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Fontanavecchia: nel nome del Sannio, della Falanghina e dell’Aglianico del Taburno

Fontanavecchia: nel nome del Sannio, della Falanghina e dell’Aglianico del Taburno

Il titolare di Fontanavecchia Libero Rillo e l’enologo consulente Emiliano Falsini ci portano alla scoperta di questa storica azienda di Torrecuso, il comune più vitato del Sannio. All’assaggio quattro referenze: la new entry Coda di Volpe, la storica Falanghina e due espressioni di Aglianico del Taburno.

In Campania non è tutto irpino ciò che luccica. Se è vero che la provincia di Avellino racchiude le denominazioni più conosciute della regione (Taurasi, Fiano di Avellino e Greco di Tufo), quella di Benevento ha un grande asso nella manica: la Falanghina del Sannio.

Falanghina regina del Sannio

Complessivamente il Sannio conta 15 mila ettari vitati, la maggior parte dei quali a Falanghina, seguita dall’Aglianico del Taburno. Da citare anche la Coda di Volpe, il Greco, il Fiano e il Piedirosso. «Oggi la Falanghina si attesta su una produzione di 12,5 milioni di bottiglie tra Doc e Igt», racconta Libero Rillo, titolare della Cantina Fontanavecchia con il padre Orazio e il fratello Giuseppe. «La percentuale dei vini a denominazione è ancora bassa, ma il Consorzio sta facendo molto per aumentarla». Fontanavecchia si trova a Torrecuso, il comune più vitato del Sannio (1.300 ettari e 4.000 abitanti) e la famiglia Grillo è impegnata nella produzione di vino dal 1865.

Vinificazioni in purezza per dimostrare il carattere dei varietali

«Siamo a pochi chilometri da Benevento, alle pendici del monte Taburno. È una delle zone più verdeggianti e selvagge della Campania, ricca di resti archeologici che testimoniano una storia antica e intimamente legata alla viticoltura, da sempre centrale per l’economia di questa terra». Libero Rillo è entrato in azienda esattamente 30 anni fa e non può fare a meno di notare quanto tutto sia cambiato negli ultimi tre decenni, ad eccezione dei vitigni di riferimento. «Falanghina e Aglianico sono le carte d’identità del territorio sannita e restano centrali nella nostra produzione, che si attesta sulle 180 mila bottiglie l’anno. Tranne in un caso, abbiamo deciso di vinificarli in purezza: vogliamo dimostrare come questi vitigni siano in grado di raggiungere un equilibrio organolettico e una pienezza aromatica perfetti, senza bisogno di aiuto».

La filosofia di Fontanavecchia

Gli ettari aziendali di proprietà sono 21, tra i 200 e i 350 metri di altezza. Le viti, allevate a guyot, hanno un’età media di circa 20 anni. I terreni sono di origine vulcanica, ricchi di minerali, argillosi e con marne calcaree affioranti. «Non siamo certificati biologici, ma tutte le operazioni in vigna e in cantina vengono fatte nel segno della sostenibilità e del massimo rispetto per l’ambiente e per la salute umana. Non usiamo concimi chimici da circa 20 anni». Di Falanghina vengono prodotte quattro etichette. «Una versione “d’annata”, una spumantizzata e due più “evolute”, i nostri cru. Tutto questo ci permette di valorizzare le peculiarità delle vigne in termini di profumi, acidità e struttura». Lo stesso vale per l’Aglianico, che trova la sua massima espressione nelle Riserve Grave Mora e Vigna Cataratte.

L’arrivo dell’enologo Emiliano Falsini

Il 2020 ha segnato un cambio alla guida enologica: dopo 30 anni di collaborazione, il consulente Angelo Pizzi (considerato il padre dell’Aglianico del Taburno e della Falanghina del Sannio) ha passato il testimone al toscano Emiliano Falsini, che ha deciso di puntare sempre di più sulla valorizzazione dei single vineyard, con un progetto destinato a prendere forma con le prossime vendemmie. Come spiega lo stesso Falsini: «Con il mio arrivo, ci siamo mossi per limitare i travasi e le movimentazioni in cantina. Punto a un’enologia conservativa, attenta a preservare la qualità di partenza. Nel caso dei bianchi, ad esempio, significa che le uve vengono lavorate a 8-10 °C, con illimpidimento del mosto a freddo e sosta sulle fecce dalle 24 alle 72 ore».

Ecco le nostre impressioni sui vini aziendali, degustati lo scorso 1° aprile durante una presentazione via Zoom riservata alla stampa.

Coda di Volpe Sannio Doc 2020

In generale la varietà Coda di Volpe paga lo scotto di avere una personalità meno esplosiva della Falanghina. Possiede infatti meno acidità, neno struttura e un corredo aromatico decisamente più discreto.

Questa etichetta, al suo debutto assoluto con l’annata 2020, si fa notare per la vivacità olfattiva e la grande pulizia. È un bianco diretto, di pronta beva, con una bella sapidità e un finale piacevolmente agrumato. Ne sono state prodotte solo 4 mila bottiglie ma c’è margine per arrivare a 10 mila.

Falanghina del Sannio Doc 2020

Per Fontanavecchia è il vino più importante sia come quantità, pari a 80 mila bottiglie, sia per la sua storia: è stata la prima Falanghina del Sannio ha ricevere i Tre Bicchieri del Gambero Rosso. La Falanghina è un vitigno resistente e piuttosto facile da coltivare, ma con risultati assai diversi. Come dice Libero Rillo: «È un’uva con cui ci si può divertire, che accontenta tutti e per fare qualità non serve produrre pochissimo, anche rese da 100-150 quintali per ettaro danno risultati soddisfacenti». Gli fa eco l’enologo Emiliano Falsini: «Sbaglia chi lo ritiene un vino più semplice rispetto a Fiano e Greco. La storia della Falanghina del Sannio è tutta da riscrivere, dando lustro a questa varietà di grande resistenza, acidità e capacità di invecchiamento. Da qui l’idea di creare un percorso per rendere il consumatore partecipe delle diverse espressioni legate al terroir».

Tornando al vino nel calice, è il frutto di un assemblaggio delle migliori partite dei vigneti aziendali e dei conferitori, alcune delle quali sottoposte a criomacerazione per 12-18 ore. Giallo paglierino brillante con un bouquet di fiori di campo, pesca gialla, accenni di pietra focaia. In bocca è ricco, avvolgente, deciso, con un lungo finale e un grande futuro davanti a sé.

Aglianico del Taburno Docg 2017

Anche su questo vitigno la Cantina crede moltissimo, tanto da produrne cinque diverse etichette. Al contrario della Falanghina, l’Aglianico è un’uva difficile, che richiede molte attenzioni soprattutto a causa della buccia sottile, soggetta a muffe, e di una certa predilezione per la peronospora.

La filosofia aziendale punta a produrre un Aglianico del Taburno il più elegante e aggraziato possibile, sempre mantenendo l’identità varietale. Il Sannio è mediamente più caldo dell’Irpinia e garantisce una completa maturazione dei grappoli. In quest’etichetta, a dispetto di un’annata molto calda, c’è una bella freschezza e bevibilità.

Vigna Cataratte, Aglianico del Taburno Riserva Docg 2015

Vigna Cataratte è lo storico cru aziendale, prodotto fin dal 1994. Siamo nella zona di elezione del Sannio per l’Aglianico del Taburno: i terreni sono argillosi, ma con molta sabbia.

Rispetto all’assaggio precedente, il bouquet si fa più ampio, spaziando dalle note fruttate ad una speziatura ricercata. Il finale è minerale, con piacevoli richiami balsamici. Anche il sorso è più complesso, ricco, con un tannino elegantissimo. Resta però un rosso moderno, ritmato, lontano da sovrastrutture o iperconcentrazioni.  

Foto di apertura: Libero Rillo, titolare della Cantina Fontanavecchia con il padre Orazio e il fratello Giuseppe

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© Riproduzione riservata - 20/04/2021

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