Più che un DJ (Dry January) serve il senso comune

Più che un DJ (Dry January) serve il senso comune

Si può usare il senso comune come vaccino contro gli eccessi?

E già… fosse facile parlare di common sense, il senso comune, quello che il codice civile italiano (a rischio di proteste femministe), definisce “del buon padre di famiglia”. Eppure, un quesito viene in mente leggendo i commenti sugli argomenti di tendenza del 2021 che investono anche il mondo del vino: perché non abbandoniamo discussioni sterili e cerchiamo di capire che “se stiamo insieme ci sarà un perché”? (cit. Cocciante/Mogol)

Vivere senza bussola?

Se Zygmunt Bauman, che ha lasciato questo mondo prima della pandemia, già parlava di società liquida, il Covid-19 e le serrate conseguenti hanno creato così tanta incertezza che navigare in mare aperto senza bussola potrebbe divenire la condizione esistenziale normale di qui a qualche anno. Questa condizione apre le strade più o meno a tutto, lasciando persino prosperare i trolls di QAnon, i quali più che una realtà (purtroppo, lo sono) sembrano il titolo della saga di un redivivo J.R.R. Tolkien.
Ma senza arrivare alle peggiori devianze, molti temi rimbalzati sui media in questi mesi preoccupano per una pericolosa deriva dal senso comune che, sorprendentemente, si accompagna a un’altra temibile minaccia, l’esondazione del politicamente corretto

Siccome sin qui il discorso potrebbe suonare un tantino teorico, passiamo agli esempi e ne abbiamo scelti tre.

#1 Dry January

Cominciamo con quello apparentemente più innocuo: il Dry January (DJ), l’astensione dal bere qualsiasi bevanda alcolica per tutto il mese di gennaio, per depurarsi dai bagordi delle feste natalizie. Ne abbiamo parlato su civiltadelbere.com proprio ieri (leggi qui), e così tante sono le testimonianze – tutte positive – riportate sui media internazionali che verrebbe da pensare che non esista una sola ragione per non abbracciare questa moda (perché di questo si tratta) entusiasticamente.

La nostra opinione

Saremo i soli, o tra i pochissimi, ad alzare una voce contro ma questa idea proprio non ci convince, anzi crediamo sia molto lontana dal nostro modo di vedere il vino e la cultura gastronomica. Molto anglo-americana, se vogliamo. Diciamo che il DJ sta al vino italiano come Halloween sta alla tradizione cattolica. Ce lo terremo per anni, ma non lo sentiremo mai nostro.

Non siamo in America

Continuamente ribadiamo che il vino è un pilastro della civiltà occidentale e nello specifico mediterranea. Fa parte della nostra vita, dal punto di vista culturale e religioso; fa parte della nostra dieta che è riconosciuta a livello mondiale quale ideale e sanissima. Il vino, certo, assunto con moderazione. Se qualcuno lo vede come una sostanza meramente psicotropa, per rilassarsi nel pomeriggio, e la assume per tutto l’anno specialmente fuori pasto (come nelle abitudini di consumo americane), non è un problema nostro. Forse costoro necessitano di un mese di disintossicazione, ma un bevitore abituale sano italiano, perché dovrebbe farlo? A meno di non continuare a voler demonizzare il vino, ma allora l’estrema conseguenza sarà quella di proporre un bando ufficiale, o almeno un alert, per esempio l’apposizione di fotografie orribili o avvisi sugli effetti collaterali dell’abuso scritti con evidenza sulle etichette. E contro il politically correct abbiamo anche il coraggio di affermare: non toglieteci anche il vino!

Il vino fa bene, al corpo e alla mente

È lecito accettare nella nostra quotidianità un momento di pace, di gioia concessa da questa fantastica invenzione. Scusate, abbiamo portato il ragionamento agli estremi, ma preferiamo sposare questa prospettiva: la dieta mediterranea e il vino assunto in quantità moderate fanno bene. E se la stragrande maggioranza dei consumatori di vino dovesse seguire il Dry January, dovremmo anche prevedere un mese di chiusura per le enoteche. Ma tanto, come abbiamo scritto qui, a cosa serve l’enoteca?

#2 La protesta dei ristoratori

Passiamo a un secondo esempio di devianza dal senso comune: la minaccia da parte di alcuni ristoratori di aprire contro la legge per affermare la propria disperazione, protesta che dovrebbe svolgersi proprio oggi. Questa, onestamente, la comprendiamo: migliaia di famiglie senza lavoro, o con aziende in perdita, e milioni di investimenti in fumo. E peggio l’idea che sembra sottesa a ogni DPCM, ovvero che i ristoranti siano i primi covi di Covid, mentre si sono attrezzati sin da subito, rinunciando a parte dei guadagni, al fine di organizzare le proprie attività nella massima sicurezza.

L’eccesso non va mai bene

Eccessi da una parte e dall’altra: muoversi contro la legge in un momento di responsabilità collettiva, quando tutti rinunciano a parte della propria libertà per il bene comune, è folle, un messaggio sovversivo. D’altra parte, chiedere a organizzazioni complesse come i ristoranti (come la scuola, ancor peggio) di aprire e chiudere, chiudere e aprire, senza aiuti certi e tempestivi e senza una prospettiva di medio lungo termine, vuol dire massacrare l’attività (per la scuola, il danno è ancora più grave naturalmente, perché ne va del futuro dei nostri figli, della loro preparazione e della loro salute mentale). Ma chi minaccia l’anti-serrata, ovvero l’alzata delle saracinesche si fa del male da solo, perché i cittadini non capirebbero.

#3 Me Too

Zero senso comune condito da nauseante spruzzata di politicamente corretto è l’eccesso di #MeToo, movimento sorto anche nel mondo del vino. Premesso che la lotta deve continuare e la strada è ancora lunga per il raggiungimento della parità di genere e contro gli abusi sessisti, la strada del selfie di denuncia ha toccato le corde del patetico. Così si indebolisce la portata di molti casi seri denunciati nella ristorazione, anche (e spesso) stellata, come ad esempio ha raccontato la francese Laëtitia Visse in concomitanza con l’uscita del suo ricettario – di cui si parla questa settimana su Internazionale, ripreso da Le Monde Magazin – dal gustosissimo titolo Les couilles. Dix façons de les préparer (I coglioni. Dieci modi per prepararli). Questa sì che è sublime ironia.

Elogio del senso comune

All’estero ha fatto clamore giustamente la denuncia di abusi all’interno della Court of Master Sommeliers (e ne abbiamo abbondantemente scritto qui), che ha portato alla caduta di alcuni loro membri (perdonate la battuta). Ma certe storie viste di recente paiono piuttosto ridicole. Per esempio: paragonare una battuta volgare sibilata all’orecchio in una cucina o peggio una reale pacca sul sedere alle pernacchie di Franco Ziliani, che come noto non risparmia critiche caustiche a nessuno, pare una curiosa maniera di attaccarsi al carrozzone del #MeToo.

Un esempio

Laura Donadoni, influencer italiana di stanza in America e autrice del libro Come il vino ti cambia la vita (Mondadori), forse non sa che lo strale del Franco tiratore è da anni vissuto più come una medaglia al petto che una reale minaccia alla reputazione o addirittura alla propria dignità di donne. Se vogliamo essere onesti, gli insulti di Franco non hanno genere né colore politico (sì quello forse sì, più verso il rosso che verso il nero). Certo, scrive spesso sopra le righe, ed è per questo che irrita i sostenitori del politicamente corretto. Tra parentesi, chi scrive di medaglie-insulto al petto ne ha diverse, anche se in questo periodo regna una curiosa pax romana.

La discriminazione delle donne nel mondo del vino

Anche nel caso del #MeToo del vino servirebbe un poco di senso comune. È palese che le donne partano da un grande svantaggio (ne ha scritto Cesare Pillon proprio settimana scorsa) ed è giusto che ora pretendano di colmarlo. Stanno correndo e oggi assumono ruoli sempre più importanti in tutta la filiera enologica. Da un lato non avranno più motivo di cedere ai soprusi, dall’altro si sentiranno protette da un nuovo comune sentire per cui – qualora capitasse e senza tema di stimma sociale – potranno immediatamente denunciare il minimo abuso.

Se stiamo insieme ci sarà un perché…

Per concludere e giustificare la citazione sanremense (“Se stiamo insieme ci sarà un perché…”), le questioni citate, ovvero astinenza del Dry January, rabbia dei ristoratori e movimento #MeToo hanno un comun denominatore: l’incapacità di convivere pacificamente cercando di valorizzare ciò che ci accomuna senza enfatizzare invece ciò che ci divide. Proviamo a condensare le tematiche come fossimo al cinema (non si può!). Scena I: un uomo e una donna si riparano dal freddo di gennaio in un ristorante italiano di Milano (non si può!). Bevono dallo stesso calice (non si deve!) un rosso (non si può!) che si riflette vermiglio negli occhi chiari di lui. “Ti ho visto entrare. Che bel sedere che hai…”, dice lei a lui (si può?).

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© Riproduzione riservata - 15/01/2021

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