Siamo (davvero) in una fase di transizione

Siamo (davvero) in una fase di transizione

Nell’editoriale dell’ultimo numero di Civiltà del bere il direttore Alessandro Torcoli introduce il tema della monografia: il futuro del nostro settore. La terza edizione dell’inchiesta (dopo quelle che abbiamo realizzato negli anni Duemila e nei Dieci) ha coinvolto personaggi di primo piano del panorama enologico italiano, chiamati ad azzardare previsioni sul “vino che sarà”.

Sull’ultimo numero dell’anno (Civiltà del bere 4/2024) abbiamo pubblicato la terza edizione della nostra inchiesta sul futuro del mondo del vino, realizzata negli anni Duemila, nei Dieci e ora nei Venti, per interrogarci sulla direzione che sta prendendo il settore, nei suoi vari ambiti: vigna, cantina, marketing, distribuzione, ecc. Ringraziamo gli autori: alcuni sono i medesimi, e si sono coraggiosamente confrontati coi propri “vaticini” del passato, altri si sono cimentati per la prima volta. Tutti – dobbiamo dire – un poco preoccupati di azzardare previsioni. E come biasimarli, considerata la velocità delle trasformazioni in ogni campo e la volubilità del presente? Per questo, un doppio grazie, per aver accettato la sfida, oltre che per averci dedicato del tempo.

La cautela è d’obbligo

I nostri autori sono stati cauti: se 10 anni (questo l’orizzonte di previsione) non sono molti, bisogna anche dire che 10 anni fa nessuno si aspettava che avremmo sperimentato, a livello personale e popolare, l’Intelligenza artificiale, né si immaginava che una pandemia avrebbe impattato così pesantemente sull’organizzazione del lavoro, generando milioni di nomadi digitali e di smart worker, collegati più in video che dal vivo. Inoltre, ciò che rende particolarmente arduo prevedere le scelte dei consumatori di vino, oggi il dibattito pubblico sembra impazzito, è molto più caotico rispetto ad allora, quando al limite ci domandavamo se avremmo gradito meno barrique e più anfore.

Siamo di fronte a un cambiamento di paradigma?

Certo, vale sempre il paradosso di Flaiano: “Siamo in una fase di transizione, come sempre”, ma se – nel mondo del vino – qualcuno parla di “fine di un’epoca”, allora forse ci tocca smentire il grande intellettuale abruzzese, perché ci troviamo in una fase di transizione particolare, forse sull’orlo di quell’abisso che teorizzava Thomas Kuhn nel suo testo La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962). Siamo di fronte a un cambiamento di paradigma? Secondo Kuhn, infatti, con il paradigma cambia la visione del mondo. E quando si accumulano troppe anomalie contro un paradigma corrente, si verifica una crisi, si affacciano nuove idee, si scontrano i seguaci del vecchio e del nuovo.

Un periodo pieno di contrasti e contraddizioni

Per quanto questa riflessione riguardasse le scienze esatte, non è difficile coglierne un insegnamento anche su quelle sociali. E se contiamo le anomalie e le stranezze scritte o dette in questi ultimi anni, riguardo al vino, potremmo facilmente dedurne che a breve si verificherà il temuto smottamento. Ma in particolare sono le contraddizioni a colpire: quando vale tutto e il contrario di tutto, qualcosa non funziona. E anzi, si potrebbe dire che oggi ci sia un grande disaccordo su ogni cosa. Qualche esempio: il cambiamento climatico, la sostenibilità, la vite a piede franco, la vigna vecchia, i vitigni resistenti, i lieviti indigeni e quelli selezionati, la biodinamica, il vino naturale, quello de-alcolato, quello macerato, affinato in anfora, in granito, sott’acqua o in miniera. E anche sul mercato, si discute: l’e-commerce, la fuga dei giovani, gli spumanti, i rossi palestrati, quelli troppo smagriti, gli eventi, i social media, la comunicazione…

Nell’incertezza vincono i classici

In 25 anni, non crediamo di aver visto tante battaglie, talvolta anche scioccamente ideologiche, perché ci piace ideologizzare tutto, sin dai tempi dei proclami di Veronelli a favore del vino “contadino”. Ecco perché comprendiamo il disagio dei nostri autori, chiamati a pronunciarsi sul futuro, perché se avesse ragione Kuhn, tra 10 anni il mondo potrebbe essere stravolto, ma nessuno sa in quale direzione. Per non lasciare soli i nostri autori, allora, azzardiamo una previsione provocatoria: al netto di un inesorabile declino del vino “quotidiano”, perché pochi potranno permettersi di bere tutti i giorni (per la salute o per il portafoglio) gli anni Trenta saranno gli anni degli eterni bordolesi, del Nebbiolo in botte grande, dei bianchi minerali, del Sangiovese etereo. Perché? Perché nell’incertezza vincono i classici.

Foto di apertura: © alexasfotos – Pexels

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© Riproduzione riservata - 23/12/2024

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