Venissa, la prima verticale del bianco veneziano
“Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare, la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti, che cercano in mezzo alla gente l’Europa o l’Oriente…”. Caro Guccini, con tutta la stima nei suoi confronti, si sbaglia. O meglio, non ha scritto questi versi una sera a Burano, quando l’arancio del tramonto dialoga con i rossi, i gialli e blu delle case dei pescatori. È un inno alla vita.
Se poi avesse assaggiato Venissa, il vino di Gastone, da lui raccontato in dialetto stretto sull’isola di Sant’Erasmo, tra note d’inattesa vivacità rurale in laguna… Sarebbe nata un’altra canzone.
Venissa, il bianco dell’isola di Sant’Erasmo
Sì, perché Gastone ha un orto magnifico su questi terreni che de qua son argillosi, de là son sabbiosi e no i va ben! Chi non sente una vena un po’ poetica e forse un pochetto fora del mondo nel racconto di come Gastone fa el vin (“vinificare” è parolone)? Innanzi tutto la Dorona, conferma, è qui da 100 anni almeno.
Poi, lui raccoglie, pigia e segue le lune: «Quando è calante, fermenta lentamente. Quando è crescente corre troppo in fretta!». Portiamo a casa perle di saggezza contadina, che i nostri vecchi hanno sempre seguito, anche per imbottigliarsi il vino in cantina, travasando dalle damigiane.
Natural wine della Venezia nativa
Zero solfiti, ovviamente, anzi, Gastone dichiara: «Nel momento che li devo aggiungere, smetto de far el vin!». Pensare che c’era la Trattoria dei Frati, a Murano, che comprava solo questo vino. La macerazione? Lunga, ma se xe caldo più corta. Due, massimo cinque giorni, e poi si passa tutto in damigiana. Come decide? Annusa le vinacce, se sente odori strani, toglie raspi e bucce. Natural wine, dovremmo dire. Questa è la Venezia nativa. Un mondo da scoprire. A mezz’ora di vaporetto dalle frotte di turisti ai quali, in effetti, Venezia si svende un po’.
Il progetto di Gianluca Bisol
Ed è qui, sull’isolotto di Mazzorbo (un chilometro di perimetro), che Gianluca Bisol ha piantato la sua bandiera, questo vessillo lucente che si chiama Dorona, vitigno autoctono veneziano a bacca bianca. La sola storia della sua riscoperta è un’avventura: qualche pianta vista per caso nel giardino di un’antiquaria al Torcello, le ricerche, la vigna di Gastone e poi un sogno che gira in testa. E che alla fine si realizza, con la lungimiranza dell’imprenditore che guarda al mondo, rispettoso del microcosmo in cui si cala. Dapprima il vigneto, poi il relais, il ristorante e un’osteria a Mazzorbo e, ultimamente, un albergo diffuso nella vicina Burano, collegata da un ponte. Dopo il bianco è arrivato anche il Rosso Venissa, dalle uve raccolte sull’isola di Santa Cristina (privata, proprietà della famiglia Swarovski), uve Merlot, Cabernet Sauvignon e un pizzico di Carménère. Ultimo nato, il suo vino cadetto, che si chiama Venusa, prima annata 2013 (45 euro la bottiglia da 0,70 l contro i 120 euro del Rosso Venissa in bottiglia da mezzo litro).
Venissa 2010-2011-2012-2013-2014
Le note di degustazione sono pubblicate sul numero 5/2017 di Civiltà del bere.
Tag: Bisol, Dorona, Rosso Venissa, Venezia, Venissa, Venusa, verticaleL’articolo è tratto da Civiltà del bere 5/2017. Per continuare a leggere, acquista la rivista sul nostro store (anche in digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com
© Riproduzione riservata - 12/01/2018