certo esaustiva ma certamente evocativa, della fantasia umana nell’appellare alcune bacche da vino.

Dal laziale Bellone al gallurese Caricagiola

Uva bianca laziale, il Bellone vanta una storia antichissima. Nel 1596 il Bacci vedeva nell’uva Pantastica, già conosciuta in epoca romana e descritta da Plinio, il progenitore di questo vitigno. Nel Bollettino Ampelografico del 1881, con il termine Bellone era indicata una varietà con grappoli di dimensioni maggiori, ma con caratteri analoghi ai “Belli”, una famiglia di bacche molto diffuse nel Lazio; da qui il suo nome. Singolari anche alcuni suoi sinonimi, quali Cacchione, Zinnavacca, Arciprete.
Sull’origine del Caricagiola, varietà a bacca rossa diffusa soprattutto in Gallura, vi sono diverse opinioni. La prima teoria, probabilmente la più attendibile, è quella che fornisce anche la possibile origine del suo appellativo. Un certo Foëx, nel 1895, cita un Carcajola allevato in Corsica e successivamente importato in Sardegna; guarda caso in lingua corsa Carcaghjolu nero significa “nero che dà molta uva”.

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Viti storiche di Enantio franche di piede de La Prebenda

Coda di Pecora ed Enantio

A inizio Novecento lo si pensava sinonimo dell’altrettanto campano Coda di Volpe, ma la sua morfologia, comportamento fenologico e diffusione affossarono rapidamente tale ipotesi, confermata definitivamente errata dai più recenti studi genetici. Probabilmente sono più corrette le antecedenti conclusioni del Frojo, che attribuisce al Coda di Pecora una sinonimia col Verdicchio di Caiazzo. Sia come sia, il suo nome deriva dalla singolare forma del grappolo, che ricorda appunto la coda di un ovino.
L’Enantio è così chiamato solo da pochi anni. Un nome scelto per esigenze commerciali e per caratterizzare ulteriormente la zona di coltivazione: Enantio della Terra dei Forti. Di fatto si tratta dell’antico Lambrusco a foglia frastagliata, vitigno che assomiglia alle tante varietà della grande famiglia dei i Lambrusco, ma che possiede una propria differenza genetica.

Variazioni sul tema: Erbaluce ed Erbamat

Originario della provincia di Torino, il nome Erbaluce è oggetto di alcuni dibattiti, con alcuni che sostengono che derivi dal colore ramato dei suoi grappoli nel sole alpino, mentre altri dicono che provenga dalla dea Albaluce, che nacque su una collina a Caluso e le cui lacrime spinsero il vitigno Erbaluce a spuntare dal terreno.
L’Erbamat, invece, è un’antica uva autoctona bresciana. Molto utilizzata in passato, è stata abbandonata nel corso degli anni, sostituita da varietà più facilmente gestibili da un punto di vista agronomico e più remunerative. Dotata di grande acidità e profumi delicati, questa cultivar è stata oggetto negli ultimi anni di diversi studi, entrando nella composizione del Franciacorta. Ciò perché ha una maturazione tardiva ed è molto ricca sia di acido tartarico sia di malico, caratteristica mancante allo Chardonnay; considerazioni che hanno appunto riportato in auge questa bacca. Il suo nome deriva dalla colorazione verde della buccia, che rimane tale anche quando i grappoli sono maturi. 

Il Grecomusc’ campano e la Molinara veronese

Cantine Lonardo di Taurasi, in provincia di Avellino, ha riscoperto alcuni anni fa un vitigno che si credeva quasi perduto. Si chiama Grecomusc’ ed è citato in alcuni testi ampelografici di fine Ottocento. Varietà diffusa a macchia di leopardo nel comprensorio, è frutto di vecchi ceppi a piede franco sparsi nei vigneti. Sua caratteristica – da qui il suo nome – è di avere una buccia che cresce a dismisura rispetto alla polpa, dando agli acini un aspetto “moscio”; ciò per la scarsa disponibilità di acqua nel periodo di maggior accrescimento delle bacche. Tutto questo rende molto bassa la sua resa in vino.
Ci spostiamo in Veneto, al cospetto dei grappoli di Molinara. La presenza sulle colline veronesi è testimoniata fin dagli inizi dell’800. Il suo nome deriva dalla consistente pruinosità che ricopre la buccia, tanto da farla sembrare infarinata; da qui, anche il sinonimo Uva del Mulino. È conosciuta pure come Brepon e Ua Salà (uva salata), per il suo particolare equilibrio che, senza fare risaltare acidità e tannini, finisce per sottolinearne la sapidità e l’eleganza.

Foto di apertura: secondo un’antica leggenda il nome Erbaluce è legato ad una dea di nome Albaluce, nata su una collina a Caluso.

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© Riproduzione riservata - 17/01/2023

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