Franco

Franco

È paradossale che una parola come franco, che in vitivinicoltura ha almeno tre significati, sia così poco usata. Da più d’un secolo, cioè da quando la fillossera distrusse i vigneti europei, è molto raro che un ceppo di vite venga piantato “franco di piede”, cioè non innestato su un ibrido americano, unico modo per evitare che l’afide devastatore ne distrugga le radici. Ed è altrettanto raro sentir ancora definire “franco di coltivazione”, come si usava un tempo, la distanza tra la superficie del terreno e il limite superiore dello strato di suolo che impedisce l’espansione in profondità delle radici. Ma il disuso più inquietante del termine “franco” è nel lessico della degustazione. Lo si dovrebbe dire, rammenta il Dizionario Veronelli, “1) di un vino che dia, al naso e/o in bocca, sensazioni nette e ben definite; 2) di un vino che alla degustazione non lascia percepire alcun difetto”. Probabilmente c’è il timore che definendolo così, un vino appaia troppo facile, troppo immediato, più che semplice, sempliciotto. Siamo franchi: la franchezza oggi non è di moda.


© Riproduzione riservata - 14/12/2010

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