L’insostenibile leggerezza della sostenibilità (verso un protocollo unico)

L’insostenibile leggerezza della sostenibilità (verso un protocollo unico)

Abbiamo chiuso con soddisfazione l’ultima edizione di VinoVip Cortina. Ormai è un marchio riconosciuto, ma è solo per rispetto e affetto che non ne cambiamo il titolo. In effetti non riflette più con precisione lo spirito dell’iniziativa che intende unire le forze propositive del vino italiano e catalizzare l’interesse di chi ha una visione affine alla nostra. Ovvero di chi ritiene necessario affiancare agli assaggi momenti di approfondimento su temi di spessore, anche delicati, per uscire dal coro e sventare il pericolo della facile demagogia, basata sui luoghi comuni delle contrapposizioni ideologiche: “naturale o artefatto” (aberrante), “pulito o sporco” (peggio ancora), “autoctono o no”, “terroir o brand” ecc.

Vip per autorevolezza, non celebrità

E per farlo, a Cortina, come a Milano o altrove, il nostro obiettivo è quello di attirare l’interesse congiunto di produttori autorevoli, enologi professionali, agronomi sensibili, sommelier colti, ristoratori appassionati, winelover che sappiano andare “oltre” l’edonistica bevuta (pur scarosanta!). Che poi, tra i produttori protagonisti a Cortina vi siano anche alcuni Vip, nel senso di personalità importanti, ne siamo felici, arricchiscono il dibattito, ma si incrociano anche giovani produttori emergenti, custodi di piccole Doc, micro aziende accanto a grandi gruppi. Insomma, se per Vip intendiamo “elitario”, non è l’esclusività di censo o di fama alla quale intendiamo alludere, ma a quella di spessore e autorevolezza. Il motore dell’iniziativa è la voglia di partecipare a un incontro-dibattito lungo due giorni, di scambiarsi opinioni tra professionisti.

Il tema della sostenibilità affrontato dai “big”

Uno dei temi affrontati quest’anno a Cortina è stato quello della sostenibilità. Il seminario, partito con un confronto tra l’enologo Riccardo Cotarella e l’agronomo Pierluigi Donna, e proseguito con numerosi interventi di manager e imprenditori, tra i quali (per citare appunto i “big player”) Albiera Antinori, Miriam Lee Masciarelli, Nadia Zenato, Angelo Maci (presidente di Cantine Due Palme), Luca Rigotti (presidente di Mezzacorona), Giovanni Casati (Genagricola), Christian Scrinzi (Gruppo Italiano Vini). Insomma, persone che gestiscono diversi milioni di bottiglie che viaggiano per il mondo.

Un confronto fra diversi sistemi di certificazione

Se Cotarella ha creato il suo Wrt, Wine Research Team, per applicare un metodo scientifico alla ricerca di soluzioni sostenibili, tecnicamente ed economicamente, e Donna ha riunito attorno al gruppo Sata una trentina di aziende che puntano al “Biopass”, marchio che tutela “biodiversità, paesaggio, ambiente, suolo e società”… gli altri produttori seguono svariati percorsi. È stato presentato, a Cortina, anche Equalitas, standard di certificazione basato sui tre pilasti della sostenibilità ambientale, sociale, economica. Nata sotto gli auspici di Federdoc, la società ingloba nella sua compagine associazioni rappresentative di produttori, e propone una visione omogenea di sostenibilità.

I vantaggi della sostenibilità a protocollo unico

Eppure, le aziende intervenute hanno posto l’accento su approcci distintivi. Tra l’altro vi sono anche reali differenze tra le necessità fitosanitarie (di trattamenti o pratiche agronomiche) tra il Nord e il Sud del Paese. La voce di Albiera Antinori ha sintetizzato bene la preoccupazione sul tema e ha palesato la richiesta di un protocollo unico, auspicando l’affermazione di un simbolo comprensibile dai consumatori, affidabile e foriero di un messaggio positivo oltre i mille distinguo di coloro i quali vogliono dimostrarsi più puri dei puri. Ogni volta che si affronta il tema sostenibilità il rischio è che si crei una nebulosa nella mente, nella tensione tra l’ambizione all’universale e l’affermazione del particolare.

Etica e limiti uguali per tutti

Il concetto è importante, attraente, e confina con la morale: sostenibile, vuol dire anche giusto, rispettoso, sano. Sarebbe come cercare il protocollo per l’amicizia o per la felicità. Forse varrebbe la pena di semplificare il discorso. Lasciamo che ognuno possa rintanarsi in una propria nicchia di iper-sostenibilità, ma esigiamo che una legge nazionale ponga i limiti che non dovremmo più passare, se ambiamo a un certificato di sostenibilità per dimostrare una particolare sensibilità aziendale verso le persone e l’ambiente. Altrimenti resterà un concetto vago, sibillino, una parola affascinante, ma vuota e irritante: l’insostenibile leggerezza della sostenibilità.

L’editoriale di Alessandro Torcoli è su Civiltà del bere 4/2017. Per leggere la rivista acquistala sul nostro store (anche in digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

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© Riproduzione riservata - 12/08/2017

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