Nebbiolo Prima (1): Barolo 2019 da tradizione e Barbaresco 2020 identitari
Presentate le nuove vendemmie del re e del principe delle Langhe. Un evento ricco e impegnativo che permette di conoscere il territorio a 360 gradi.
Se si vuole vivere un’esperienza di full immersion nel mondo del Nebbiolo, l’areale più raccomandato, e parimenti più vocato d’Italia, è quello delle Langhe. E l’evento da non perdere è Nebbiolo Prima. L’Anteprima delle nuove annate di Barolo (2019, Riserva 2017), Barbaresco (2020, Riserva 2018) e Roero Docg (2020, Riserva 2019) si tiene ogni anno, dal 1996, a fine gennaio ad Alba (Cuneo) ed è organizzata dal Consorzio Albeisa, che riunisce 301 soci che utilizzano l’omonima antica bottiglia progettata per questi grandi vini.
Oltre 4 giorni di appuntamenti
La manifestazione è riservata alla stampa specializzata e prevede una non-stop di 4 giorni e mezzo ricchi di impegni e opportunità. Durante le sessioni di degustazione della mattina sono stati degustati 313 vini da 178 aziende. Nel pomeriggio erano organizzate visite in cantina (due o tre al giorno) con successivo walk-around tasting tra banchetti allestiti, di volta in volta, per 10-15 produttori, che presentavano due etichette ciascuno. La sera si cenava nei ristoranti di Alba al tavolo con 3-4 produttori, e con i loro vini, «per incontri più informali in stile Borgogna», come ha sottolineato Marina Marcarino, presidente di Albeisa e produttrice di Barbaresco con Punset a Neive, «per un evento pensato come altamente professionale, che sappia raccontare al meglio il nostro straordinario patrimonio vinicolo».
Non è mancato anche un excursus “oltre il Nebbiolo”, con la presentazione di cinque vini da vitigni antichi a rischio estinzione a cura dei ricercatori del Cnr-Ipsp e dell’Università di Torino.
Nel complesso, quindi, un’esperienza molto densa che, se non siete ben equipaggiati con un Dna da consumato assaggiatore, un termos da 2 litri di acqua calda per alleviare l’effetto-tannino e una buona dose di antiacidi a portata di mano, forse non fa per voi. Non è mancato, infatti, qualche segnale di cedimento anche tra le fila dei colleghi giornalisti più rodati.
L’andamento del 2019
Tornando ai vini e alle annate in anteprima, la 2019 è considerata più tradizionale, con una produzione di 107.719 hl da 2.184 ettari. Un inverno secco, ma una primavera piovosa hanno garantito le riserve idriche. Una grandinata di inizio settembre ha causato danni solo in una zona limitata intorno ad Alba, preservando invece il grosso dell’areale di Barolo e Barbaresco. Nonostante il lieve calo produttivo – che però per alcuni produttori è stato anche del -30% – la qualità delle uve Nebbiolo è stata alta, il che ha garantito vini di struttura, atti all’invecchiamento.
Barolo da molto buoni a eccellenti
E questa è stata anche la nostra impressione dei Barolo assaggiati. In generale una qualità più che buona, con alcune punte d’eccellenza nelle menzioni Bussia, Castelletto (Monforte d’Alba), Monvigliero (Verduno), Capalot, Cerequio, Brunate, Rocche dell’Annunziata, Torriglione (La Morra), Cerretta, Parrafada (Serralunga d’Alba), Sarmassa (Barolo), Villero (Castiglione Falletto), ecc.; tannini a volte molto evidenti, che sul lungo periodo sapranno evolversi e dare il meglio di sé tra 10 anni e oltre.
La 2017, un’annata calda e anticipata, era presente con sole 20 Riserve su 208 Barolo; il segnale che questa vendemmia è stata giudicata anche dai produttori meno adatta all’invecchiamento.
2020, annata e vini variabili
Più altalenante la 2020, contrassegnata da un inverno con scarse precipitazioni, una seconda metà della primavera fin troppo piovosa col rischio di malattie fungine. Un’estate asciutta e più calda del 2019, con buona dotazione idrica del suolo, aveva fatto presagire una vendemmia precoce. Ma le notti fredde di settembre hanno garantito una buona escursione termica, per tannini e antociani di ottima qualità. Il risultato sono vini che forse necessiteranno di tempi di evoluzione maggiori, ma di ottima qualità.
Roero “graffianti”, Barbaresco più freschi
Questo è vero per i Roero rossi 2020, che sono una goccia di 269 ettari e 4.684 hl rispetto al “mare” dei Barolo e che si sono dimostrati ancora molto ruspanti e “graffianti”, ma suscettibili di miglioramento per vini provenienti dalla riva sinistra del Tanaro, tra la pianura di Carmagnola e le basse colline dell’Astigiano, la cui indole in genere è fragrante, profumata e generosa di sensazioni, a partire da un bel colore rubino intenso. Di quest’annata altalenante hanno risentito meno i Barbaresco 2020 (783 ettari e 38.476 hl), che hanno evidenziato grande freschezza gustolfattiva e ottima struttura, in un contesto di 67 campioni di produttori che puntano sempre più a valorizzare le differenze di espressione delle diverse menzioni geografiche (Cavanna, Rabajà, Albesani, Cottà, Gallina, Starderi, Martinenga, ecc).
Non meno convincenti le Riserve 2018, annata giudicata classica, tanto che alcuni produttori scelgono di concentrare la loro produzione solo su quelle. Lo stesso non si può dire invece delle Riserve di Roero, un po’ penalizzate dall’uso di legni importanti, che si protrae da disciplinare per minimo 20 mesi.
I grandi assenti
Un’ultima annotazione riguarda l’assenza di alcuni “grandi nomi” del territorio. Solo per fare un paio di esempi, citiamo Gaja per il Barbaresco e Giacomo Conterno per il Barolo. Qualche ipotesi per spiegarlo: Angelo Gaja, per esempio, presenterà i suoi Barbaresco in anteprima a maggio e la fine di gennaio è davvero troppo presto per proporli in assaggio. Ma forse c’è anche chi ritiene di non aver necessità della vetrina offerta da Nebbiolo Prima perché gode già di una meritata fama internazionale.
Foto di apertura: Nebbiolo Prima è organizzato dal Consorzio Albeisa, che riunisce 301 soci © M. De Vita
Tag: Barbaresco, Nebbiolo Prima, Roero© Riproduzione riservata - 13/02/2023