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Nomi insoliti (4): le sottozone dagli etimi più bizzarri

31 Gennaio 2023 Roger Sesto
Nomi insoliti (4): le sottozone dagli etimi più bizzarri

Dopo il ragionamento sui vitigni, passiamo in rassegna alcuni cru dai toponimi “irrituali”, ufficializzati dai rispettivi disciplinari, oppure riconosciuti dai progetti di zonazione. Si parte da Piemonte, Lombardia e Veneto.

Il Piemonte è tra le regioni più ricche di nomi di cru particolarmente originali, spesso inclusi nei vari disciplinari, come quello del Barolo e del Barbaresco Docg, o dichiarati in etichetta dai produttori per la loro storicità.

A Rocchetta Tanaro il Bricco dell’Uccellone e della Bigotta

A tal proposito, come non menzionare il Bricco dell’Uccellone e il Bricco della Bigotta di Braida, storico marchio di Rocchetta Tanaro, nel cuore del Monferrato Astigiano. L’Uccellone era il soprannome di una donna che viveva nella collina delle vigne. Il suo naso ricordava il becco di un uccello, in più vestiva sempre di nero: questo le valse il soprannome in paese. Da qui il nome Bricco dell’Uccellone. Da sottolineare che Bricco, in dialetto astigiano, viene attribuito a quelle fasce collinari dal terroir particolarmente favorevole per la viticoltura (e non solo). La Bigotta era la pia donna che abitava di fianco di una delle migliori vigne vitate a Barbera di Braida; una signora che badava alle pratiche e regole esteriori della religione, ma assai meno allo spirito di esse, “spirito” poi aggiunto grazie alla vinificazione delle uve…

Cannubi di Barolo, chi era costui…?

Chi arriva a Barolo, terra dorata dell’enologia piemontese, è immerso completamente nel paesaggio delle vigne. Colline a perdita d’occhio, disegnate nei secoli dalla mano dell’uomo che ha tratto da quei filari il cibo e la cultura. Un vero capolavoro, simile a un quadro, che si è guadagnato il riconoscimento a Patrimonio dell’umanità nel 2014 con la creazione del sito Unesco “Paesaggi vitivinicoli di Langhe e Roero”. In questo territorio, il cui vino a Docg è disciplinato da un rigoroso protocollo, sono presenti numerose “sottozone”, ufficializzate alcuni anni fa, spesso dal nome assai particolare.
Tra le più famose spicca Cannubi, nel Comune di Barolo. La sua prima citazione risale al 1595, dove – negli Annali della Sperimentazione Agraria – era già indicato come un grand cru di Barolo. Nel Dizionario corografico dell’Italia di Amato Amati (1868), l’autore dell’opera menziona il borgo cuneese di Torresina, che in epoca medioevale veniva governato dalla famiglia Cannubi. Nel Dizionario toponomastico della Utet, viene segnalato un paese del lago Maggiore chiamato Cannobio, che si afferma essere una storpiatura del nome proprio Canopus o Canobus, aggettivato come Canobius o Canobeo. Infine, altri autori, fanno riferimento al termine latino connubium, matrimonio, come possibile origine etimologica di Cannubi.

Quando la viticoltura si lega al tartufo e al silenzio

Parlando dei cru ufficializzati dal disciplinare del Barbaresco Docg, proprio a Barbaresco ci si imbatte in un nome particolarmente evocativo: Trifolera. I terreni di questo borgo, assieme a quelli confinanti con Neive, fanno parte della cosiddetta “Marna di Sant’Agata Fossili”, caratterizzata da marne bluastre calcaree. La natura di questi suoli infonde ai vini ricchezza e longevità; mentre quelli di Treiso offrono più struttura e immediatezza e quelli di Neive eleganza e complessità. Il nome di questa sottozona, da “trifola”, che in piemontese significa tartufo, ricorda come in passato questo specifico territorio fosse ricco del pregiato e sempre più raro tubero.
Altro toponimo particolare, anch’esso facente parte di Barbaresco, è Rio Sordo, a 300 metri di altezza; qui il terreno è compatto, con prevalenza di calcare e buona presenza di argilla, per un suolo che contribuisce fortemente alla caratterizzazione del vino, che è di struttura decisa e forte capacità di reggere alle insidie del tempo. L’etimo del cru è probabilmente da far risalire al silenzio che regnava in questo luogo particolarmente defilato; una pace sfruttata dai cacciatori per catturare le loro prede.

I vigneti di Nino Negri nella sottozona Inferno

L’Inferno in un paradiso enoico

Spostandoci in Lombardia, troviamo un nome famoso e iconico: il Valtellina Superiore Docg (sottozona) Inferno. Il suo aerale comprende 55 ettari, che si allungano in una striscia di territorio da ovest ad est. Il cuore storico della sottozona si trova al centro di questo piccolo territorio, ubicato nei comuni di Montagna in Valtellina, Poggiridenti e Tresivio, nell’immediato Nord-Est di Sondrio. Caratterizzato da pendenze estreme e un’esposizione perfettamente a sud, sfruttando al massimo l’irradiamento solare, deve il suo nome per essere caratterizzato da piccoli terrazzamenti situati in anfratti rocciosi dove le temperature estive sono molto elevate.

Da Monte Ovo a Magnavacche, perle nell’area del Soave Classico

A conclusione di questa prima parte, dedicata al settentrione della Penisola, troviamo due nomi particolarmente singolari, identificati fra gli altri grazie a un meticoloso progetto di zonazione riguardante l’area classica del Soave Doc, ossia i comuni di Soave e di Monteforte d’Alpone. Nel primo troviamo un cru chiamato Monte Ovo, esteso su 7 ettari di cui 5 vitati. Si tratta di un piccolo colle proprio a forma ovale molto regolare, da cui il nome. La sua morfologia meriterebbe forse un’ulteriore valorizzazione anche in considerazione della piccola estensione della sua superficie vitata e della sua specifica identità. Fra le sue peculiarità, rientra quella di essere il punto più alto nell’area del Soave Classico, lambendo i 350 metri.
A Monteforte, esteso su 10 ettari di cui 7 vitati, giace a bassa altitudine, su piede di versante, il cru Magnavacche, caratterizzato da un suolo scuro di origine basaltica, che – scendendo a valle – acquista profondità e freschezza; il suo simpatico nome deriva dal fatto che, molto probabilmente, prima dell’avvento della viticoltura specializzata era destinato al pascolo e all’allevamento del bestiame.

Foto di apertura: il vigneto Cannubi di Luciano Sandrone, tra i produttori simbolo della zona, recentemente scomparso

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