Scienze Scienze Riccardo Oldani

Sesso della vite, i geni che lo determinano (e spiegano l’ermafroditismo)

Sesso della vite, i geni che lo determinano (e spiegano l’ermafroditismo)

Le viti selvatiche sono dioiche, con piante maschili e femminili. Quella coltivata è invece ermafrodita. In che modo l’uomo è riuscito a selezionarla? Quali sono i geni in gioco? A dare una risposta definitiva è stato un team di ricercatori dell’Università della California a Davis (UC Davis) coordinato da uno scienziato italiano, Dario Cantù.

Dal punto di vista riproduttivo la vite è sempre stata un affascinante oggetto di studio per i ricercatori. Le circa 70 specie selvatiche del genere Vitis sono infatti tutte dioiche, cioè caratterizzate da piante con fiori maschili e da piante con fiori femminili, distinte tra loro. Una caratteristica rara nel mondo vegetale, ma condivisa da alcune importanti specie agricole e, quindi, molto studiata. Le varietà di vite coltivate, invece, sono ermafrodite, cioè con piante dotate sia di fiori maschili che femminili. A lungo la comunità scientifica si è domandata come sia avvenuto questo passaggio che, di fatto, ha reso possibile la viticoltura. Ora è giunta a una risposta, grazie anche all’evoluzione delle tecniche di indagine genetica che, negli ultimi anni, hanno avuto un notevole progresso.

I due studi sul sesso della vite

Nel volgere di pochi mesi sono stati pubblicati due studi sulla determinazione del sesso nella vite che, seguendo strade indipendenti, forniscono una risposta a come la vite sia diventata ermafrodita. Il primo, descritto da un articolo uscito nel giugno 2020 sulla rivista Nature Communications, è stato condotto, nell’Università della California a Davis, dal gruppo di ricerca di Dario Cantù scienziato italiano e professore ordinario nel Dipartimento di Viticoltura ed Enologia. Il secondo lavoro, invece, pubblicato a settembre sulla rivista scientifica Genome Biology, è opera di un gruppo di studiosi appartenenti in prevalenza a università francesi.


Dario Cantù è professore di Biologia dei Sistemi nel Dipartimento di Viticoltura ed enologia all’Università della California a Davis. Con il suo gruppo di ricerca conduce studi sulle interazioni tra piante e microrganismi, con particolare riferimento alla vite

Una caratteristica rara

Nella competizione, mai dichiarata ma sempre presente tra i gruppi di ricerca, è indubbio che i primi ad arrivare a una risposta siano stati i ricercatori del gruppo di Dario Cantù, scienziato italiano che dal 2005 è in California e che con il suo team di biologi, bioinformatici e genetisti è già approdato a risultati importanti, come il sequenziamento completo del genoma del Cabernet Sauvignon. «Scoprire come la vite sia diventata ermafrodita è un quesito importante per chi fa il nostro lavoro», dice Cantù. «Non tanto per le implicazioni pratiche in viticoltura, ma proprio per capire il ruolo dei geni nel determinare il dioicismo o l’ermafroditismo delle piante». Le specie dioiche, nel regno vegetale, non sono in effetti moltissime, circa il 5-6% delle angiosperme, ma sono molto diffuse filogeneticamente. Il carattere, cioè, è presente in famiglie distanti tra loro, a testimonianza del fatto che si è evoluto in maniera indipendente in molteplici situazioni.

Fertilità maschile e repressione di quella femminile

«Per quanto riguarda la vite», dice Cantù, «le nostre ricerche ci hanno portato a individuare due geni in particolare; uno responsabile della fertilità maschile, l’altro della repressione della fertilità femminile. Questo conferma le ipotesi fatte in passato sull’origine della dioicia nella vite sylvestris e la reversione all’ermafroditismo della vite coltivata», cioè la Vitis vinifera sottospecie vinifera.

Le due mutazioni del sesso della vite

Che cos’è accaduto in sostanza. La vite selvatica è divenuta dioica per effetto di due mutazioni successive e distinte. La prima ha determinato, nel progenitore ermafrodita della vite, la sterilità del fiore maschile, dando vita a una popolazione composta da piante femminili ed ermafrodite. La seconda mutazione, di tipo dominante, ha invece portato alla soppressione della funzione femminile, portando alla comparsa di piante maschili. La combinazione di queste situazioni ha fatto sì che gli individui della specie Vitis possano assumere tre forme: maschi con fiori caratterizzati da pistilli ridotti, in cui non si ha lo sviluppo dello stimma e dello stilo, femmine con fiori in cui antere e stami sono ripiegati e producono polline sterile e, infine, individui ermafroditi, dotati sia di fiori maschili che femminili.

Antica sapienza

«L’intelligenza degli antichi viticoltori», spiega Cantù, «è stata di selezionare piante ermafrodite, capaci di autoimpollinarsi, che in una condizione di vita nomade, come quella in cui si trovavano circa 10.000 anni fa, si rivelavano estremamente pratiche. Infatti consentivano loro di portare le barbatelle con sé nelle loro migrazioni; impiantarle dove si accampavano temporaneamente; attendere il raccolto e poi spostarsi in cerca di nuovi terreni produttivi la stagione successiva».

Al servizio di nuovi incroci

Oggi, avere identificato i geni che sovrintendono ai complessi meccanismi descritti si può rivelare estremamente utile nella realizzazione di nuovi incroci, spiega Cantù, «perché consente con una semplice analisi genetica di individuare ed eliminare subito gli individui non ermafroditi. A tale proposito abbiamo messo a punto due marcatori estremamente semplici da impiegare, già in uso con successo».

Progetti futuri in campo

Ora il progetto di Dario Cantù e del suo laboratorio è di estendere le ricerche ad altre aree del genoma della vite, responsabili dell’espressione di caratteristiche di resistenza alle malattie.
«Un passo fondamentale», a suo giudizio, «per arrivare a una viticoltura più sostenibile e in linea con le richieste dei consumatori». Cesare Intrieri, professore emerito dell’Università di Bologna, uno tra i più importanti studiosi italiani della vite, giudica di estremo interesse studi sul genoma come quelli condotti dal gruppo di Dario Cantù all’Università di California a Davis.
«Sono lavori grazie ai quali cominciamo a capire nel dettaglio l’azione dei geni nell’espressione di particolari caratteristiche come il contenuto di zuccheri o lo sviluppo di aromi. Progredire in questo tipo di ricerca può avere risvolti importantissimi per il futuro della viticoltura».

In apertura: i fiori femminile (a) e maschile (b) della Vitis sylvestris, dioica, e quello ermafrodita di Vitis vinifera vinifera. Da Massonnet, M., Cochetel, N., Minio, A. et al. The genetic basis of sex determination in grapes. Nat Commun 11, 2902 (2020)

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© Riproduzione riservata - 02/02/2021

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