Scienze Scienze Riccardo Oldani

Glutatione e lieviti nella cantina high-tech

Glutatione e lieviti nella cantina high-tech

Il glutatione è una sostanza con un forte potere antiossidante, che attira sempre di più l’attenzione degli enologi perché consente di ridurre l’impiego di solforosa nel vino. Ora un’indagine dell’Università di Verona fa il punto sulle tecniche per aggiungerlo durante la vinificazione grazie all’azione di particolari lieviti.

Da qualche tempo a questa parte sta crescendo l’interesse degli enologi verso il glutatione (noto anche come GSH), un peptide, cioè una sostanza costituita da amminoacidi, con caratteristiche fortemente antiossidanti. In particolare questo composto contribuisce a preservare la stabilità e le caratteristiche di gusto e olfattive dei vini. Ha quindi preso piede, nel corso della vinificazione, l’uso di aggiungere glutatione puro, anche con lo scopo di ridurre il ricorso all’anidride solforosa.

Lieviti non tradizionali

Ci può essere però una strada diversa per assicurare al vino un quantitativo ideale di GSH; fare cioè in modo che la sostanza venga prodotta naturalmente nel corso della vinificazione, anziché additivarla. Come? Attraverso l’impiego di ceppi particolari di lieviti non tradizionali (cioè non appartenenti al genere Saccharomyces); essi hanno anche il vantaggio di essere più economici del glutatione puro, che richiede un lungo e costoso processo di purificazione. Su questo tema si è concentrata l’attenzione di un gruppo di ricercatori italiani del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona. Sul numero di giugno della rivista “Food Research International” hanno pubblicato una review sulla produzione di glutatione da parte di lieviti non-Saccharomyces e il conseguente impatto sulla produzione di vini (l’articolo può essere visto qui).

L’interesse per i multistarter

È ormai una tendenza consolidata, scrivono gli autori dello studio Renato Binati, Ilaria Larini, Elisa Salvetti e Sandra Torriani, “l’uso, durante la fermentazione, di preparazioni a base di lieviti essiccati inattivati, molti dei quali contengono cellule arricchite con GSH. Questi lieviti non sono in grado da soli di portare a compimento il processo della fermentazione alcolica, ma sono usati come multistarter insieme con Saccharomyces cerevisiae. La loro diffusione è mirata soprattutto a migliorare il processo di vinificazione e le caratteristiche sensoriali del vino”. Questo grazie all’azione di sostanze prodotte dal metabolismo di una pluralità di microrganismi, e non soltanto dal Saccharomyces.

Una rassegna degli studi

L’interesse per i multistarter è crescente tra le sempre più folte schiere degli appassionati delle fermentazioni; nel caso del vino è anche motivato dal fatto che il loro impiego porta a una produzione di glutatione più elevata rispetto all’impiego del solo Saccharomyces cerevisiae. I ricercatori hanno quindi passato in rassegna la letteratura scientifica per verificare quali strade si possano seguire nello sviluppo di ceppi di lieviti non tradizionali con un’elevata capacità di produrre glutatione e per capire come utilizzarli al meglio in vinificazione.

Sostanze ammesse da OIV

L’OIV, l’Organizzazione internazionale della vite e del vino, ha del resto approvato, insieme con diverse normative nazionali, l’uso di lieviti inattivati con livelli di glutatione garantiti, definiti con la sigla G-IDY, che possono fornire nutrienti ai lieviti responsabili diretti della fermentazione e che possono anche avere un effetto antiossidante e di protezione del colore e degli aromi. Questi lieviti hanno cominciato e vedere la luce intorno al 2005, con le prime richieste di brevetto. A lungo i lieviti sviluppati con queste caratteristiche sono stati quelli tradizionali. Solo di recente stanno emergendo ceppi non tradizionali con queste caratteristiche, che quindi vanno selezionati con un attento lavoro di ricerca. L’alternativa sarebbe l’impiego di tecniche di ingegneria genetica, che però sono viste con sospetto dai consumatori.

Rilascio progressivo

In una vinificazione di prova fatta con Pinot grigio, il gruppo di ricerca di Verona ha sperimentato l’impiego di multistarter ottenendo contenuti di glutatione superiori rispetto all’utilizzo del solo Saccharomyces cerevisiae. Un altro effetto è che il GSH così ottenuto resta “intrappolato” all’interno delle cellule dei lieviti; non viene quindi rilasciato tutto subito nel mosto, ma in modo progressivo, con un’azione che potrebbe rivelarsi così più efficace e prolungata nel tempo. Ulteriori studi in materia sono raccomandati dal gruppo di studio, ma la strada aperta pare interessante. Di sicuro sentiremo ancora parlare in futuro dei multistarter capaci di produrre alti livelli di glutatione.

Foto di apertura: cellule di Saccharomyces cerevisiae, il lievito responsabile della fermentazione alcolica. Ora nuovi studi dimostrano l’utilità di affiancarlo anche con altri lieviti non tradizionali per migliorare le caratteristiche organolettiche dei vini e aumentare naturalmente i contenuti di glutatione.

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© Riproduzione riservata - 13/07/2022

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