Scienze Scienze Jessica Bordoni

Nicola Biasi e i suoi Resistenti. L’obiettivo è “disegnare il futuro del vino”

Nicola Biasi e i suoi Resistenti. L’obiettivo è “disegnare il futuro del vino”

Sei vini piwi alla prova dell’assaggio, incluso il celebre Vin de La Neu. La masterclass milanese ideata da Cristina Mercuri accende i riflettori su una tipologia che in Italia fa ancora discutere. Anche se gli ettari vitati continuano a crescere.

Dei vini piwi abbiamo già avuto modo di parlare in varie occasioni. Torniamo a farlo per raccontarvi l’interessante masterclass “Resistenti: disegnando il futuro del vino” che si è tenuta lo scorso 10 ottobre a Palazzo Bovara, all’interno del palinsesto della Milano Wine Week 2022. Cristina Mercuri, wine expert DipWset e Master of Wine candidate, ci ha condotto alla scoperta del progetto Resistenti Nicola Biasi, una rete nata dall’unione di sei aziende (ben presto diventate otto) con la mission di «produrre vini di eccellenza praticando la vera e reale sostenibilità in vigna e in cantina, così da salvaguardare in maniera concreta l’ambiente», come ha spiegato lo stesso Nicola Biasi.

Folgorato da un Johanniter svizzero

Dietro c’è tutta l’esperienza di quello che è senza dubbio il pioniere dei piwi in Italia. Mezzo trentino e mezzo friulano, dopo una prestigiosa carriera da wine maker presso cantine Cantine del calibro di Jermann, Marchesi Mazzei e Allegrini, una decina di anni fa Nicola Biasi decide di dedicarsi alla consulenza enologica e avvia un progetto tutto suo a Còredo, in Val di Non.
Nel 2012 impianta un piccolo vigneto di un ettaro a quasi 1.000 metri di altezza, sullo sfondo delle Dolomiti. «La verità è che prima c’era un meleto e a me le mele non sono mai piaciute…», scherza. «Quando è arrivato il momento di decidere la varietà, mi sono detto: e ora che ci metto? Non volevo fare qualcosa di scontato, così mi sono lasciato ispirare da un Johanniter svizzero che ho avuto l’occasione di assaggiare in quel periodo. Mi sono informato e ho scoperto di che cosa si trattava…». Il resto è storia, o meglio è la storia del Vin de la Neu, ormai un piccolo grande classico della produzione piwi italiana.

La verità, vi prego, sugli ibridi

«Questa degustazione nasce da una domanda – quali sono i benefici degli ibridi? – emersa durante il mio corso per diventare Master of Wine», spiega Cristina Mercuri. «Va detto che oggi c’è ancora una certa reticenza verso la produzione piwi, soprattutto qui da noi in Italia e, più in generale, nel Vecchio Mondo». È un fatto culturale, di percezione da parte del grande pubblico, ma anche di marketing, che non spinge in questa direzione. A generare diffidenza è lo stesso termine “ibrido”, su cui c’è ancora una certa confusione.
«Tecnicamente è un incrocio tra la Vitis vinifera (europea) e quell’asiatica o americana, che sono immuni ad alcune malattie come la peronospora», spiega Nicola Biasi. «La legge impone che il vino venga prodotto da Vitis vinifera, ma gli incroci sono ammessi e i vitigni che ne nascono non vanno demonizzati. Non si tratta di prodotti Ogm o fatti in laboratorio. L’impollinazione – accuratamente indirizzata –  avviene in campo».

Meno trattamenti, più ettari vitati

Un altro punto che Nicola Biasi tiene a precisare è che questi nuovi vitigni hanno un’altissima intolleranza alle malattie fungine ma non ne sono immuni.
«Qualche trattamento va comunque fatto, ma il numero è esponenzialmente più basso. Questo ci permette di entrare in vigna molte meno volte con il trattore; e quindi di consumare meno gasolio, produrre meno C02 e impattare meno il terreno, a cui si aggiunge un consumo idrico decisamente inferiore». La rete di Nicola Biasi ha calcolato un risparmio di carbon foot print pari al 39%.
Ma quanti sono gli ettari complessivi in Italia? Circa 2.500-3.000 attualmente produttivi, pari a circa 10 milioni di bottiglie. «Negli ultimi 2-3 anni, però, gli impianti si sono moltiplicati quindi le stime sono destinate a salire e non di poco».

Ora bisogna focalizzarsi sulla qualità

Un tema cavalcato dai detrattori dei vini piwi è la minore qualità dei prodotti. «In passato, sicuramente c’era un problema di questo tipo, anche perché l’associazione Piwi International ha spinto molto sul focus vinicolo, e dunque sulla diffusione degli ettari vitati, mentre ci vuole anche un focus enologico. Per fare vini piwi buoni, bisogna piantarli nei posti giusti, non indiscriminatamente, e usare tecniche di coltivazione e vinificazione adatte alle tipologie. Insomma, dobbiamo imparare a gestire meglio il potenziale di queste uve. E così torniamo agli obiettivi per cui è nata la rete Resistenti».

Nicola Biasi

Dalla teoria alla pratica, ecco le note di degustazione dei sei vini in assaggio durante la masterclass.

Poggio Pagnan – Cornera Vino Spumante Metodo Classico 2019

I vigneti sono a Borgo Valbelluna, da terreni franco-limosi allevati a Guyot. Pressatura, prima fermentazione in acciaio, 22 mesi sui lieviti e malolattica svolta. La sboccatura risale a 6-7 mesi fa. È uno spumante da uve Bronner 100%, un ibrido che ha tanti genitori tra cui il Riesling, da cui eredita l’acidità, e il Pinot grigio, che gli dona ampiezza.
Bouquet intenso di melone, cedro, pan brioche. In bocca ha un’acidità vibrante, parte  slanciato ma poi si allarga, si fa più concentrato, pur mantenendo una bella freschezza. Finale ritmato e fruttato.

Alba Fiorita  – M’ama, Igt Venezia Giulia 2021

La Cantina si trova a Latisana, vicino a Lignano Sabbiadoro, una zona calda e sabbiosa. Le uve di riferimento sono il Sauvignon Kretos (50%) e Soreli (50%) che restano ad affinare circa 8 mesi sulle fecce fini in vasche d’acciaio.
Bouquet immediato e avvolgente che spazia dalle note esotiche di lemon grass e passion fruit, a sentori di mela verde ed erbe aromatiche. Al palato il frutto è ancora giovane e croccante. La nota crispy permane in un’acidità rinfrescante, minerale, con un palato voluminoso e disinvolto.

Colle Regina –  Forte, Colli Trevigiani Doc 2020

La Cantina si trova a Farra di Soligo, tra le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. Le titolari Marianna Zago e Ornella Martinotto, hanno deciso di espiantare tutta la Glera di pianura (rinunciando ad un’entrata facile) in favore dei vitigni resistenti. Affinamento sulle fecce per 8 mesi con frequenti remuage in cemento vetrificato.
È un bianco da uve Solaris, una varietà che marca molto il territorio. Il profilo aromatico si fa più dolce, con note di pesca, petalo di rosa, mango ed erbe di campo. È evidente il richiamo al Moscato, genitore del Solaris, a cui si aggiunge una mineralità di pietra focaia. La nota aromatica si sente ma è tutt’altro che sfacciata. Agilità di beva e freschezza contraddicono il sorso.

Renitens – Vino bianco 2021

Le uve sono raccolte nei sei diversi territori delle aziende che compongono la rete Resistenti, tra Veneto, Friuli e Trentino. Vinificazioni separate nelle singole Cantine poi assemblaggio da parte di Nicola Biasi che, vendemmia dopo vendemmia, sceglie la migliore combinazione volta a costituire il biglietto da visita del gruppo. Nel caso dell’annata 2021, il 30% della massa fa un passaggio in legno. Solo 1200 bottiglie sul mercato da fine ottobre.
È un bianco complesso, dal naso discreto e armonico. Fruttato netto e preciso, note verdi, tropicali. In bocca una nota savory, eleganza cremosa e acidità che dona slancio alla beva. Già godibile adesso, ha un nerbo scalpitante e darà un piacere riassaggiarlo fra 3-4 anni almeno.

Ca’ da Roman – Masnada Ezzelina, Rosso Igt Veneto 2020  

L’azienda si trova ai piedi del Monte Grappa, su terreni ricchi e clima tradizionalmente caldo ma con forti escursioni termiche. La tenuta si estende per 18 ettari, di cui 7 coltivati esclusivamente con vitigni piwi e il resto a uliveti, frutteti, orti, seminativi. È la più grande realtà europea che ha deciso di impiantare solo uve resistenti.
Blend di Regent 70% e Cabernet Eitos 30% che affinano in barrique di rovere francese per 12 mesi, dove il secondo svolge anche la malolattica. Colore rosso rubino tenue, è un vino basato più sulla finezza che sulla potenza. Il profilo olfattivo sta nel mezzo tra quello tipico del Cabernet Sauvignon e del Pinot nero. Ricordi di frutta rossa e nera come mora e prugna a cui si aggiunge una parte verde di sottobosco ed erbe aromatiche. Il tannino è ancora giovane ma non stringente. Elegante, sfumato, di media struttura, ha un buon potenziale e fra qualche anno darà il meglio di sé.

Vin de la Neu, Igt Vigneti delle Dolomiti 2019

Siamo a Còredo, in Val di Non a 832 metri sul livello del mare. I terreni di dolomia sono allevati ad alberello. La densità è di 16.600 viti/ha e la resa si aggira intorno ai 50 hl/ha. Pressatura soffice e chiarifica statica in vasche di cemento non vetrificato. Fermentazione in barrique di rovere francese a 16 °C per 20 giorni con svolgimento della malolattica. Poi 11 mesi in barrique di rovere francese e 14 mesi di affinamento in bottiglia. Nel 2019 sono state prodotte 941 bottiglie e 30 magnum.
Da Johanniter in purezza, ha un colore brilante giallo limone con riflessi tendenti al verde. Il bouquet è raffinato e polifonico, con sentori di agrumi, fieno tagliato, fiori bianchi, mela gialla, cera d’api e una leggera nota di caramello. Richiama i sentori di un Puligny-Montrachet. Al palato spicca l’acidità, che è elevata ma non fastidiosa, garantendo dinamicità e agilità di beva. La ricchezza olfattiva si ritrova in bocca, con una sapidità e un lungo finale piacevolmente minerale. È un vino fatto per durare nel tempo e ha fatto da apripista, dimostrando che anche con i piwi è possibile raggiungere certi obiettivi di qualità.


Nota finale sui prezzi

Il Vin de la Neu si aggira sui 100 euro in enoteca, mentre gli altri si trovano sulla scaffale a circa 20 euro sullo scaffale, ad eccezione del Renitens che costa circa a 30 euro. «Una fascia di prezzo che dice: guardate, stiamo lavorando per fare le cose bene», conclude Nicola Biasi.

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© Riproduzione riservata - 03/11/2022

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