Quanto può costare l’età del vino?

Quanto può costare l’età del vino?

Anche le bottiglie stravecchie, ultracentenarie, hanno il loro mercato (d’asta). Pubblichiamo una riflessione di Cesare Pillon sulla ragionevolezza o meno di certe quotazioni da migliaia di euro e sul valore della maturità del vino.

È da 40 anni che scrivo di vino come giornalista ma non mi era mai capitato di appassionarmi al fascino segreto del vino stravecchio. È successo per la prima volta a metà marzo: ho dedicato a bottiglie che hanno superato i 100 anni di età la rubrica con cui mi occupo delle aste enologiche internazionali sul settimanale Milano Finanza. Non l’ho fatto per scelta ma perché, analizzando i prezzi spuntati l’anno scorso dai premier cru di Bordeaux, mi sono reso conto che una grande Casa d’aste americana, la Zachys, ha venduto all’incanto, nel corso del 2020, 36 bottiglie di Château Lafite-Rothschild di 36 grandi vendemmie del 1800.

Quasi 40.000 euro per una bottiglia battuta all’asta

Benché insolito, il fatto in sé non mi ha stupito più di tanto, perché Lafite è famoso non soltanto per la longevità del proprio vino ma anche per aver avuto l’accortezza di conservare in cantina, nel corso di almeno due secoli, un numero di bottiglie sufficiente per monitorare l’evoluzione di ogni annata. Mi hanno invece sorpreso i prezzi pagati per aggiudicarsi quelle venerande bottiglie: il millesimo più a buon mercato, il 1898, è costato all’acquirente 3.483 euro, ma per la vendemmia più antica, il 1803, di euro ce ne son voluti addirittura 39.945, più di dieci volte tanto. Inevitabile chiedersi: chi può averla pagata così cara? Un investitore? Un collezionista?

Prezzi non irragionevoli

È vero, quella bottiglia di Château Lafite-Rothschild 1803 potrebbe essere l’unica ancora esistente al mondo, ma non è irragionevole sborsare poco meno di 40 mila euro per tre quarti di litro d’un vino che ha 218 anni di età? «No, non è irragionevole», mi ha spiegato Angelo Gaja, che ho interpellato perché è il produttore italiano che ha più dimestichezza con le aste internazionali. «Quelle bottiglie vengono bevute e perciò hanno un mercato».

Etichette che emozionano

Gaja lo dice con conoscenza di causa perché gli è capitato di partecipare a degustazioni di vini molto anziani. «E in quelle occasioni», confessa, «mi ha sempre colpito il fatto che sono parecchi gli appassionati, soprattutto del mondo anglosassone, che apprezzano fino a commuoversi profumi e sapori che invece lasciano perplesso me, perché ci sento soltanto la testimonianza di una maturità molto avanzata. Sospettando però che il mio gusto sia condizionato dal terrore che provo come produttore temendo che nei miei vini si avvertano i segni dell’ossidazione, mi son detto con Lucio Battisti: capire tu non puoi / tu chiamale se vuoi / emozioni».

Le mutate esigenze dei consumatori

Se in un primo momento mi era bastato chiarire perché bottiglie così attempate potessero valere tanto, mi era rimasta la curiosità di capire perché le emozioni provocate dai vini centenari possano essere tanto contraddittorie. Ecco perché mi sono rivolto a Gelasio Gaetani Lovatelli d’Aragona, eclettico personaggio dalle mille esperienze. Produttore di Montalcino, scrittore, giornalista, consulente enologico, attualmente organizza le vendite all’incanto dei vini per la Casa d’aste Wannenes. Secondo lui, a generare queste contraddizioni è stata la mutazione epocale iniziata dopo la Seconda guerra mondiale, negli anni ’50 del secolo scorso, quando il vino di pregio è stato costretto ad adeguarsi via via alle esigenze dei consumatori che non erano più disposti a tenerlo qualche anno in cantina perché giungesse a perfetta maturazione, come s’era fatto fino allora.

Quando inizia la vecchiaia di un vino?

Oggi effettivamente (quasi) tutti i grandi rossi hanno tannini setosi e dolci fin da quando vengono posti in vendita, ma questa loro già raggiunta armoniosità ha avuto un effetto imprevisto: ha eliminato in chi li beve ogni interesse per la loro successiva evoluzione, che le caratteristiche del passato invece sollecitavano. Non a caso la convinzione, diffusa un tempo, che l’esistenza del vino ha uno sviluppo simile a quello della vita umana, con una giovinezza, una maturità e una vecchiaia, è oggi insidiata da una tesi che riscuote vasti consensi, secondo la quale il vino raggiunge la sua massima espressione fin da quando è posto in bottiglia e da quel momento in poi comincia la decadenza della sua vecchiaia.

Conflitto “esagerazionale”

Sono in realtà due modi diversi di interpretare un fenomeno inconfutabile, e cioè che anche nel chiuso della bottiglia il vino si trasforma. Ma un conto è pensare che si tratti di una fase vitale durante la quale profumi e sapori si evolvono e un altro è essere convinti che con l’invecchiamento le caratteristiche organolettiche possono soltanto peggiorare. Forse mi sbaglio, ma io ci vedo uno scontro non di generazioni ma di esagerazioni.

Questo articolo fa parte de La Terza Pagina, newsletter a cura di Alessandro Torcoli dedicata alla cultura del vino. Ogni settimana ospita opinioni di uno o più esperti su temi di ampio respiro o d’attualità. L’obiettivo è stimolare il confronto: anche tu puoi prendere parte al dibattito, scrivendoci le tue riflessioni qui+
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© Riproduzione riservata - 16/04/2021

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