Le virtù dei portinnesti M “misurate” in vigna
Nati da una ricerca dell’Università di Milano partita 30 anni fa, oggi i portinnesti “serie M” sono al banco di prova agronomico ed enologico. I primi risultati confermano la loro capacità di adattamento al cambiamento climatico e di produzione di vini equilibrati, freschi e piacevoli per il consumatore moderno.
Ne abbiamo parlato più volte nel corso degli anni, e l’ultimo articolo dedicato ai portinnesti M risale a marzo scorso (Resistenza! Capitolo 3: ripartiamo dalle radici con i portinnesti). Frutto di una ricerca trentennale dell’Università di Milano e commercializzati in esclusiva dai Vivai cooperativi Rauscedo, i quattro portinnesti “serie M” (M1, M2, M3, M4) sono stati iscritti nel 2014 nel Registro nazionale delle varietà di vite. Ma il loro iter non finisce qui: la società Winegraft, creata all’uopo, ha dato vita a 30 vigneti sperimentali, dai quali ora si raccolgono i primi risultati agronomici ed enologici. Ne hanno parlato ricercatori ed enologi al webinar “Portinnesti M, una scelta radicale”, che si è svolto a metà marzo e che è visionabile qui.
La storia e lo stato dell’arte
«Costruire un portinnesto richiede un tempo decisamente lungo, circa 25-30 anni (con selezione fenotipica, nda)», spiega nell’introduzione Eugenio Sartori, direttore di Vivai cooperativi Rauscedo. «Dagli anni Trenta al 1984 i portinnesti utilizzati da noi sono passati da 7 a 12. Ma negli anni a seguire il cambiamento climatico ha cambiato il modello viticolo ed è emersa la necessità di disporre di una gamma molto più ampia di portinnesti». Attualmente se ne utilizzano 24 su 39 iscritti a Registro, ma il 96% della superficie di piante madri riguarda solo 6 tipologie (1103P, Kober5bb, SO4, 110R, 420A, 140Ru).
Il recupero della variabilità genetica
I portinnesti oggi dominanti, selezionati con gli obiettivi principali della resistenza alla fillossera (ancora presente in Italia) e della tolleranza alla clorosi ferrica, sono stati ottenuti da incroci tra Vitis riparia, Vitis berlandieri e Vitis rupestris – gli stessi portinnesti M sono stati creati utilizzando Vitis berlandieri con la tecnica del backcross o reincrocio – effettuati con un numero esiguo di genitori, il che riduce notevolmente la loro variabilità genetica. «Per questo il futuro della ricerca dei portinnesti parte dal recupero di una maggiore variabilità genetica», dice il professor Attilio Scienza dell’Università di Milano, «proveniente da specie americane che vivono in condizioni estreme. L’Università di Milano ha infatti collezionato 150 mila semi di viti selvatiche provenienti da aree come il Grand Canyon (Vitis cinerea var. helleri, il nome “moderno” della Vitis berlandieri) o laghi salati (Vitis arizonica). I nuovi portinnesti della serie M arriveranno da qui».
Le caratteristiche di resistenza
La forza per affrontare le sfide del domani risiede, quindi, nell’unione tra la viticoltura europea e quella americana.
«I portinnesti M sono stati oggetto di sperimentazioni in diverse aziende ospitanti lungo tutta la penisola», racconta Lucio Brancadoro, professore dell’Università di Milano. «Le condizioni pedoclimatiche di estrema variabilità tra le zone – che vedono, per esempio, sia il Trentino con una piovosità di 965 mm all’anno sia le aree interne della Sicilia con 498 mm – hanno permesso di comprendere quanto più possibile le performance dei portinnesti M». Anni di ricerche e comparazioni con altri portinnesti hanno evidenziato in generale una maggior tolleranza dei “serie M” a stress idrici, salinità e clorosi ferrica.
Un contributo alla sostenibilità
I portinnesti M hanno evidenziato il loro contributo anche sul fronte della sostenibilità.
«Considerando una produzione media di uva di 120 q/ha, per 85 hl di vino», dichiara Marcello Lunelli, del gruppo Lunelli, in qualità di presidente di Winegraft, «il consumo idrico stimato è di circa 82 mila hl/ha. Secondo l’associazione Water Footprint Network, il ricorso ai portinnesti M consente di risparmiare 25 mila hl/ha di acqua ogni anno (-30%). Considerando una produzione media lombarda di circa 1,5 milioni di hl di vino, se tutti gli ettari fossero innestati su M si risparmierebbero ogni anno 458 milioni di hl di acqua. Un volume pari a tre volte il lago di Iseo solo in questa regione».
Le scelte dei viticoltori
Nel 2020 a Rauscedo sono state prodotte 290 mila barbatelle di diverse varietà innestate sulla serie M, commercializzate quasi tutte in Italia. Nel 2021 ne sono previste 650 mila ed entro l’annata 2024-25 si arriverà a 3 milioni di barbatelle all’anno.
«La scelta dei viticoltori ricade su M1 e M3», dice Yuri Zambon di Vivai cooperativi Rauscedo, «se l’obiettivo è quello di ottenere più qualità. M2 e M4 per chi cerca maggiore vigoria e resistenza agli stress idrici».
Tenute Ruffino, a Pontassieve (Firenze), utilizza i “serie M” da 18 anni per Sangiovese e Cabernet Sauvignon – il primo impianto risale al 2003.
«M2 e M4 si confermano i più vigorosi», spiega il direttore Maurizio Bogoni, «garantendo i migliori risultati e una stabilità produttiva anche nelle annate siccitose, M1 e M3 si sono rivelati più adatti per la produzione di Sangiovese strutturati».
Le esperienze in campo
«A Castello Banfi a Montalcino (Siena)», racconta Paolo Storchi del Crea di Arezzo, che lì ha seguito un impianto sperimentale, «i portinnesti M, a parità di rese, hanno indotto la produzione di acini e grappoli più piccoli e la tendenza a un pH più basso».
Claudio Quarta (Tenute Eméra, Cantina Sanpaolo e Moros) ha utilizzato i “serie M” nei vigneti pugliesi di Negroamaro (M2 e M4). Dopo i primi risultati positivi ha impiantato anche un nuovo vigneto di Primitivo sugli stessi portinnesti.
Le prove enologiche
Nel 2017 sono iniziate le prove enologiche del Wine Research Team, impresa di rete di 40 aziende (38 in Italia, una a Bordeaux e una in Giappone) coordinata da Riccardo Cotarella, per verificare il potenziale dei portinnesti M. Tali prove si sono svolte in 15 aziende nazionali su 13 vitigni innestati – Chardonnay, Glera, Trebbiano, Sangiovese, Fiano, Maceratino, Aglianico, Negroamaro, Verdicchio, Falanghina, Pinot bianco, Cabernet Sauvignon, Sauvignon, compresa la varietà resistente Sauvignon Kretos – a confronto con quelli comunemente utilizzati. «Dal punto di vista agronomico, a parità di produzione i portinnesti M garantiscono più grappoli e più piccoli», dice Nicola Biasi, consulente enologico e coordinatore del Wine Research Team. «I risultati enologici confermano la capacità di portare le uve a perfetta maturazione preservando un’acidità totale maggiore, un pH più basso e un’alcolicità leggermente inferiore. I vini che ne derivano sono equilibrati e adatti al consumatore di oggi, che ricerca freschezza e bevibilità».
Foto di apertura: il diverso portamento delle piante madri di portinnesti M in un impianto palificato a Rauscedo
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