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Ci lascia Paolo Marzotto

Ci lascia Paolo Marzotto

La morte del conte Paolo Marzotto, avvenuta lunedì sera, 25 maggio, nella sua casa di Monte Berico a Vicenza, ha segnato la scomparsa di un uomo di multiforme personalità che nella rinascita del vino italiano ha avuto un ruolo di primo piano.

La notizia mi ha colpito come fosse venuto a mancare un amico intimo. Eppure ci conoscevamo appena: dopo che le nostre vite si erano incrociate in un paio di circostanze significative, più di 30 anni fa, non avevamo più avuto occasione di frequentarci, ma solo il piacere, nei rari incontri che da allora ci ha procurato il caso, di scambiare qualche battuta. Alle battute lui non rinunciava mai: era uno dei personaggi più spiritosi che abbia conosciuto, istintivamente dotato di un impagabile senso dell’ironia che esercitava in primo luogo su se stesso. Quando nell’azienda tessile di famiglia si occupava della pubblicità, per esempio, si prendeva in giro da solo confessando sconsolato che poteva vestire soltanto Marzotto.

Da gentleman driver a produttore vinicolo

Non so come mai mi sono sempre sentito a mio agio con lui: avevamo pressappoco la stessa età, ma le nostre due vite più diverse di così non avrebbero potuto essere. Però avevamo in comune qualche passione. Lo conobbi infatti quando scrissi per il mensile AutoCapital, di cui ero redattore capo, un articolo sui campioni del volante che producevano vino. Come i suoi fratelli Giannino, Umberto e Vittorio, aveva partecipato da gentleman driver a importanti competizioni, dalla Coppa delle Dolomiti alla Targa Florio alla Mille Miglia, vincendo nel ’52 il Giro di Sicilia, ed era in quel momento uno dei manager del gruppo Santa Margherita, il polo vitivinicolo fondato nel 1935 a Portogruaro dalla sua famiglia. Fu in quel primo incontro (durante il quale mi fece provare l’emozione di pilotare una Ferrari) che mi resi conto di quanto fosse profondo il suo rapporto con il vino.

Paolo Marzotto in Ferrari alla Mille Miglia
Paolo Marzotto alla guida della Ferrari 536 alla Mille Miglia

Il suo contributo su L’Etichetta di Veronelli

Qualche anno dopo, perciò, quando Gino Veronelli decise di dedicare al Prosecco molte pagine della rivista L’Etichetta, di cui era il direttore, e mi chiese di occuparmene, io proposi immediatamente di coinvolgere per quell’iniziativa Paolo Marzotto. Ispirandosi al duplice significato della parola Etichetta, ogni tema veniva infatti trattato in due modi, che in redazione definivamo come “filosofia” e come “prassi”. Secondo me, lui era il più adatto per descrivere l’essenza del Prosecco, e non mi sbagliavo.

La sua descrizione del Prosecco incantò Primo Franco

Scrisse che fin da quando aveva conosciuto questo vino, nell’immediato dopoguerra, si era reso conto che aveva “un nome un sapore e una caratteristica organolettica che non evocavano né le finezze di una dama vellutata, né l’asprezza di un maschio invincibile. Aveva invece qualcosa del paggio cinquecentesco: gentile, cortese, avvezzo a servire cavallerescamente dame e cavalieri, ma mai uomo d’armi, né uomo di lettere”. Scese talmente nel profondo, questa descrizione, che Primo Franco, produttore di Prosecco al vertice della qualità, l’ha riportata integralmente in un libro che ha appena pubblicato, Prosecco way of life, sostenendo che 33 anni dopo contiene ancora alcune verità importanti.

I vigneti di Baglio di Pianetto

Paolo Marzotto sapeva penetrare l’anima di un vino

Produttore vinicolo in prima persona con il Baglio di Pianetto in Sicilia, Paolo Marzotto ha avuto tanti meriti per essere ricordato: basterebbe l’esemplare operazione del 1993 quando, presidente di Santa Margherita, acquisì il 60% di Ca’ del Bosco, assicurandole un tale margine di indipendenza da consentirle di diventare il punto di riferimento qualitativo del Franciacorta. Ma io, come Primo Franco, lo ricorderò come uno dei pochi che hanno saputo penetrare nell’anima di un vino.

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© Riproduzione riservata - 27/05/2020

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