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Premio Masi 2014: il futuro è degli umanisti?

29 Settembre 2014 Anna Rainoldi
Quella che il Premio Masi diffonde, da 33 anni, è un’idea plurale e multiforme di civiltà. Con un linguaggio diversificato nei mezzi, ma comune negli obiettivi: i valori universali espressi dai “portatori di cultura” sono la base necessaria di confronto con l’altro nella moderna realtà globale. Il messaggio è ancora più evidente in questa edizione 2014: dal canto al giornalismo d’inchiesta, dalla storiografia alla conservazione dei beni culturali, fino all’arte del cinema, i premiati «rappresentano settori molto eterogenei, tutte però afferenti a un modello umanistico di cultura. Oggi l’umanesimo è considerato decadente, superato, e noi abbiamo voluto dare un messaggio controcorrente», ha spiegato Isabella Bossi Fedrigotti, presidente della Fondazione Masi. «La varietà e la vitalità di queste discipline dimostra la ricchezza culturale che continua a caratterizzare il nostro Paese». IMPRESA E CULTURA: IL BINOMIO NECESSARIO - Anche il vino fa parte a pieno diritto degli strumenti di mediazione culturale. Di per se stesso, come punto di contatto fra civiltà diverse che si riconoscono nel medesimo percorso produttivo, e per l’attività di sostegno e valorizzazione del sapere che il vignaiolo-imprenditore spesso decide di intraprendere. «L’intuizione che mi ha portato a istituire il Premio Masi, oltre trent’anni fa, nasceva dalla consapevolezza che impresa e cultura si appartengono e si integrano». Sandro Boscaini, vice presidente della Fondazione e presidente di Masi Agricola, ama spiegare così il suo contributo. E precisa: «Il Premio è stato antesignano nell’affermare il principio, oggi sempre più diffuso, dell’interconnessione tra i due settori: senza cultura non può esserci impresa che resista nel tempo». La botte di Amarone che, come tradizione, i premiati hanno firmato questo 27 settembre alle Cantine Masi di Garganego di Valpolicella, è simbolo concreto di questo fertile binomio. CIVILTÀ DEL VINO - Il palmarès dei vincitori si apre con Andrea Bocelli che, di ritorno dalla tournée australiana, ha preso parte alla premiazione nel corso del talk show serale. Fuoriclasse della lirica, ma anche produttore vinicolo nella natìa Toscana (dove conduce con il fratello Andrea l’azienda agricola di famiglia), il tenore è stato insignito del Premio Internazionale Civiltà del Vino, perché “con la sua autorevolezza di artista, assieme alla passione di produttore e alla gioia di estimatore, contribuisce a dare lustro al vino, diffondendo il messaggio che una bottiglia di vino è di fatto una bottiglia di felicità”. IL GROSSO D'ORO - Quando la cultura percorre le vie del dialogo, lavora per generare solidarietà e progresso civile tra i popoli. Ne è esempio l’attività della giornalista bielorussa Svetlana Alexievich. Il suo è un percorso difficile: censurata e costretta all’esilio fino al 2011, ha raccontato all’occidente il dramma est-europeo nelle sue opere: The voices of Utopia, La guerra non ha volto di donna, L’ultimo testimone, Ragazzi di zinco e Preghiera per Chernobyl. Il Grosso d’Oro Veneziano ne premia “lo straordinario lavoro d’indagine sulla realtà del post-comunismo sovietico, con cui ha dato voce alla gente comune”, oggi argomento di scottante attualità per le tensioni fra Russia e Ucraina. PER LA CIVILTÀ VENETA - Infine il Premio Civiltà Veneta, destinato a chi si è distinto nella tutela del patrimonio artistico e culturale del territorio. Tre le personalità – venete d’origine o di adozione – che l’hanno meritato: lo sceneggiatore Umberto Contarello, una carriera luminosa nel grande cinema italiano (ultimo riconoscimento, l’Oscar con Sorrentino per La Grande Bellezza) che ha saputo raccontare le peculiarità delle Venezie fin dagli esordi con il regista Mazzacurati. L’autorevole storico Mario Isnenghi, “per aver avvicinato generazioni di italiani alla realtà della Grande Guerra, di cui il Triveneto è stato uno dei principali scenari”. E Alberto Passi, presidente dell’Associazione Ville Venete, che con 4 mila e trecento dimore censite (seicento le associate) rappresenta quattro secoli di storia della Serenissima. Che qui lancia un’idea per il futuro: rendere nuovamente operative le Ville, vero tessuto connettivo del territorio, per ridare vigore economico al Veneto.

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