Originale Rossara d’altri tempi
La Rossara, già citata in documenti dell’Ottocento, era presente in tutto il Trentino, specie nel Campo Rotaliano. Dava vita a un vino semplice e beverino, impiegato come fonte di alimentazione. Come altri autoctoni è stata poi dimenticata per essere riscoperta solo di recente.
«Incuriositi da una ricerca condotta nel Duemila», racconta Roberto Zeni dell’omonima Cantina di San Michele all’Adige, «dove si sono identificati oltre 40 vitigni autoctoni trentini tra cui la Rossara, abbiamo avuto l’impulso di rilanciarla, ragionando su come reinterpretarla in vigna e in cantina».
Il primo esperimento nel 2003
Prosegue Zeni: «Abbiamo conosciuto un contadino proprietario di una parcella abbandonata del vitigno in questione. Era un vigneto dai sesti d’impianto ampi, ma con ceppi vecchi di 70-80 anni. Nel 2003 portammo in cantina 10 quintali di Rossara vinificandola come un Teroldego di pronta beva. Ne nacque un vino delicato, rubino scarico, dagli insoliti sentori speziati. Affinati i protocolli vitienologici, con l’aggiunta di un breve passaggio in legno, e messo a punto un prodotto equilibrato, fummo costretti a restituire la vigna affittata dall’anziano viticoltore».
Meno di un ettaro per Legiare, Rossara in purezza
Gli Zeni optano allora per una selezione massale del vigneto di origine, recuperando 36 diversi soggetti da viti quasi centenarie e impiantandoli nella propria tenuta. «Oggi abbiamo 0,7 ettari allevati a Guyot su suoli ghiaioso-alluvionali, da cui otteniamo 5.000 bottiglie del nostro Legiare, Vigneti delle Dolomiti Rossara Igt. Un vino di pronta beva, con profumi fruttati e selvatici un po’ d’altri tempi, dal sorso delicato, gradevole e nervoso al tempo stesso».
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Tag: Roberto Zeni, Rossara, Trentino-Alto Adige, vitigni autoctoni del Trentino Alto Adige
© Riproduzione riservata - 23/12/2018