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Vino senza alcol. Il paradosso della moda del “senza”

Vino senza alcol. Il paradosso della moda del “senza”

Nel vino italiano si è sviluppata in questi ultimi anni una tendenza talmente diffusa e partecipata che anche i più disattenti non hanno potuto fare a meno di accorgersene. È la ricerca della naturalità. Obiettivo? Un vino fatto con uve coltivate senza l’ausilio di sostanze chimiche, da una viticoltura più rispettosa dell’ambiente. Vinificato esclusivamente con procedimenti e prodotti enologici sostenibili. E protetto dall’ossidazione con dosi limitate di anidride solforosa.

I problemi sono nati nel momento in cui questa lodevole aspirazione è stata tradotta in iniziative concrete, ma all’italiana.

Il vino “senza”

L’ideale dei loro promotori, rappresentato dal vino biologico, non si è configurato come un obiettivo da realizzare tutti assieme, ma come un prodotto da contrapporre al vino bevuto fino ad allora. L’aggressività di questa impostazione competitiva si è manifestata subito sul piano lessicale. Con il pretesto di distinguerlo da quello biologico, i cultori della naturalità hanno smesso di chiamare vino il vino, come s’era sempre fatto, e lo hanno ribattezzato “vino convenzionale”.

Chi è più bio?

L’indesiderata aggettivazione andava respinta, ma si scelse di ignorarla: non usandola, si sarebbe estinta da sola. Purtroppo non è andata così. E il fronte dei vinnaturalisti non è rimasto unito a lungo: al suo interno si è scatenata la gara a chi è più bio, con la creazione di associazioni, raggruppamenti, federazioni, l’una contro l’altra armate, che hanno frazionato il movimento con una frenesia secessionista simile a quella della sinistra italiana.

I mille volti del vino naturale

Tutti questi movimenti sono nati rivendicando la stessa cosa, un vino più “verde”, ma con un aggettivo diverso dagli altri. Sono così venuti via via alla ribalta il vino biodinamico, il vegano, quello naturale, l’autentico, l’artigianale, il vino libero e quello sostenibile, ma anche il vino etico e l’arancione. Da quel momento non basta più dire vino per capire di che cosa si parla. Bisogna adottare un aggettivo, ma quale?

Il  bio avanza a grandi passi

La situazione continua a evolversi: l’anno scorso la grande distribuzione organizzata ha venduto in Italia vino bio per 11,5 milioni di euro, cioè il 51% in più del 2015 (dati Wine Monitor Nomisma), mentre tutti gli altri sono cresciuti solo di un minuscolo +1%. Se è vero, come afferma l’ultima edizione del dizionario Devoto-Oli, che il neologismo di maggior successo degli ultimi 40 anni è “bio”, la chiave di quel balzo di vendite è un prefisso ch’è tanto piaciuto da diventare una moda.

L’Unione Europea lo certifica

In realtà a conquistare il mercato è stato soltanto il vino biologico, riconosciuto dall’Unione Europea con il Regolamento 203 del 2012. Le pratiche che questo regolamento prescrive, le sostanze di cui ammette l’uso e quelle che proibisce possono anche essere discutibili. Ma il loro rispetto dev’essere tassativamente controllato e certificato da un ente terzo, ed è questa la norma che ha convinto i consumatori.

Anche nel food dilaga la moda del “senza”

Salvo per il vino biodinamico e quello vegano, che prevedono qualche controllo, per tutti gli altri, dal naturale al libero al sostenibile, bisogna fidarsi dell’autocertificazione dei produttori. E tuttavia anche questi conquistano proseliti. Riescono a superare la diffidenza suscitata dal loro rifiuto dei controlli facendo leva su un’altra moda, quella del “senza”, che ha pervaso il commercio dei prodotti alimentari. Il 18,7% (dati Osservatorio Immagino di GS1 Italy e Nielsen) dei quali si proclama senza qualcosa, dal sale allo zucchero, dai conservanti all’olio di palma.

Vino senza alcol. Siamo al paradosso

Partendo tutte dalla critica alle norme del biologico, considerate troppo blande per garantire una effettiva naturalità, le varie fazioni hanno fatto a gara questa volta nell’identificare i prodotti da vietare per ottenere un vino più vicino alla natura. Fitofarmaci e diserbanti in vigna, lieviti selezionati e coadiuvanti in cantina. Ma la competizione ingaggiata sul tema dei “senza” ha raggiunto il culmine con il vino senza alcol in Italia.

Prosecco alcol-free e vendemmie analcoliche

Un’azienda di Mareno di Piave, la Iris Vigneti, ha festeggiato la brillante idea del suo Prosecco alcol-free con una vendemmia analcolica aperta al pubblico. La tendenza alla naturalità è sfociata nella creazione di un vino che più innaturale non si può. I suoi inventori, Isabella Spagnolo e il marito Loris Casonato, hanno perso di vista sia il punto di partenza che l’obiettivo, ma hanno tenuto presente la cassa. Progettato per il mondo arabo, lo spumante zero alcol è già proposto nei ristoranti di lusso del Qatar e loro contano di arrivare in tempi brevi a produrne 1 milione di bottiglie.

A questo punto, l’aggettivo che il vino normale dovrebbe adottare per distinguersi può essere soltanto uno: “vino vero”.

 

L’articolo è tratto da Civiltà del bere 5/2017. Per leggere la rivista, acquistala sul nostro store (anche in digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

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© Riproduzione riservata - 24/11/2017

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