Migrazioni e identità del vino italiano

Migrazioni e identità del vino italiano

Vi sono momenti in cui i fili di un discorso, magari lungo e intricato, sciolgono i nodi e si dipanano davanti agli occhi con lapalissiana evidenza. A Forte dei Marmi, nelle tre ore del convegno organizzato dalla nostra testata nell’ambito di VinoVip 2018 sulle complicate relazioni tra vino ed economia, un tema costante citato dagli illustri relatori riguardava la necessità per l’enologia italiana di approfittare del favore di cui gode nella considerazione internazionale, per puntare a una nuova dimensione di valore, alzando quello medio del prodotto tricolore.

Il ruolo cruciale del marketing (e delle migrazioni)

Lo strumento con cui si può tentare la riscossa è vecchio come il mondo del commercio, anche se da un trentennio ha preso il nome inglese di marketing, semplice vocabolo che significa “piazzare sul mercato”, mercato globale. Sono le piazze del mondo, che oggi apprezzano, e che potrebbero apprezzare maggiormente, il prodotto italiano. I nostri migranti, dalla metà dell’Ottocento, per non andare nell’antichità, hanno portato con sé non solo la cultura, ma anche la coltura della vite e ne beneficiamo ancora oggi: le cucine degli italiani, amate da molti, hanno sostenuto il primato del nostro vino; i vitigni italici stanno conquistando milioni di persone.

I danni delle mode improvvisate

Purtroppo, il marketing più basico, quello che spinge le imprese ad accontentare rapidamente i consumatori nelle loro richieste del momento, ha portato tanti a seguire mode abilmente create da altri (e per noi gli altri, quando parliamo di vino, sono i francesi) snaturando talvolta l’essenza delle nostre produzioni per assecondare il gusto dominante. Ora però qualcosa sta cambiando e pare che una nuova stagione di italianità sia alle porte.

Il vento soffia a nostro favore

In particolare, se fosse vero che nella sociologia dei consumi le élite aprono la strada (o anticipano) i desiderata della massa, nel volgere di qualche anno i nostri vitigni e i vini tipici italiani potrebbero non avere rivali. Infatti già oggi la critica internazionale, i divulgatori e i sommelier più influenti cercano soddisfazione nella varietà e nella tipicità dei nostri vini. È quindi il momento ideale per ritrovare l’identità, quella che alcuni vini tipici hanno rischiato di perdere nella rincorsa del prezzo basso (che ha svilito la qualità) oppure nell’imitazione di modelli altrui. Se necessario, è anche il momento giusto per indicare nuove strade per rendere ancor più riconoscibili, ai più raffinati palati del mondo, i nostri vini che talvolta fatichiamo persino noi italiani a individuare in assaggi alla cieca.

Il nostro messaggio: WOW!

Non è certo un processo semplice né rapido, ma tanto per cominciare lanciamo anche nel nostro piccolo un messaggio, proponendo un concorso enologico (WOW) che si basa proprio sul concetto che, per alzare il valore del vino italiano, dovremmo rendere più stretto il legame tra la qualità intrinseca del prodotto (oggi più semplice da ottenere quasi ovunque, grazie ai progressi delle tecniche viticole ed enologiche) e la tipicità, ovvero l’identità e la riconoscibilità di un vino che proviene da una determinata regione o denominazione d’origine.

Gli autoctoni italiani nel mondo

Cabernet, Merlot, Sauvignon e compagnia hanno avuto vita facile anche grazie alle proprie caratteristiche distintive di vitigni, per altro facilmente adattabili a diversi territori e sufficientemente sensibili da sapersi esprimere con discreta variabilità in diverse zone viticole. I nostri Trebbiano, Sangiovese o Montepulciano sono meno immediatamente riconoscibili, ma sanno parlare chiaro quando sono prodotti con rispetto, cura e sensibilità nelle loro aree più tradizionali. E per di più, quando cercano di riprodurli all’estero, si dimostrano poco duttili e generano vini molto diversi dagli originali.

Possedere un prodotto di successo e per di più inimitabile è il sogno di ogni imprenditore. È arrivato quindi il momento di sognare e di tirar fuori tutto il carattere che i nostri vitigni nelle loro piccole agguerrite patrie (siamo anche il Paese dei Comuni e delle contrade) possono esprimere.

L’editoriale è pubblicato su Civiltà del bere 4/2018. Per leggere la rivista acquistala sul nostro store (anche in digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

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© Riproduzione riservata - 06/08/2018

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