Nove elenchi per Natale (3). I classici di Cesare Pillon
Se esiste un vino italiano classico che più classico non si può, è il Monfortino, un Barolo Riserva di leggendaria longevità che la Giacomo Conterno produce dal 1920 solo nella annate eccezionali. Ma delle Langhe è un classico anche il Sorì San Lorenzo, che Angelo Gaja creò con le uve della vendemmia 1967: un cru di Barbaresco talmente speciale che oggi non è neanche più Barbaresco. Rivoluzionario è il Bricco dell’Uccellone, esso pure piemontese, il vino con cui Giacomo Bologna 25 anni fa fece diventare nobile la plebea Barbera.
Nel Veneto è invece l’Amarone di Giuseppe Quintarelli quello che ha fatto e che fa storia: è un vino che non lascia indifferenti.
Quando si parla di storia, però, è inevitabile pensare alla Tenuta Il Greppo, dove a fine Ottocento Ferruccio Biondi Santi inventò il Brunello di Montalcino, che il suo pronipote Franco produce oggi con lo stesso rigore. A Bolgheri, nasce il Sassicaia della Tenuta San Guido, vino simbolo della nuova enologia, che ha aperto al made in Italy la strada del successo internazionale. Bolgheri è anche la terra natale di un SuperTuscan, l’Ornellaia, primo italiano che il mensile Wine Spectator ha classificato come il migliore del mondo. Avvenne con il millesimo 1998. A ottenere lo stesso riconoscimento, ma con la vendemmia 2001, è stato il Solaia, SuperTuscan del marchese Piero Antinori nella zona del Chianti classico da uve di Cabernet Sauvignon e Franc prevalenti sul Sangiovese. Ma è con la formula contraria, elaborata fra il 1971 e il 1975, che Antinori inventò il Tignanello, e con esso i SuperTuscan.
In Sicilia la storia l’ha fatta il Rosso del Conte, un Nero d’Avola pressoché in purezza, realizzato da Giuseppe Tasca d’Almerita a partire dalla vendemmia 1973.
Oggi va di moda il rosato: ce n’è uno che abbia segnato una tappa nella storia di questo vino? Certo: è il Rosato Rosa del Golfo, che negli anni Settanta fece conoscere l’eccellenza del Salento.
Infine, dulcis in fundo, il soave Vin Santo firmato Avignonesi, che si fa a Montepulciano. Montepulciano, come sosteneva Francesco Redi, d’ogni vino è re, figuriamoci se è anche santo.
Cesare Pillon è stato giornalista a L’Unità e al Corriere della Sera oltre che caporedattore de Il Mondo scrivendo di politica, economia, costume e cronaca. Dal 1979 si occupa prevalentemente di gastronomia ed enologia, collaborando con le maggiori testate di settore. Forte della lunga esperienza, ci consiglia i grandi classici da regalare. Vini senza tempo che, come accade in letteratura, hanno fatto la storia della nostra enologia. Evergreen insomma.
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© Riproduzione riservata - 07/12/2010