
La ricerca dell’identità nell’era della globalizzazione

A luglio ci siamo interrogati su un tema nevralgico che investe i territori, i quali devono promuovere una propria identità tenendo conto di due forze talvolta contrastanti, quella dell’affermazione di uno stile di brand, del singolo produttore, e quella di caratterizzare le denominazioni al fine di renderne riconoscibili i vini.
Ci ha scritto Giancarlo Vettorello, che ha diretto un importante Consorzio di tutela e che oggi coordina l’Ufficio Vitivinicolo Federazione Regionale Coldiretti Veneto. Volentieri proponiamo la sua riflessione:
Come far convivere campanile e globo?
Il tema affrontato da Alessandro Torcoli nell’editoriale “Verso un Medioevo illuminato” mi è particolarmente caro e, per dirla in sintesi, mi trova perfettamente d’accordo con le tesi dell’autore. La convivenza tra spinte globalizzatrici dei grandi gruppi e rivendicazioni o meglio evidenze locali, è non solo possibile ma, dal mio punto di vista, auspicabile. Anche perché, diciamolo subito, spesso nella stessa azienda, in Italia, convivono linee o marchi, dedicati a molti diversi segmenti. Soprattutto per una viticoltura, come quella italiana, fatta di tante diversità ambientali, varietali, colturali e culturali.
L’esempio del Nobile di Montepulciano
Una sintesi che mi sembra sia riassunta in modo perfetto dal caso del Nobile, dove i produttori di Montepulciano, con grande intelligenza, hanno prima introdotto il termine Toscana, che aiuta i consumatori internazionali e non solo a identificare una origine chiara; e poi con le Pievi porta “per mano” i più curiosi ed esperti a conoscere le differenze che esprime quel territorio/denominazione. Oltretutto con un termine, Pievi, che personalizza e dà una identità specifica alla sottozona o alle Uga.
Altrettanto interessante trovo la svolta del Chianti Classico, che spero usi le sue nuove Uga, per dare “sostanza” alla Gran Selezione. Gran Selezione, che ha già mostrato molte cose buone, e che troverebbe, a mio parere, un ulteriore “radicamento” territoriale. Diversamente ed inevitabilmente le nuove Uga, se vivessero di vita autonoma, diventerebbero motivo di complessità eccessiva.
L’obiettivo comune è la valorizzazione del vino italiano
Uga, Sottozone, Mga, servono, a mio parere, solo se vengono utilizzate per spiegare una complessità vera, se servono a guidare alla scoperta delle diversità che le denominazioni, soprattutto quelle storiche, spesso contengono. Forse, ma è solo un elemento di riflessione, le Uga, si dovrebbero utilizzare solo per le Docg, cioè per le Denominazioni di particolare valore. Credo che darci una “disciplina” stringente aiuterebbe tutti. Dai produttori, a non disperdersi in dettagli poco percepibili. Ai consumatori, che troverebbero nella coerenza del sistema, una guida per “navigare” nel mare complesso e bellissimo del vino italiano. Cavalieri della Globalizzazione e Cavalieri dei Microterritori, possono e devono lavorare insieme, anche perché molti consumatori “globali” passano con molta disinvoltura, dalla mega marca, alla microzona, nell’arco della stessa giornata.
Foto di apertura: © C. Arias – Unsplash
Tag: identità, Mga, Nobile di Montepulciano, Pievi, UgaQuesto articolo fa parte de La Terza Pagina, newsletter a cura di Alessandro Torcoli dedicata alla cultura del vino. Ogni settimana ospita opinioni di uno o più esperti su temi di ampio respiro o d’attualità. L’obiettivo è stimolare il confronto: anche tu puoi prendere parte al dibattito, scrivendoci le tue riflessioni qui+
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© Riproduzione riservata - 10/09/2021
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