Vertical farming tra speranze e difficoltà
La crescita esponenziale della popolazione mondiale e la sua concentrazione in enormi aree urbane pone il problema di ripensare la produzione agricola. È nata così l’agricoltura verticale, che ha portato allo sviluppo di molte aziende specializzate tra Europa, Giappone e Stati Uniti. Un’attività che però consuma tanta energia e sta trovando qualche difficoltà con l’attuale crisi del petrolio e del gas.
Nell’eterno confronto con la campagna, la città pare destinata a vincere. Già oggi, secondo dati delle Nazioni Unite, più di metà della popolazione mondiale vive in aree urbane. Una quota destinata a crescere a dismisura nei prossimi decenni, in cui assisteremo anche a un boom demografico, che dovrebbe portare a 9,7 miliardi entro il 2050 il numero di esseri umani sul globo. In questa corsa folle alla sovrappopolazione saranno soprattutto le fasce tropicali ad essere protagoniste, con l’esplosione di enormi megalopoli in Africa, India e Sudest asiatico. Alcune proiezioni ipotizzano perfino la formazione di uno sconfinato agglomerato urbano tra Abidjan in Costa d’Avorio e Lagos in Nigeria che, nel giro di qualche decennio, potrebbe raggiungere il mezzo miliardo di abitanti.
Come sfamare tanta gente
Tra i tanti problemi che può portare la concentrazione di tante persone in un’area di territorio relativamente limitata, quello di come produrre il cibo è già ora uno tra i più impellenti. Per questo motivo, ormai da qualche decennio, si pensa di produrre in loco, proprio nel cuore delle città, almeno i prodotti vegetali destinati a sfamare le folle urbane. Una delle soluzioni ritenute più promettenti e produttive è il cosiddetto vertical farming o agricoltura verticale. Una tecnica di coltura condotta in serre sviluppate su più piani.
Esempi in tutto il mondo
Il vertical farming ha conosciuto un notevole successo negli ultimi anni, al momento però soprattutto nelle città più ricche del pianeta. New York e Londra sono forse le metropoli pioniere, ma anche a Tokyo si registrano moltissime iniziative, perfino all’interno di aziende private, dedicate ad attività completamente diverse dall’agricoltura, dove gli impiegati sono sollecitati, nelle pause di lavoro, a prendersi cura di colture di vario tipo, dal riso al grano, alla frutta. In cambio godono dei frutti del raccolto, che possono consumare in pausa pranzo, raccogliendo direttamente “dal campo” ciò di cui intendono nutrirsi. Ma volendo possono anche portarsi i prodotti a casa. Principale esempio di questo tipo di organizzazione sono gli uffici di Tokyo di Pasona, azienda attiva nel campo della ricerca di personale.
Iniziative anche in Italia
Al di là del caso Pasona, sono sorti molti gruppi negli ultimi anni che hanno scelto di fare del vertical farming il loro core business. Anche in Italia esistono iniziative di questo tipo, come quella di Planet Farms a Cavenago, non lontano da Milano, che punta soprattutto sulla produzione di basilico fresco da cui produce pesto e di diverse varietà di insalata. A Capriolo, vicino a Brescia, è in fase di realizzazione il Future Farming District, che dovrebbe completarsi ed entrare in produzione entro il 2025 sotto la regia di Zero Farms, un’azienda di Pordenone che sviluppa soluzioni e tecniche per l’agricoltura verticale e ha già aperto un suo “impianto” proprio nella città friulana.
Vantaggi e svantaggi
I vantaggi del vertical farming risiedono nelle tecniche di coltura adottate. In particolare quella idroponica e aeroponica, in cui l’impiego d’acqua è accuratamente centellinato, così come quello di fertilizzanti e pesticidi (praticamente inutili questi ultimi). Anche la quantità di substrato necessaria è minima e ogni singola piantina può essere accuratamente monitorata per indirizzare in modo chirurgico la somministrazione di nutrienti. Tra i problemi, però, spicca la necessità di utilizzare lampade speciali, in grado di emettere radiazioni luminose a precise lunghezze d’onda per modulare non soltanto la quantità di luce ma anche quella di calore necessaria alla crescita delle singole colture. Il tutto si traduce in un elevato consumo di energia elettrica e in bollette sempre più alte negli ultimi tempi, a causa della crisi energetica indotta dall’invasione russa dell’Ucraina.
Difficoltà e correttivi
La difficile situazione che si è venuta a creare nel 2022 per effetto dei costi energetici ha colpito anche il settore del vertical farming. Lo scorso novembre, per esempio, il gruppo tedesco InFarm, che dà lavoro a circa 500 persone, ha annunciato licenziamenti per circa la metà della sua forza lavoro; e li ha giustificati proprio con l’aumento delle bollette e difficoltà sui mercati finanziari.
L’agricoltura verticale, insomma, deve trovare ancora una sua strada davvero sostenibile e a basso consumo. Ma il settore non demorde. Varie soluzioni sono già pronte per essere adottate. Tra queste lampade e led a basso consumo e l’installazione di impianti per produrre energia da fonti rinnovabili, fotovoltaici o eolici, con cui alimentare le strutture.
Un’idea dall’Italia
Un’idea geniale arriva anche dall’Italia. Un’azienda veronese che ha sviluppato un nuovo concetto di magazzini verticali per l’industria, Ono Lean Logistics, ha trovato per i suoi prodotti anche un impiego nell’agricoltura verticale. Sono nate così le serre Ono Exponential Farming, completamente automatizzate, in cui le colture sono collocate su piattaforme mobili che possono essere spostate automaticamente. In questo modo è possibile esporle alle lampade solo per le ore necessarie e poi ruotarle, per lasciare spazio ad alte piante. Una soluzione che può abbattere di oltre il 30% i costi energetici.
Foto di apertura: una risaia nella sede di Tokyo di Pasona, azienda di reclutamento di risorse umane che pratica vertical farming nei suoi uffici
Tag: Vertical farming© Riproduzione riservata - 22/03/2023