Chi sono veramente i Master of Wine?

Chi sono veramente i Master of Wine?

Ora che finalmente un italiano, Gabriele Gorelli di Montalcino, ha conquistato il titolo, torniamo a parlare di Master of Wine. La sua nomina pare aver riaperto il dibattito sul chi sono veramente i Master of Wine. E noi torniamo volentieri sulla questione, dato che ci tocca da vicino (chi scrive è ancora in corsa per il medesimo titolo).

Uno dei lati positivi della vicenda è che non dovremo più leggere i titoli che ci hanno perseguitato in questi anni: “Ecco i nuovi Masters of Wine, ancora nessun italiano”, manco si aspettasse l’epifania. Quello negativo è che, come sospettavamo, ora che finalmente l’italiano è apparso, non gli è stato dato abbastanza risalto.

Una notizia che meritava più risalto

È stata data la notizia dalle testate e dai blog di settore, ne ha scritto Il Sole 24 Ore online e la Repubblica nella sezione Sapori, per esempio, ma ci aspettavamo la prima pagina di un quotidiano nazionale, per intenderci, e una notizia al telegiornale, ma nulla di tutto questo. Eppure, che l’Italia abbia finalmente espugnato la roccaforte mondiale del vino, la cittadella internazionale della cultura enologica, non desta poi tanto interesse.

Il mito italiano del sommelier

Qualche anno fa, quando un italiano vinse il campionato mondiale dei sommelier (neppure quello più prestigioso e partecipato, ma un altro, diciamo parallelo), finì sulle prime dei quotidiani e al telegiornale, l’anno dopo anche da Fabio Fazio a Che tempo che fa… Questo, con un Master of Wine non succederà, ma ce l’aspettavamo. Gli italiani hanno mitizzato la figura del sommelier, che considerano l’esperto di vini tout court, e non sanno nulla del mitico istituto internazionale.

È stato dato sufficiente risalto alla notizia?

Insomma, la notizia è stata trattata come se per la prima volta un nostro connazionale avesse vinto il mondiale di badminton, non certo quello di tennis, mentre ci pare (e lo ripetiamo per l’ennesima volta in queste pagine) che il settore vino, per la sua rilevanza sociale ed economica in Italia, meriterebbe più attenzione.

Il ruolo della pandemia

A ciò si aggiunga, per sfortuna di Gabriele Gorelli, che questa elezione è avvenuta nel mezzo della pandemia, con il mondo fermo, senza kermesse internazionali alle quali, almeno, si sarebbe potuto riservargli un degno proscenio. Ma questo è il meno: ciò che stona è l’indifferenza e (permetteteci) l’ignoranza che gira attorno all’Institute of Masters of Wine (IMW). È per questo che al primo italiano “vero” (perché ce n’erano già almeno due con passaporto italiano e un paio residenti nel nostro Paese da molti anni) spetta una festa a metà e, peggio ancora, spetterà probabilmente anche il fuoco poco amico dei detrattori, di quelli che si pongono una serie di quesiti (talvolta maliziosi), ai quali cercherò di rispondere di seguito.

Chi sono i Masters of Wine (MW) e perché si trova a Londra il centro della cultura enologica mondiale?

Ecco, se si comprende questo punto, si capisce tutto dei MW, talvolta “sotto” talvolta “sopra” valutati. È una qualifica nata nel principale mercato mondiale per riconoscere i più abili commercianti di vino; ricordiamo che in passato si acquistavano costose partite di vini pregiati di Borgogna o Bordeaux assaggiando dalla botte e si importavano direttamente i barili, non le bottiglie. Un MW assaggiava e decretava la qualità di un Pomerol o di un Vosne-Romané. È rimasta a lungo una qualifica per i buyer che lavoravano in  catene, supermercati, enoteche…

Londra, internazionale anche nel consumo di vino

Jancis Robinson è stata la prima giornalista MW, accanto a esperti di Case d’asta e poi molti tecnici (produttori di vino, enologi come Oliver Humbrecht ad esempio). L’esame è aperto a tutti e nel tempo sono entrate tutte le professioni e persino qualche appassionato. Esame e qualifica sono a Londra in quanto centro di business internazionale in un Paese non produttore ma consumatore, dove si acquistano e bevono vini di tutto il mondo.

La conoscenza orizzontale del vino del mondo

Il titolo attesta che hai passato un esame molto serio e difficile, costituito da una parte teorica e una pratica, più una tesi di ricerca finale. Insomma, non una passeggiata, anzi è considerato il percorso di studi più duro nel mondo del vino. È richiesta una buona conoscenza orizzontale, più che verticale; ovvero è necessario sapere qualcosa su tutto e non tutto su qualcosa. Sul vino italiano, ad esempio, un MW “medio” sa pochino, rispetto ai nostri standard, ma certo di più di quanto non sappia un esperto italiano “medio” sui vini della Clare Valley in Australia, che invece lui è tenuto a conoscere. Inoltre, per diventare MW bisogna dimostrare di comprendere oltre alla viticoltura e l’enologia, anche i mercati e i temi più attuali.

Il titolo di Master of Wine non è un lavoro

Spesso si sbaglia guardando all’MW come a una “professione”, più che a un titolo. Che cos’è un MW? Un super esperto, dunque, ma non fa quello di mestiere. Gabriele Gorelli ad esempio si considera un brand builder, ma questo riguarda più il suo mestiere specifico ed è senz’altro uno dei possibili sbocchi, come consulente per le strategie commerciali e di costruzione della marca, ma esistono – come scritto – enologi MW, giornalisti MW…

Ma sono così influenti i MW?

Ecco, da quando li frequentiamo (e ricordiamo che dieci anni fa pochi in Italia li avevano sentiti nominare, persino nel settore) uno degli aggettivi che abbiamo trovato più carichi di retorica, in riferimento ai Masters of Wine è “influenti”. Autorevoli, certamente. Gli esami che affrontano sono i più duri al mondo, e si svolgono nell’anonimato per cui superarli è solo questione di merito, non di amicizie.

Una rete importante di conoscenze

Sono influenti nei termini che il percorso di studi, e poi la frequentazione del “club” ti mettono in contatto con molti personaggi di rilievo dell’industria e della comunicazione del vino; si crea una formidabile rete di conoscenze, ma non sappiamo se questo determini l’essere “influenti”. Ciò dipende dal ruolo specifico di un professionista, se si trova o meno in qualche “cabina di regia”.

Cosa cambia per l’Italia del vino

Sull’importanza, per l’Italia, di avere uno o più MW non ho una risposta certa. Personalmente, mi piacerebbe ottenere il titolo per gratificazione personale, ma non credo che sarei più utile al mio Paese di quanto (poco) io possa esserlo oggi. L’IMW è un club di autorevoli professionisti del vino e d’ora in poi se questi vorranno un parere “alla pari” (come succede nel mondo accademico) su questioni riguardanti l’enologia tricolore, sapranno di potersi rivolgere a un italiano. In questo senso sì, qualche “influenza” un MW la può avere.

Quanto dura il percorso, quanto costa e quanto guadagna un MW?

Molti si domandano quale sia il “ritorno sull’investimento”. Infatti, diventare MW è molto costoso, tra iscrizioni, viaggi e assaggi difficilmente si spendono meno di 40-50 mila euro, e il calcolo è molto prudenziale. Dopodiché, se si raggiunge il titolo (e ci arriva una piccola percentuale), come spenderselo dipende dall’abilità personale; soprattutto si rafforza la posizione nel tuo mestiere, che tu sia enologo o giornalista, il tuo status a livello internazionale sarà più elevato. Però non è un “master” classico di tipo universitario come quelli proposti dalla Bocconi o dalla London School of Economics, non si studia per diventare top manager, ma si riceve il riconoscimento di una grande expertise sulla produzione e il commercio del vino nel mondo.

Un percorso su tre livelli

Non si tratta di un corso ma di un percorso; vengono forniti alcuni strumenti e le informazioni su come si svolgono gli esami e sulle abilità richieste per superarli, insegnano il “come” ma non il “cosa”.
Questo percorso si snoda su tre livelli, viene offerta una sessione d’esame all’anno (per il primo e il secondo livello), ma in realtà si impegnano normalmente più anni per superare ogni livello (specialmente il secondo), e il “research paper” può impegnare per ben più di un anno, per cui i tre anni si moltiplicano e di media si arriva alla meta dopo 5-7 anni. 

È così difficile l’esame e davvero bisogna riconoscere tutti i vini alla cieca?

Sì, l’esame è molto difficile. Specialmente le prove che si affrontano al “second stage”,ovvero l’esame MW vero e proprio: 4 giorni di esame, divisi tra prove teoriche (scritte) su ogni aspetto del vino, dalla viticoltura alla comunicazione, e prove pratiche, ovvero la degustazione di 36 vini di tutte le tipologie, dagli spumanti ai fortificati, che bisogna comprendere a fondo e sui quali bisogna rispondere a diverse domande per iscritto in tempo limitato (2 ore 15 minuti per ciascuna batteria di 12 vini).

Capire i vini più che indovinarli

Abbiamo scritto che bisogna “comprenderli” perché in realtà solo alcuni devono davvero essere riconosciuti con precisione, i più ovvi per un degustatore abile (ad esempio, un Riesling di Mosella o un’Asti Spumante); in altri casi è necessario mostrare di aver preso in considerazione tutte le alternative possibili e avvicinarsi alla realtà con buona approssimazione. Ad esempio, un ottimo taglio bordolese di Bolgheri può essere legittimamente confuso con un Bordeaux di Pauillac, purché si citino entrambe le origini e si spieghi perché ci sembra più uno rispetto all’altro. Non è facile, comunque.

Abbiamo scritto spesso dell’IMW e non sarà l’ultima, ora che è arrivato il primo italiano. La nostra testata continuerà a seguire l’istituto come massima associazione internazionale di professionisti del vino (accanto alla Court of Master Sommeliers, che però ha un taglio più deciso sulla sommellerie, appunto) e siamo a disposizione per dare informazioni a tutti i curiosi o a chi volesse cimentarsi in questa avventura costosa, complicata ma straordinaria.

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© Riproduzione riservata - 12/03/2021

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