Manodopera scarsa e ricerca di maggior precisione nei trattamenti spingono alla loro adozione in campo. Un progetto dell’Istituto italiano di tecnologia segna lo stato dell’arte. Ma esistono anche altre soluzioni in diversi stadi di sviluppo
Si chiama Frasky ed è il nuovo prototipo di robot mobile e collaborativo sviluppato dall’Istituto italiano di tecnologia (IIT) nel quadro del JOiiNT Lab di Bergamo, struttura di ricerca applicata voluta dall’importante istituto insieme con una quarantina di aziende locali riunite nel consorzio Intellimech. Frasky è pensato per muoversi in autonomia tra i filari, riconoscere e manipolare i grappoli, eseguire trattamenti selettivi e contribuire al monitoraggio digitalizzato della vigna.
Un aiuto per ridurre la fatica
Il cuore del sistema è costituito da una piattaforma mobile a quattro ruote motrici, da un braccio con mano robotica e da una telecamera integrata che mappa l’ambiente, identifica ostacoli e individua con precisione i grappoli. Un ugello consente l’erogazione mirata dei trattamenti. Il software è modulare e si articola in tre blocchi: navigazione, percezione e manipolazione, con interfaccia grafica per l’operatore. I test, dopo le prove in vigneto artificiale, sono stati condotti alla Cantina Le Corne (Grumello del Monte, Bergamo) con esiti positivi su movimento, mappatura e applicazione dei trattamenti.
«L’integrazione di robotica e intelligenza artificiale permetterà modelli sempre più avanzati di agricoltura di precisione», spiega Manuel G. Catalano, ricercatore IIT e coordinatore del JOiiNT Lab, «con un uso più efficiente delle risorse, minore impatto ambientale e un supporto concreto ad agricoltori e aziende, in un contesto di carenza di manodopera e cambiamento climatico».
Si lavora per migliorare le performance
Il team di ricerca sta ora lavorando per ampliare i compiti del robot. «Vogliamo rendere Frasky ancora più flessibile e adattivo ai contesti agricoli, estendendo percezione e manipolazione ad altre attività oltre a quelle già validate, per affiancare i viticoltori nel monitoraggio e nelle mansioni ripetitive e più faticose», aggiunge Francesca Negrello, Technology Manager del JOiiNT Lab. Tra i vantaggi dichiarati: maggiore precisione nei trattamenti, minore dispersione e riduzione dell’esposizione degli operatori a sostanze potenzialmente pericolose.

Un’ondata di automi italiani
Frasky non è l’unico robot per le vigne sviluppato in Italia. Un filone già perseguito da alcuni produttori è quello dei robot mobili in grado di orientarsi nella vigna e di svolgere funzioni pratiche, come trattamenti, potatura, raccolta. Un esempio è RC 3075 di Black Shire (black-shire.com), startup fondata da Roberto Conterno, alla guida della celebre Cantina Giacomo Conterno di Monforte d’Alba, e dall’ingegnere Federico Bona. È un trattore autonomo capace di lavorare effettuando le lavorazioni tipiche della viticoltura, dalla trinciatura ai trattamenti. Nel 2025 ha vinto il Technology Innovation Award di Enovitis in Campo, la manifestazione itinerante che testa in vigna le attrezzature, e ha già dimostrato la sua efficienza non solo tra i filari di Conterno, ma anche in Franciacorta e nell’area di Montalcino.
Robot con funzionalità e compiti specifici
Sul fronte dei trattamenti, la startup Free Green Nature (www.freegreen-nature.it) propone IcaroX4, robot per la difesa con raggi UV-C dai patogeni come oidio e peronospora, con l’obiettivo di ridurre l’uso di fitofarmaci. La stessa azienda ha presentato anche LeonardoX4, rover per lavorazioni in vigneto, dal taglio sottofila alla cimatura. Al capitolo potatura, diversi progetti italiani stanno spingendo su AI e manipolazione delicata: Vinum (con IIT tra i partner) esplora la potatura invernale con visione e bracci intelligenti effettuata da un robot quadrupede (vinum-robot.eu); RAISE punta a un robot autonomo per la stessa operazione, con test condotti da ricercatori dell’Università di Piacenza (www.raiseliguria.it). Qui però si tratta di prototipi ancora da sviluppare a livello di prodotto.

I pionieri d’Oltralpe
All’estero è la Francia a rivestire il ruolo di pioniere nello sviluppo di robot per la vigna, con vari prodotti già in uso. Tra questi, Bakus di Vitibot (vitibot.fr) è un mezzo autonomo mobile, al 100% elettrico, concepito per operazioni interfila in vigneti stretti, come quelli della Champagne. Naïo Technologies (www.naio-technologies.com) propone TED, e più di recente JO per filari stretti: robot cingolati/autonomi con navigazione satellitare ultraprecisa e un ecosistema di attrezzi elettrici o meccanici per la gestione del sottofila. Sono tutti “discendenti” di Wall-Ye (wall-ye.com), robot di potatura nato anni fa in Borgogna, un apripista concettuale che ha reso evidente quanto la manipolazione vegetale in campo richieda una combinazione sofisticata di visione, controllo e sicurezza. Altre idee per la robotica in vigna provengono da molti Paesi mediterranei, Spagna e Slovenia in testa.
Questione di costi e di percezione culturale
Se i robot per la viticoltura iniziano a convincere nello svolgere operazioni ripetitive, l’asticella si alza sulle attività “sensibili” per la qualità del vino, come potatura, diradamento, raccolta selettiva. Qui pesano ancora tre nodi sulle soluzioni disponibili: il costo, con il relativo ritorno dell’investimento, la scalabilità su terreni difficili, pendenze e sesti d’impianto eterogenei, e anche l’accettabilità culturale. La stragrande maggioranza dei viticoltori deve ancora convincersi che i robot migliorino davvero la qualità del prodotto, ancora oggi percepita come frutto della cura personale attuata nei filari.
In questo quadro, Frasky del JOiiNT Lab ambisce ad avviare un nuovo percorso. È un sistema capace non solo di muoversi, ma di vedere, decidere e agire con finezza, limitando esposizione umana e dispersione dei prodotti. Se l’evoluzione da prototipo a prodotto sul mercato avrà successo potrà aprirsi una nuova stagione per queste macchine intelligenti in viticoltura.