L’insostenibile pesantezza della sostenibilità
Il Convegno per i 100 anni del Consorzio Chianti Classico è diventato l’occasione di una riflessione che il direttore Alessandro Torcoli ha espresso nell’editoriale del nuovo numero di Civiltà del bere, in uscita in questi giorni. L’argomento è fondamentale per il futuro del settore e non solo, ma sembra non suscitare più molto interesse.
Tre ore di convegno senza pausa caffè. Il moderatore, navigato professionista, al termine lo definirà con autoironia “quasi un congresso di partito di altri tempi”, ringraziandoci per la pazienza. Un po’ lungo, non c’è dubbio. Ma è questo il problema? Il tema dell’incontro era di estremo interesse, le testimonianze di peso e internazionali (da Champagne, Borgogna, Douro, Barolo, Chianti Classico, Oregon), l’occasione importante: i 100 anni del Consorzio Chianti Classico, il Gallo Nero, celebrati a Firenze il 14 maggio nel salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. Siamo un po’ stanchi, è vero, ma soprattutto proviamo un senso di inquietudine. Perché? Purtroppo, temiamo che la risposta riguardi proprio il tema. Purtroppo, perché si tratta di una questione fondamentale che dovrebbe essere l’ossessione del mondo: la sostenibilità, che comincia a provocare troppi sbadigli.
Un tema che non appassiona più
A Vinitaly pare che la questione ambientale sia echeggiata più tra le sale semideserte delle conferenze che tra gli stand affollati dei produttori. Pochi viticoltori hanno realmente enfatizzato ai visitatori le “buone pratiche”, i percorsi virtuosi per l’ambiente e la collettività. Sembrano poco interessati al grande tema anche i wine lover iscritti al prestigioso magazine Wine Advocate, che ha realizzato un sondaggio sulle motivazioni che li guidano nelle scelte. Sono consumatori abbienti che potrebbero pagare un sovrapprezzo per vini più “etici”, dato che spendono una media di duemila dollari al mese in vino. «La sostenibilità purtroppo non è una priorità», ha ammesso Monica Larner durante il convegno. Il fattore biologico/biodinamico è solo al 13° posto e si colloca più in basso dell’estetica dell’etichetta, per capirci. Ci credono un po’ di più i giovani, secondo David Gleave MW e fondatore della Liberty Wines nel Regno Unito («sono disposti a pagare un sovrapprezzo per etichette sostenibili, perché i vini “parlano di noi”»).
Non è mai successo nella storia dell’enologia che vi fosse tanto scollamento tra impegno delle imprese (perché essere sostenibili comporta un enorme sforzo burocratico, finanziario, organizzativo…) e consumatori.
La sostenibiltà non è una moda
Lo stile del vino ha sempre seguito rapidamente la domanda: se piace la barrique, usano tutti la barrique; se i consumatori cercano gli autoctoni, piantiamo tutti vitigni indigeni, e via dicendo. Ma possiamo considerare la sostenibilità una moda? No, non possiamo permettercelo. E dunque, perché interessa così poco? Come possiamo rendere più attraente il tema? Forse è una questione di comunicazione, non di sostanza. Siamo (quasi) tutti convinti della necessità di pensare alla sostenibilità, solo che la parola si sta logorando. Per Monica Larner è doveroso trovare un modo di trasmetterne l’importanza e la sua testata ha istituito un premio ad hoc. La strada in Italia è stata aperta da Slow Wine, con le sue chiocciole, seguita da molti critici che oggi segnalano i comportamenti virtuosi per ambiente e società.
Qualcosa si muove a livello legislativo
La legge comunitaria imporrà alla maggior parte delle aziende la redazione del bilancio di sostenibilità: è già obbligatorio dal gennaio di quest’anno per le imprese con più di 250 dipendenti e un fatturato superiore ai 20 milioni di euro, dal 2027 toccherà alle Pmi (Piccole e medie imprese). Alcuni produttori virtuosi hanno cominciato a redigerlo, pubblicano tomi patinati che pochi leggono. Il Chianti Classico si è coraggiosamente confrontato con grandi regioni vinicole sulla questione. Ha anche presentato il suo “Manifesto”, composto da 57 requisiti, l’ideale cui i soci del Consorzio dovranno tendere per rendere la regione sempre più virtuosa. Chapeau. Ma resta il dubbio: come possiamo sostenere l’insostenibile pesantezza della sostenibilità? Rendendola più rock o più sexy, come direbbero gli americani? Purtroppo, serve un altro convegno sul tema.
Foto di apertura: gli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda Onu 2030
Tag: David Gleave MW, Monica Larner, sostenibilità© Riproduzione riservata - 24/05/2024