Chi sono (e che cosa fanno) i Masters of Wine?
In risposta alle riflessioni di Fabio Piccoli e Wine Meridian sul ruolo dei Masters of Wine.
L’amico Fabio – almeno 20 anni di reciproca conoscenza alle spalle – sa bene chi sono i Masters of Wine (d’ora in avanti abbreviati MW), essendosi costruito un nuovo percorso di carriera sul tema dell’internazionalizzazione del vino. Ha viaggiato per il mondo, come giornalista e poi come consulente per lo sviluppo delle aziende all’estero. Peccato, scrivo da aspirante MW, che questo suo articolo ceda a qualche generalizzazione e a un paio di inesattezze.
L’esame per diventare Master of Wine
L’iscrizione, ad esempio, non costa 12 mila sterline, ma meno di un terzo (£ 3.500), più viaggi e trasferte, come giustamente segnalato. L’esame, sostenuto dieci giorni fa dal sottoscritto e altri otto italiani, è più o meno come descritto: si svolge su quattro giornate consecutive. Alla fine, si assaggiano 36 vini alla cieca (in batterie da 12) e bisogna rispondere a circa 40 domande (3-4 per vino) su origine, metodi di produzione, potenziale commerciale… Questo per la pratica, alla quale si affianca la teoria: una quindicina (13 nel 2017) di saggi teorici sullo scibile del vino, dalla viticoltura (ad esempio, l’importanza dell’acqua in agronomia) all’enologia (con argomenti come le temperature di fermentazione) al business (ad esempio: “Come cambia il ruolo degli intermediari del vino”) a temi contemporanei d’attualità (la scienza ucciderà la “poesia del vino”?).
Quando sono diventati di moda i MW?
Condivido la considerazione che, ignorati per secoli, ora i MW siano diventati di moda nel nostro Paese, con un pubblico sempre più eccitato ad attendere che arrivi il primo italiano. Il timore, però, è che il primo sarà anche vittima della reazione contraria, che segue tanta eccitazione. Costui o costei dovrà sostenere, oltre alla gloria, anche una reazione denigratoria, perché già oggi puoi sentire voci nel settore che parlano con fastidio o diffidenza di questi “soloni” che si sentono inarrivabili esperti di vino. Ma che ne sanno di questo o di quello, della Nascetta o del Grillo, o delle Menzioni del Barolo ecc…
Una visione globale, solida, orizzontale
E ancora quindi condivido l’osservazione di Fabio: dopo tanto studiare, assaggiare vini del mondo e vagabondare per Cantine dei due emisferi terrestri, quel che ti resta, soprattutto, è una visione globale, solida, orizzontale più che verticale del mondo del vino. Ciascuno poi verticalizza a suo modo, ovvero diventerà più esperto di alcuni temi, mentre sul resto sarà solo molto ben informato. Nick Belfrage, ad esempio, tra i MW è stato per decenni riconosciuto come l’esperto di vini italiani, e il suo libro “Life Beyond Lambrusco” fu un successo planetario. Qualcuno sa tutto di Borgogna, molti sono esperti di Bordeaux, altri di vini americani, qualcuno di Cile o di Argentina, di Australia o Nuova Zelanda…
Onore al merito
È evidente che bisogna diffidare dei tuttologi, in tutto, vino compreso. Però, si devono pur elogiare anni di studio, di ricerche e di assaggi. E onore al merito – vero, senza influenze di amici e parenti – di chi supera un esame così duro e imparziale. Infatti, nessuno sa chi sei finché si correggono gli elaborati, sei solo un numero finché non si scoprono le carte. Un altro dispiacere, nella lettura del pezzo di Fabio, sta nell’uso del verbo “sfruttare” riferito ai MW. Per cosa possono “sfruttarli” le aziende? Si chiede Fabio. Immagino che il verbo sia stato usato innocentemente, per dire che i MW sono risorse preziose, con cui collaborare, ma che bisogna conoscerne il potenziale, capire chi sono, prima di esaltarsi di fronte a queste due letterine.
Una risorsa preziosa da “sfruttare”
Nella sostanza, però, Fabio ha ancora ragione: i MW non devono essere visti come una nuova categoria di temibili “critici enologici”. Qualcuno lo è di mestiere, ma sono una minoranza. Invece i MW hanno estrazioni e specializzazioni differenti ed è necessario capire se un determinato professionista MW può essere utile per la crescita della propria azienda. L’ideale sarebbe dare la massima fiducia a un MW, lasciarlo entrare a stretto contatto con l’azienda. Come si dovrebbe fare con un consulente di strategia aziendale. Dopo averla analizzata con il suo sguardo, come dicevamo, ampio e internazionale, un/una MW potrà dare consigli preziosi un po’ su tutti fronti, a seconda delle esigenze specifiche.
Che lavoro fa il Master of Wine?
Un ruolo che, a mio avviso, diventerà cruciale per la filiera vitivinicola è quello di cerniera tra la produzione e il marketing, specialmente nelle aziende di una certa dimensione. Una mia collega studentessa MW, ad esempio, Gloria Collell, ricopre un ruolo ideale, a mio avviso, per una futura (le auguro) MW: enologa di formazione, Gloria lavora per Freixenet (oltre 200 milioni di bottiglie di spumante all’anno), intravede le potenzialità del mercato, studia le ricerche di marketing, e propone innovazione di prodotto. Poi segue gli enologi affinché la domanda possa incontrare al meglio l’offerta. That’s it. Questo è un tipico lavoro da MW del Terzo Millennio.
Buyer innanzitutto
Ma un MW può essere anche (e cito solo qualche idea) un bravo giornalista, un consulente nella creazione di vini e blend, un aiuto per aggiudicarsi tender nei monopoli di stato, un buyer al servizio di un importatore (che è poi il ruolo originario), il responsabile per l’internazionalizzazione di un’azienda, o (ruolo tutto da reinventare in Italia) il buyer per una catena di negozi o della grande distribuzione. Riguardo a quest’ultima, l’altra sera l’ex numero uno di uno dei principali gruppi di supermercati italiani mi confidava che sarebbe grandioso se, nella GDO italiana, si occupasse del vino di fascia alta una figura del genere, anziché pur ottimi dirigenti che debbono però seguire solo logiche di profitto di breve termine, che puntano al ribasso.
Chi sono i Masters of Wine?
Sull’isolamento dei MW, di cui parla Fabio, avrei qualcosa da dire. Salvo rari casi, direi che la maggior parte dei MW sono socievoli e portati alle relazioni interpersonali, giacché il titolo prevede, tra le varie doti, quella di saper comunicare.
Può essere utile, in questo senso, leggere la risposta alla domanda “Chi è un Master of Wine” sul sito stesso dell’Institute of Masters of Wine (sezione Frequently Asked Questions): “A Master of Wine (MW) is someone who has demonstrated, by way of rigorous examination, a thorough knowledge of all aspects of wine and an ability to communicate clearly. A Master of Wine will actively encourage others in the pursuit of knowledge as well as seek to bring wine communities together”. Mia traduzione: “Un MW è una persona che ha dimostrato attraverso un esame rigoroso un’approfondita conoscenza di tutti gli aspetti che riguardano il vino a la capacità di comunicare chiaramente. Un MW incoraggerà attivamente altri a perseguire questa conoscenza così come cercherà di avvicinare le diverse anime del vino“.
Due doti necessarie: umiltà e capacità di comunicare
Se un MW si chiude nella torre, non è quindi un “modello” di MW. Anzi, anche a proposito della supponenza, di cui qualcuno accusa i MW, direi che nella norma di tratta di persone umili, che come da definizione cercano di condividere e unire, non di sbatterti in faccia il proprio sapere o le proprie abilità. Ho visto tanti palloni gonfiati sgonfiarsi rapidamente durante il percorso, che evidentemente è così duro e serio da portare a più miti atteggiamenti coloro che si avvicina solo con il desiderio di certificare i propri super poteri agli occhi del mondo.
Il paradosso
Infine, ripartendo dall’inizio, anche il titolo dell’articolo di Fabio è discutibile: “Ma i Masters of Wine sono utili al mondo del vino?“. Come dire (con le dovute differenze, si capisce) “Un laureato alla Normale di Pisa è utile alla matematica”? Intanto, ha seguito un percorso di studi superiore, e ha conseguito una specializzazione di un certo livello, poi potrebbe anche tornare a seguire l’osteria del papà, o aprirsi un blog sulle equazioni differenziali, ma certamente se qualcuno vorrà chiedere un consiglio in materia, può star sicuro che “ne sa”.
Gli aspiranti MW italiani
Non me ne voglia l’ottimo Fabio Piccoli (che è tra i colleghi più preparati sui temi dell’export) se gli ho fatto un poco le pulci sul tema, ma lui sa che tengo molto all’argomento. Sono tra gli studenti in corsa per il titolo. Spero di conseguirlo, anche se non so bene quando. Né so se sarò il primo. Altro patema d’animo: perché diffondere questa idea che il primo conterà più degli altri? Nei prossimi 5 anni, a mio avviso, non si diplomeranno più di due o tre MW italiani, e saranno tutti straordinari!
In ogni modo, che io sia o meno tra loro, sarò sempre in prima linea a difendere questo titolo. Non solo perché nel frattempo ci avrò investito, in tanti anni, l’equivalente di una seconda casa al mare, ma perché il nostro mondo (e non solo quello del vino, direi l’Italia in generale) ha bisogno di percorsi di studio così stimolanti e seri, dove non puoi che confrontarti con le tue conoscenze, senza clientelismi, nepotismi e simpatie. E questa serietà è molto utile anche “dall’altra parte”, cioè dalla parte di coloro che possono trarre beneficio dallo “sfruttamento”, come scrive Fabio, di queste conoscenze.
In apertura: René Magritte, Les Valeurs Personelles (1952)
Tag: diventare Master of Wine, esame MW, Fabio Piccoli, Masters of Wine, MW© Riproduzione riservata - 20/06/2017