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Nomi insoliti (1). Alla scoperta delle varietà e delle denominazioni più curiose

Nomi insoliti (1). Alla scoperta delle varietà e delle denominazioni più curiose

Sono tante le denominazioni e i vitigni dai nomi fantasiosi. Le ragioni possono essere storiche, geografiche e dialettali. In alcuni casi si tratta di termini criptici, in altri di lemmi che sembrano lontani dal mondo enoico. Una panoramica tutta italiana.

Sono numerosi i vini che stupiscono, prima ancora di assaggiarli, solo per il nome che portano. A volte è la denominazione che obbliga il produttore a impiegare dei lemmi o toponimi particolari, in genere dovuti a motivazioni storico-geografiche. In altri casi è il vitigno utilizzato (e quindi il vino derivante) a essere nomato in modo inusuale. Per svariate ragione: storiche, antropologiche, culturali, commerciali, o per particolari caratteristiche della cultivar stessa. Infine, vi sono casi in cui è lo stesso vignaiolo a ricorrere a bizzarri nomi di fantasia, per trasgressione, per le emozioni che reputa evocare il suo vino, per dedicarlo a qualche sua passione. In questo primo capitolo della serie “Nomi insoliti” ci concentreremo sulla stranezza dei nomi di alcune denominazione e vitigni, raccontati in ordine alfabetico. Nelle prossime puntate parleremo dei nomi dall’etimo più particolare derivanti dalle “sottozone” di origine. Infine ci concentreremo sui “titoli” aziendali di fantasia più estrosi.

All’origine del Buttafuoco

Cominciamo dal Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese Doc: secondo una ricostruzione non supportata da prove certe, il nome Buttafuoco è ritenuto da taluni essere stato coniato dal poeta milanese Carlo Porta, che parrebbe essere stato un suo convinto estimatore. Ma molti storici propendono per un’origine meno “colta”, ritenendo il nome derivato dalla frase dialettale buta me’ al fuegh, ovvero “sprizza come il fuoco”. Altra ipotesi: è provato che una nave dell’Imperial Marina Austriaca, passata nel 1919 alla flotta del Regno d’Italia, portasse il nome Feuerspeier, ovvero Buttafuoco: nome che pare derivare dal fatto che un gruppo di marinai austriaci, durante la II Guerra d’Indipendenza, si perse a causa di una colossale bevuta proprio di Buttafuoco.

Le varietà Cacc’e mmitte e Dolcetto

Cacc’e mmitte di Lucera è una Doc foggiana. L’astruso nome di questo rosso deriva da una particolare procedura di vinificazione: i proprietari dei palmenti, latifondisti con strutture adeguate per procedere alla vinificazione, fittavano attrezzature e strutture per la lavorazione vino. Più utilizzatori le noleggiavano e più erano gli introiti. Di qui la fretta nello svuotare (cacc), e nel riempire (mmitte) i palmenti; l’affittuario toglieva il mosto appena prodotto e lo trasferiva alla sua cantina per rendere subito disponibile la struttura per un nuovo “utente”.
Dolcetto (d’Alba, d’Ovada, Dogliani, d’Acqui…), nome di per sé “innocuo”, se non fosse che si riferisce a un vino rosso del tutto secco. Il lemma è da associarsi alla dolcezza della polpa, assai più marcato rispetto alle altre uve piemontesi. L’acidità di questo vitigno, e del vino che ne deriva, infatti, è decisamente più contenuta rispetto a quella della Barbera e i tannini sono meno incisivi di quelli del Nebbiolo; pertanto l’etimo deriva da un confronto con gli altri vini di Langa.

Ragioni e predilezioni religiose

Altro vino (bianco) dall’insolito titolo è l’Est! Est!! Est!!! di Montefiascone Doc. Correva l’anno 1111 ed Enrico V di Franconia si stava recando da Papa Pasquale II per ricevere il titolo di IV imperatore del Sacro Romano Impero; con lui viaggiava Johannes Defuk, vescovo amante del vino. Il coppiere dell’ecclesiastico, Martino, aveva il compito di precederlo e scovare le locande che servivano il vino migliore, segnalandole con la dicitura Est (“C’è”). Giunto a Montefiascone, Martino fu tanto colpito dalla qualità del vino locale da scrivere tre volte Est!
Il Lacryma Christi Doc deve il suo nome a un racconto secondo cui Lucifero, cacciato dal Paradiso, rubò dispettosamente proprio un pezzo del Paradiso per generare il Golfo di Napoli. Appena completato il furto, sprofondò poi nelle viscere dell’Inferno lasciando dietro di sé una voragine da cui sorse il Vesuvio. Così Gesù pianse per il compiuto sacrilegio, lacrime che resero il suolo così fertile da ospitare le prime pianti di vite vesuviana. Meno suggestiva la verità storica, che racconta di un terreno particolarmente fecondo non per un divin dolore, bensì per il suolo lavico poi scientificamente riconosciuto tra i migliori per la produzione di vini di qualità.

Sciacchetrà, pigiatura o rinforzo

Altro nome curioso è quello del Cinque Terre Sciacchetrà Doc. L’etimologia parrebbe richiamare a sciacca (pigia) e tra’ (trai, nel senso di spillare dalla botte). Il dubbio viene dal fatto che questo passito bianco non è ottenuto così, perché, pigiate le uve appassite, il mosto macera per un certo tempo prima della svinatura e fermentazione. Per il pittore Telemaco Signorini, che a fine ’800 fu tra i primi a usare il nome sciacchetrà (precisamente sceccatras), sarebbe stato il modo con cui lo chiamavano “i preti”, perché la gente del posto lo chiamava refursà o renfursà (rinforzato) o vin duse (vino dolce).

Vitigni, specie animali, vegetali e parti del corpo

Sono numerosissimi i vitigni dai nomi singolari, ancor più che le denominazioni dei vini. Di seguito alcuni esempi. Il campano Cacamosca deve il suo nome alla presenza sulle bucce di macchie brunastre, simili a escrementi di mosca appunto. II vesuviano Caprettone potrebbe far riferimento alla forma del suo grappolo, che ricorda la barbetta della capra, oppure al fatto che i suoi primi coltivatori fossero pastori. La vicentina Durella deve il suo nome allo spessore e alla consistenza coriacea delle sue bucce; ma per taluni l’etimologia si rifà all’estrema acidità del vino che ne deriva. Il calabrese Gaglioppo deriva il suo nome da un termine greco che significa “bellissimo piede”, ossia il rachide e quindi il grappolo: in effetti ammirare quest’uva matura è esteticamente appagante.
La siciliana uva Grillo, deve poeticamente il suo nome alla capacità di allietare le notti estive alla stessa stregua del canto del grillo. Il toscano Mammolo ha un’etimologia evocativa: genera un vino dal profumo di viola mammola. La Minella, siamo sull’Etna, ha un acino simile a un minna (seno). Il Monica per alcuni è giunto in Sardegna grazie ai monaci camaldolesi (da qui il nome), per altri è approdato sull’isola più tardi, con spagnoli, chiamato Morillo, quindi Uva Mora, infine, attraverso corruzioni linguistiche, Monica.
Il Nebbiolo è così chiamato per la copiosa pruina presente sulle bucce tanto da farle sembrare avvolte dalla foschia; per altri la sua maturazione molto tardiva fa coincidere la vendemmia con il periodo delle nebbie. La trentina Nosiola è foriera di vini dagli inebrianti profumi di nocciole tostate. La veronese Oseleta è molto gradita gli uccelli! Il nome Pecorino, assegnato a questo vitigno aprutino-piceno, è legato al fatto che la partenza per la transumanza coincideva con il periodo di maturazione di quest’uva e le pecore erano attratte dai suoi dolci grappoli.

Altre uve tipiche dai nomi bizzarri

Il campano Per’e Palummo (Piedirosso), deve il suo nome alla colorazione rossa che prendono rachide e pedicello al momento della maturazione; ricordano la zampa dei colombi. Il friulano Schioppettino è così chiamato per la sua “croccantezza” al palato e per il fatto che i suoi acini, se masticati, per la loro spessa buccia, “scoppiettano”. Il brindisino Susumaniello dovrebbe ricondurre alla principale caratteristica del vitigno: quella di essere molto produttivo, tanto da “caricarsi” come un somarello. Il riscoperto Tazzelenghe, dei Colli orientali del Friuli, genera vini molto tannici e acidi, che “tagliano la lingua”. L’Uva di Troia, oggi giustamente rivalutata, tra il foggiano e il barese, non si riferisce a sue presunte origini micene; sono altre le ipotesi attendibili. O proviene dall’omonimo comune foggiano, oppure dalla cittadina albanese Cruja, nome poi trasformato dialettalmente in Troia.

Foto di apertura: la forma del grappolo del Caprettone ricorda la barbetta della capra, da cui il nome dell’uva

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© Riproduzione riservata - 11/01/2023

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