Peronospora, serve un nuovo approccio fatto di prevenzione, reattività e ricerca

Peronospora, serve un nuovo approccio fatto di prevenzione, reattività e ricerca

Aspettare, confidando su abitudini passate, può essere catastrofico. I cambiamenti climatici in atto e la recente ondata di questo fungo devono probabilmente mettere in discussione vecchi paradigmi. Oggi occorrono prontezza e velocità, anche là dove non erano necessarie.

C’è chi fa la conta dei danni, regione per regione, e più passano i giorni più diventa grave, in certi casi drammatica. C’è chi chiama tavoli tecnici e ristori, chi invece maggiore ricerca e sperimentazione, chi ancora più attenzione e soprattutto prevenzione, prima di invocare i soliti, e spesso improbabili, stati di calamità. Su un fatto sono tutti d’accordo: la situazione è davvero critica in molte zone italiane, meno in altre. La peronospora quest’anno si è abbattuta e diffusa, infettando il vigneto nazionale, con una forza e una violenza come probabilmente non si vedeva da moltissimi anni. I risultati? Perdite ingenti, che possono arrivare in alcuni casi anche al 100%.

La peronospora si è diffusa tra maggio e giugno, nel periodo della fioritura

L’effetto scatenante delle piogge di maggio e giugno

Sembra che nessuno sia veramente immune dall’ondata infettiva provocata da questo fungo, che causa una delle malattie della vite tra le più conosciute e temute. Le copiose, e spesso violente e insistenti, piogge di maggio, proseguite fino a metà giugno hanno consentito alla peronospora di diffondersi velocemente, soprattutto nel Centro e Sud Italia, in un periodo molto delicato per la vite quale quello della fioritura.
«Questa malattia fungina entra nella pianta attraverso gli stomi della parte inferiore delle foglie, il cosiddetto secondo foglio, in presenza di acqua», ci spiega Lorenzo Cesconi, vignaiolo trentino e dal 2022 al timone come presidente della Fivi, la Federazione italiana vignaioli indipendenti. «Quando comincia a piovere in modo abbastanza consistente, parliamo di almeno 10 mm di acqua caduta, le spore saltano sulle piante. Qui, in assenza di ostacoli, principalmente il rame, entrano negli stomi e in pochi giorni si sviluppano delle macchie oleaginose sulle foglie». È l’inizio di un processo che porta al disseccamento delle stesse, ma anche dei grappoli nei casi più gravi, soprattutto se si ritardano o si sbagliano i trattamenti.

Un vero e proprio cahiers de doléances

A scorrere i diversi resoconti diramati da enti e associazioni, quello che emerge analizzando soprattutto la situazione nel Centro-sud, e poi in alcune zone del Nord, sembra un vero e proprio bollettino post-bellico. L’Unione Italiana Vini (Uiv), a inizio luglio, ha cominciato a stimare cali generali per la vendemmia 2023 fino al -40%, con punte che sostiene possano arrivare molto più in alto nel caso di vigneti gestiti in biologico.
«Siamo passati repentinamente dal problema degli stock in eccesso a uno scenario di probabile importante riduzione dei volumi di raccolta previsti in diverse regioni», sottolinea in una nota il suo presidente Lamberto Frescobaldi.
Le stime della Fivi non sono migliori ed evidenziano come, soprattutto al Sud, oltre a danni che in alcuni casi possono arrivare anche al 90%, l’aumento della peronospora rispetto alla passata stagione sia stato anche superiore al +100% a causa di un incremento della piovosità che ha sostanzialmente preso tutti di sorpresa.
«La piovosità nel Centro-sud Italia è stata circa del +300% nello stesso periodo. Tutti sono stati presi in contropiede poiché, solitamente, in queste regioni hanno invece il problema dell’oidio, non della peronospora», aggiunge ancora Cesconi.

Le istanze delle associazioni di categoria

Le richieste da parte di enti e associazioni di categoria, vanno dallo stato di calamità ai ristori, passando per la creazione di appositi tavoli tecnici.
«La strada da percorrere è quella di un intervento legislativo con copertura finanziaria, che includa anche una specifica deroga all’esclusione dalle agevolazioni delle categorie di danni (alle produzioni e alle strutture) previste dal sistema dell’assicurazione agevolata, anche laddove le fitopatie non siano previste tra le cause», chiede, ad esempio, Confagricoltura, che invoca anche un aiuto a livello europeo, affinché vengano utilizzati i fondi dell’Ocm-Vino «come compensazione del mancato reddito causato dalle fitopatie».
Le conseguenze delle perdite di uva a causa della peronospora portano, inoltre, a ripercussioni economiche, anche pesanti, per la forza lavoro normalmente impegnata tra i filari. È uno degli allarmi lanciato da molte divisioni territoriali di Coldiretti, a partire dal quella pugliese, che sottolinea come senza uva sia a rischio «il 50% delle giornate degli operai dedicati alla raccolta nei vigneti». Servono, quindi, «misure urgenti» perché, sottolinea ancora Coldiretti, «dal Vigneto Italia nascono opportunità per 1,3 milioni di persone impegnate direttamente in campi, Cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche in attività connesse e di servizio».

peronospora
Tra le regioni più colpite c’è la Basilicata: nel Vulture alcuni vigneti sono rimasti senza un grappolo

Essere ottimisti non paga

«La situazione è in effetti impressionante», ci spiega Leonardo Valenti, docente di Viticoltura dell’Università Statale di Milano e consulente per molte realtà lungo lo Stivale con lo studio agronomico Sata. «Ci sono situazioni veramente problematiche; però un punto da sottolineare è che al Sud probabilmente la peronospora la conoscono poco». Chi ha fatto i trattamenti per tempo, anche nelle regioni meridionali, ha situazioni se non ottimali, almeno buone; chi invece non è neanche riuscito a entrare per trattare, ha perso quasi tutto.
«In Basilicata ci sono vigneti interi sul Vulture senza un grappolo, con attacco sui germogli, aspetto che provocherà problemi durante la potatura il prossimo anno», continua il professore. Fortunatamente, però, c’è anche una situazione di particolare fertilità, che potrebbe secondo Valenti colmare le perdite di chi ha danni da peronospora solo intorno al 10-15%, salvando così la produttività generale.
L’ottimismo, secondo l’esperto, non è stato un buon consigliere. Il super caldo siccitoso dell’anno scorso, ma anche l’andamento stagionale prima di maggio, avevano portato molti, se non tutti, a pensare a un’altra annata dove non era tanto la peronospora il problema, quanto al massimo l’oidio. Così non è stato. In questo momento, chi è stato colpito, può fare ben poco per salvare i danni o addirittura bloccare l’infezione.
«Una volta che la peronospora è dentro le piante non ci puoi fare più nulla», conclude il professor Valenti.

L’abitudine e la poca prevenzione

Se l’ottimismo non serve, ancor meno è utile procedere in modo consuetudinario.
«L’abitudine regna sovrana nel mondo della viticoltura. Chi è abituato a una piovosità sui 90-100 mm in un mese e mezzo, quando diventa di 300 mm non sa più cosa fare», pungola Giovanni Bigot, agronomo, ricercatore e titolare della società Perleuve. Per Bigot sono fondamentali due aspetti; la transitabilità dei terreni e il timing degli interventi fitosanitari. «Mi devo mettere nella condizione di poter sempre entrare nel vigneto. Per far questo devo inerbire in modo ragionato, utilizzando anche il rullaggio, per ottenere una portanza che mi garantisca l’ingresso anche in pendenza». Non bisogna, poi, aspettare, ma agire subito. «Nel Centro-sud Italia le prime piogge ci sono state tra il 16-20 aprile. Tanti non hanno trattato e le infezioni sono cominciate già in quel momento. Se poi ho aspettato anche 15-20 giorni a causa delle condizioni del terreno…».
In Italia ma non solo, c’è pure il grosso problema relativo alle strumentazioni adottate per i trattamenti, a partire da nebulizzatori e atomizzatori, spesso tarati in modo standard.
«Mediamente la superficie della pagina inferiore della foglia che riusciamo a trattare è del 20%; lascio così l’80% scoperto alle infezioni».

Chi lavora in regime biologico non è più svantaggiato di chi opera secondo i principi della viticoltura tradizionale

Trattamenti, non sono tutti uguali

Anche sul fronte trattamenti, secondo Bigot vanno evidenziati vari aspetti, a partire dal rame, che non è tutto uguale.
«Esistono varie forme: l’ossido di rame è il più resistente, il solfato di rame tribasico (TBCS) e l’idrossido di rame meno. Tanti hanno iniziato a trattare con questi ultimi».
Alcuni sostengono che chi lavora in biologico sia più svantaggiato. L’agronomo friulano non è d’accordo. «Quest’anno con una pressione elevata di peronospora si sono evidenziate le criticità delle sostanze attive di origine chimica o di sintesi nei confronti delle popolazioni di resistenza agli stessi. Tutte, anche le più recenti messe in commercio solo quattro anni fa, hanno già sviluppato popolazioni resistenti al patogeno della peronospora, cioè il plasmopara viticola».
Insomma, la questione è molto più complessa di quanto si possa pensare, e coinvolge tanti singoli dettagli che andrebbero monitorati con attenzione.
«Dobbiamo essere pronti, ogni giorno, a saper leggere la situazione contingente. Guardare le medie del clima degli ultimi 30 anni non ha più senso. Nell’ultimo decennio, soprattutto al Nord, primavere piovose ed estati torride sono diventate frequenti: molta pioggia fino a metà giugno e poi innalzamento delle temperature. Bisogna essere più reattivi».

Servono tempestività e ricerca

«Dobbiamo essere professionali e tempestivi, c’è poco da fare», conclude Lorenzo Cesconi, secondo il quale certamente i viticoltori del Nord, in questa situazione, sono stati maggiormente avvantaggiati. «Nel Settentrione la lotta alla peronospora è una prassi, anche se ovviamente in situazioni eccezionali ci sono problemi anche qui. Nelle zone collinari il fungo trova condizioni meno favorevoli per propagarsi, mentre in quelle a fondovalle, più umide, incontra un terreno più fertile. Ma anche in collina basta un’area depressa, dove la pianta si asciuga un’ora dopo, e si vedono danni maggiori».
Secondo il presidente della Fivi, invocare stati di calamità in questi casi non serve. «A noi occorre soprattutto ricerca, per avere mezzi di lotta utilizzabili anche in un quadro di agricoltura biologica. Siamo fermi al rame dalla notte dei tempi. Ovvio che sono necessari i ristori in questi casi, ma nel lungo termine ciò di cui abbiamo bisogno sono i mezzi tecnici e scientifici. Siccità e piogge abbondanti sono ormai la normalità».

Foto di apertura: foglie di vite attaccate dal fungo peronospora

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© Riproduzione riservata - 26/07/2023

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