Le radici della vite. Guida alla scelta dei portinnesti
È il motore che fornisce il nutrimento alla vite e che le permette di svilupparsi per dar vita alle migliori produzioni d’uva. L’avvento dei portinnesti ha permesso di resistere alla fillossera. Ecco come orientarsi nella scelta del “sostegno” più adatto.
Le radici di una vite sono come il fuoco sotto la cenere, un motore sotto il cofano, la passione covata nell’animo. Chi sia capace di interpretarle suscita sempre un grande fascino. Prevenire la fisiologia di un portinnesto, capirne lo sviluppo, immaginare il suo futuro invisibile per 40 o più anni al di sotto del terreno e delle vendemmie sono cose che destano curiosità e ammirazione come al cospetto di geni e talenti. Altrimenti il succo della questione si ridurrebbe in un argomento noioso da vivaisti. E per aggiungere noia alla noia, occorre qualche cenno storico.
L’occupazione della fillossera
Le radici della viticultura moderna si sviluppano dopo la rivoluzione che annientò quelle della nobile vitis vinifera. L’arrivo della fillossera in Europa fu come una guerra d’occupazione nella quale milioni di Sangiovese, Nebbiolo, Cabernet Sauvignon e compagnia bella rimasero uccisi o ridotti alla schiavitù del portinnesto americano. La fillossera è un afide giallo. In latino si chiama dactylosphaera vitifolie, al bar è un pidocchio. Questo insetto adora nutrirsi di vitis vinifera e solo di quella. In particolare di zuccheri e amminoacidi contenuti nella linfa che viene succhiata come con una cannuccia lasciando delle galle (escrescenze) sulle radici. Per funghi e batteri queste ferite diventano un’autostrada a quattro corsie che, nel momento di stress della pianta, può provocare la morte della pianta stessa.
Fu scoperta nel 1863 e da Bordeaux a Porto fino all’Italia, che fu uno degli ultimi Paesi e restarne vittima, devastò il vigneto europeo per tutta la seconda metà dell’Ottocento.
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…e la liberazione
Per la fillossera, presente ancora oggi e anzi secondo alcuni protagonista di una strana recrudescenza, non esiste rimedio. Recenti studi hanno dimostrato come il metarhizium anisophliae, un fungo del suolo, sia efficace nell’infettare l’afide uccidendolo. In realtà tra il 1869 (Gaston Bazille in Francia) e il 1873 (C.V. Riley negli Stati Uniti) si scoprì che vitis vinifera innestate su piedi americani per rimediare all’oidio resistevano alla fillossera.
I vigneti a piede franco sono sempre più rari
Da allora i vigneti conservati a piede franco sono una rarità. Si tratta dei vigneti nei quali la fillossera non riesce a sopravvivere. Le ragioni sono perlopiù tre. Troppo caldo o troppa siccità, come ad esempio in Barossa Valley (Australia). Nei vigneti dove esiste la possibilità di allagare il terreno come in Cile, con l’acqua delle Ande che lava via questi pidocchi. Oppure nei terreni sabbiosi. Elvio Cogno in Piemonte, ad esempio, coltiva una Barbera straordinaria su piede franco nella parte bassa dei vigneti sabbiosi di Novello dove la fillossera non attecchisce. Altre eccezioni si trovano anche in Barbagia col Cannonau su terreni di disfacimento granitico sempre sabbiosi e siccitosi. Il rischio però di accorciare la vita a un vigneto è sempre dietro l’angolo.
Le tre famiglie di portinnesti
Dunque ecco i portinnesti che sono perlopiù di tre famiglie: Riparia, Rupestris e Berlandieri. La vitis Berlandieri è l’unica incrociata con la vitis vinifera ed è nota per essere molto resistente al calcare attivo del suolo quindi diffusa, ad esempio, in Champagne, come nel 41B o nel Fercal. Però non ha una sicura resistenza alla fillossera. Gli altri portinnesti invece, frutto di un incrocio tra di loro, sono anzitutto resistenti all’afide delle radici.
Tag: fillossera, portinnesti, RadiciL’articolo prosegue su Civiltà del bere 2/2019 . Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com
© Riproduzione riservata - 17/05/2019