Continuiamo a ragionare sulla tematica lanciata dalla nostra precedente monografia “Resistenza!”. Cosa ci insegnano 200 anni di vitigni ibridi? È questa l’età della tecnica nata in Usa. Gli obiettivi raggiunti e i timori per il futuro.
Per ibridazione s’intende la fecondazione, naturale o realizzata dall’uomo, fra due specie diverse che dà luogo a un nuovo vitigno che si definisce ibrido, per uva da vino o da tavola o per portinnesto. Quella umana per uve da vino nasce circa 200 anni or sono in Ohio (Usa) ad opera dei fratelli Louis e Henry Bouschet, che dopo alcuni anni di ricerche, nel 1829 presentarono la varietà Delaware ottenuta dalla doppia ibridazione di (Vitis labrusca x Vitis vinifera) x Vitis aestivalis. Dagli stessi genetisti seguì poi l’ibrido Catawba fra Vitis labrusca x Vitis aestivalis.
Il primato della Francia
Sempre allo scopo di ottenere la resistenza alla peronospora e all’oidio, negli anni successivi furono selezionati diverse centinaia di ibridi, in particolare in Francia ad opera di Couderc, Seibel, Seyve-Villard, Oberlin e altri. Le due Guerre mondiali indussero l’uso del rame per scopi bellici, ma anche lo zolfo divenne raro. Nacque così il progetto del tedesco Husfeld della “vite ideale”, resistente alla peronospora, all’oidio e alla fillossera, sostenuto persino da Hitler. Secondo Galet, negli anni ’50 la Francia raggiunse il primato mondiale della superficie coltivata ad ibridi, pari a 402.107 ettari, i cui vini deboli e imbevibili venivano arricchiti con 8 milioni di ettolitri di vini da taglio importati prima dal Nord Africa e poi dal Sud Italia.
La guerra del vino
Queste esportazioni diedero luogo alla guerra del vino franco-italiana, perpetrata dai viticoltori del Midì, che aprivano le valvole delle autobotti lasciando scorrere i nostri vini sulle strade e nei canali. Rammento la trattativa segreta fra i ministri dell’Agricoltura Marcora e Bonnet, alla quale partecipai, sulla proibizione degli IP (ibridi produttori) e sulla libera circolazione dei vini italiani nell’ambito dei Paesi CEE. Per approfondire l’argomento, si consiglia Viticoltura di Qualità di M. Fregoni, Tecniche Nuove, 2013.
I vitigni ibridi produttori oggi sono proibiti
Tutti i vecchi ibridi francesi (e americani) sono ora raccolti solo nelle collezioni ampelografiche, fatta eccezione per Baco 1, che dà vita all’Armagnac. Anzi gli IP sono proibiti dall’Ue. L’Italia nello stesso periodo storico non selezionò ibridi, ma importò dall’America il vecchio Clinton (Vitis labrusca x Vitis riparia) che si estese nel Veneto. Produceva vini pessimi. Di qualità un po’ migliore l’Uva americana/fragola o Isabella (ibrido di Vitis labrusca) rimasta sulle pergole delle case come uva da tavola ed estesa in Usa nella zona dei Grandi laghi, per la resistenza al freddo e il profumo di fragola.
Più resistenza, meno qualità
L’ibridazione in Europa è continuata soprattutto nei Paesi del Nord a piovosità elevata, causa degli attacchi di peronospora; in particolare in Germania, Austria, Svizzera e Ungheria. In Russia i genetisti hanno mirato alla resistenza al freddo, ibridando la Vitis vinifera con la Vitis amurensis cinese che resiste sino a -40 °C, contro i -18 °C della nostra Vitis vinifera, che in molte zone del Nord Europa e del Caucaso viene stesa sul terreno e poi coperta con terra. Il Giappone ha puntato al più semplice traguardo delle uve da tavola, conquistando un grande successo con le varietà Kyoho (Vitis labrusca x Vitis vinifera) e Koshu (Vitis vinifera x Vitis davidii), quest’ultima presente nelle zone desertiche della Cina e denominata Vite spinosa, perché le foglie si sono trasformate in spine per annullare il consumo di acqua per traspirazione.
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