Prošek contro Prošek

Prošek contro Prošek

Anticipiamo l’editoriale del numero 4/2021 di Civiltà del bere, in uscita settimana prossima. Affrontiamo un argomento molto discusso in questi giorni, la vicenda Prosecco/Prošek, ma da una prospettiva differente.

Infatti, condividiamo le preoccupazioni di tutelare il made in Italy contro l’Italian Sounding… ma è questo il caso?

Prošek Vs. Prošek

Se i padroni del mondo sono i giganti del web, allora hanno deciso: “Prošek è un vino passito tipico della Croazia”. Lo scopriamo digitando Prošek su Google, il più potente motore di ricerca, che con il suo algoritmo determina l’esistenza di una notizia plasmando la realtà. Google pesca questa definizione partigiana da Wikipedia, altra discussa fonte di sapere. E solo in terza battuta arriva la segnalazione di Prošek come toponimo in sloveno di un quartiere di Trieste. Eccoci finalmente in Italia.

La diatriba tra Italia e Croazia

Ma come? Avevamo consultato la rete per chiarirci le idee sul Prošek e arriviamo in Italia passando dalla Slovenia e dalla Croazia? Perdonateci l’ironia, ma forse è un poco esagerata la querelle italo-croata scatenata dalla richiesta pubblicata il 22 settembre sulla Gazzetta Ue dai nostri vicini per proteggere la menzione tradizionale Prošek, relativa a un vino passito dolce, bianco o rosso, prodotto con uve autoctone quali Rukatac, Vugava, Pošip, Lasina, Babić, Galica, Plavac mali.

La preoccupazione dei produttori del Prosecco

All’apparenza una sfida tra Davide e Golia, da una parte oltre mezzo miliardo di bottiglie di Prosecco e dall’altro il minuscolo Prošek. In sostanza, un caso politico italiano scatenato dalle legittime reazioni preoccupate dei produttori di Prosecco, un macrocosmo che coinvolge tante famiglie nel Nord-Est d’Italia, dove il Prosecco è una gallina dalle uova d’oro. Sono intervenuti nel dibattito commissari, ministri e le associazioni di categoria.

Le ragioni dell’opposizione italiana

Con 12 giorni di anticipo sulla scadenza dei termini, il ministero delle Politiche agricole ha spedito il suo dossier di opposizione. “Ci opponiamo non perché abbiamo paura di quelle mille bottiglie l’anno di Prošek, ma perché temiamo una dinamica che metta in discussione tutte le Dop e Igp Europee”, ha detto il ministro Stefano Patuanelli. Il documento italiano è strutturato in 5 motivazioni di rigetto e 14 pagine di argomentazioni. Un’alzata di scudi contro il Davide croato.

I precedenti citati: Tokaji e Champanillo

In particolare, ci interessano il quarto e il quinto punto delle motivazioni: nel quarto si citano i precedenti della denominazione ungherese Tokaji, “che vide”, ha ricordato Patuanelli “l’Italia soccombere”. Al quinto punto si rammenta la massima protezione assicurata a Dop e Igp dalla sentenza della Corte di Giustizia Ue del 9 settembre 2021 sul caso “Champanillo”.

Due situazioni molto diverse

Né l’uno né l’altro caso, a nostro modesto avviso, sono paragonabili. Il Tokaji ha avuto la meglio per il principio base delle Denominazioni, la supremazia dell’origine, e Tokaji letteralmente significa “di Tokaj”, cittadina ungherese nella cui area si produce da secoli un vino dolce. Il termine Champanillo si riferiva a ristoranti in cui nemmeno si commercializzava Champagne. I francesi, però, si sono rivolti alla Corte di giustizia europea, che si è espressa contro ogni forma di usurpazione, imitazione o evocazione. È prevista (art. 103 del regolamento n.1308/2013) una protezione ad ampio raggio destinata ad estendersi a tutti gli usi che sfruttano la notorietà della Dop.

Un tentativo di sdoganare l’Italian sounding?

Condividiamo la questione di principio: l’Italia teme lo sdoganamento dell’Italian sounding ed è opportuno avvalersi degli strumenti giuridici comunitari per combatterlo, dato che arreca al nostro Paese danni per miliardi. La richiesta dei croati di tutelare una produzione locale “Prosecco sounding” sarà il cavallo di Troia con cui essi si lanceranno alla conquista del mondo, trasformando un raro passito dolce in uno spumante planetario? Può darsi, e se così accadesse una scure si dovrebbe abbattere su questo sleale tentativo.

E se ci fosse una terza via?

Ma forse esiste una terza via, onde evitare sia i rischi commerciali, sia i toni bellicosi usati da qualcuno come se ci volessero occupare Trieste. Ad esempio, ammettendo il riconoscimento di questo vino locale, nella sola versione dolce passito, ottenuto da uve autoctone e limitato alla dizione Prošek? Forse è una visione ingenua, ma a nostro avviso ci troviamo ai confini, anche della ragione.

Il Prosecco non si farà travolgere dal Prošek

Potrebbe anche essere, sempre a nostro modesto parere, un piccolo riconoscimento a quella terra di confine, dove abbiamo trovato nella borgata di Prosecco/Prošek (Trieste) la giustificazione per tutelare un vino che purtroppo si chiamava come l’uva (che solo da allora abbiamo imparato a chiamare Glera) e che in quanto tale rischiava di non poter essere tutelata (come “Chardonnay” per capirci).  Invece, grazie a questa intuizione di ancorarlo al toponimo Prosecco/Prošek ,il nostro spumante ha ottenuto la Dop ed è diventato il più travolgente successo enologico mondiale degli ultimi anni. Crediamo possa resistere alla fionda del piccolo Prošek croato, comunque vadano le cose a Bruxelles. E soprattutto, attenzione: bisognerà correggere Google e Wikipedia. Sono loro a scrivere la verità.

Foto di apertura: © K. Bezzubets – Unsplash

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© Riproduzione riservata - 12/11/2021

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