Temiamo più tre vizi capitali di una crisi congiunturale

Temiamo più tre vizi capitali di una crisi congiunturale

Superbia, avidità e invidia sono i tre peccati più diffusi nel mondo del vino. La superbia di chi ha posizioni ideologiche estreme, l’avidità di chi opera senza scrupoli ambientali e umani e l’invidia che porta a insinuare scorrettezze e commentare con malignità i successi altrui. Una riflessione.

La maggior parte dei settori si confronta con le due dimensioni classiche degli studi economici: l’offerta (la produzione) e la domanda (il mercato). Sono molte e complicate questioni, quotidianamente analizzate anche da chi si occupa di vino. Ciò su cui desideriamo porre l’attenzione è una terza dimensione, il fiume carsico dell’antropologia vinicola, quegli atteggiamenti umani che rischiano alla lunga di corrodere il tessuto di cui è fatto il nostro mondo, sempre più edonistico e intellettuale, non più meramente alimentare. È una terza dimensione endemica, piuttosto unica, che riguarda le idee, o meglio le ideologie, il senso di appartenenza e le relazioni tra i gruppi sociali. E la distinguiamo dalla sociologia, perché questa si concentra soprattutto sull’analisi delle tendenze di mercato e sulla comprensione dei consumatori per generare quelle personas tanto utili alla pubblicità, per l’estrema sintesi rappresentativa di un cliente “tipo” di un’azienda o di un brand.

Chi è il “tipico” appassionato?

Nel vino, questo è quasi impossibile. Come rappresentereste il “tipico” appassionato? Un quarantenne raffinato in una casa altoborghese, una donna forte e indipendente che al ristorante sceglie per sé e per il compagno, un giovane alternativo con sandali e barba lunga che incanta gli amici con un sermone sulla biodinamica? Inutile esercizio, viene da ridere solo a pensarci. Il vino è interessante perché è estremamente complesso, forse troppo per la sociologia dei consumi

La dimensione antropologica

La terza dimensione, quella antropologica, deriva dall’umana tendenza a scivolare nei peccati capitali, che lo ricordiamo sono: superbia, avidità, ira, invidia, lussuria, gola e accidia. Ci pare, infatti, che alcuni di questi vizi (non tutti, togliamo la lussuria, l’accidia, l’ira che è generica, e naturalmente la gola, che fatichiamo a considerare un peccato) stiano minando le basi della civiltà del bere, creando contrapposizioni assurde, che alla lunga allontaneranno i potenziali appassionati di vino, che in questa bevanda devono vedere valori positivi, riconoscerne la profondità storica e la complessità gustativa, non battaglie di parte, intrighi, ombre.

La superbia

Quindi, guardiamoci soprattutto da superbia, avidità, invidia. Il mondo del vino è particolarmente sensibile a questi “patogeni”, per usare una metafora agronomica.
La superbia è ben evidente in chi prende una posizione ideologica e getta fango su tutto il resto, come il fanatico del vino naturale, che apprezza solo il vigneron tutto sudore e lacrime e non perde occasione di attaccare i “maledetti industriali”. Superbo è anche chi crede solo nel “piccolo e sconosciuto” e, se un’azienda conquista un briciolo di notorietà, ai suoi occhi perde di interesse e di stima. Vedi anche alla voce invidia.

L’avidità

L’avidità è propria di alcuni produttori che esagerano con la chimica e con l’ipocrisia, si professano autentici e adottano invece (oltre che avidi, anche superbi) pratiche deprecabili, fino all’arrivo dei Nas, provocando sfiducia verso la genuinità del vino, uno dei suoi valori fondanti. Peccano di avidità ovviamente anche quegli operatori della grande distribuzione che vessano i produttori onesti gettandoli sotto la soglia della sostenibilità economica, provocando disastri nel tessuto economico.

L’invidia

Il peccato meno comprensibile e più diffuso, ma forse il più italico e subdolo, è quello dell’invidia. Abbiamo visto inaugurare cantine ammirevoli e sentito subito serpeggiare calunnie di ogni genere (come ha fatto? dove ha preso i soldi?); abbiamo visto meritevoli produttori raggiungere importanti traguardi di immagine, accusati dagli invidiosi di saper fare “più marketing, che altro”; chi conquista premi internazionali ovviamente ha pagato. Verrebbe da sorridere, se non che alla lunga questi vizi sfibrano il settore, allontanano gli appassionati. Ecco perché la terza dimensione, quella antropologica è più subdola e temibile di una crisi congiunturale e può anzi preparare il terreno a una seria crisi strutturale.

Foto di apertura: © pro church media – Unsplash

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© Riproduzione riservata - 08/10/2023

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