Perché Masseto non vuole la Doc
Stando all’ultima versione del disciplinare, anche il celebre Supertuscan (100% Merlot) potrebbe fregiarsi della denominazione Bolgheri. Perché Masseto non vuole la Doc? La questione è ben più ampia.
Chi segue questa rubrica sa che non è (quasi) mai scritta in prima persona. Lo è questa volta perché intendo rispondere alle mail di garbata polemica con l’articolo intitolato “L’ambigua piramide della qualità”, pubblicato su Civiltà del bere luglio-agosto (e qui), che due lettori molto particolari mi hanno fatto pervenire.
La risposta di Riccardo Binda, direttore del Bolgheri Doc
Il primo a scrivermi è stato Riccardo Binda, direttore del Consorzio per la tutela dei vini Bolgheri Doc. Mi ha inviato una precisazione relativa all’esempio che ho fatto per documentare la scarsa validità della graduatoria qualitativa delle denominazioni d’origine. “Uno dei vini italiani a cui il mercato riconosce i prezzi più alti, il Masseto”, ho scritto, “non può fregiarsi della sigla ufficiale di massimo prestigio, la Docg, deve accontentarsi d’essere un vino a Igt, lo scalino più basso nella scala ufficiale del valore”. Binda mi ricorda che dal dicembre 2011 il Masseto potrebbe fregiarsi della Doc Bolgheri grazie all’ultima modifica di disciplinare. Perciò se “oggi esce come Igt è esclusivamente per una legittima e personale scelta dall’azienda produttrice, non per una carenza del sistema”.
L’opinione di Angelo Gaja
È vero, ho sbagliato a scrivere che il Masseto “deve” accontentarsi dell’Igt: questa declassazione l’ha scelta deliberatamente. Ma perché l’ha fatto? “Ci sarà pure una ragione”, sottolinea maliziosamente Angelo Gaja, il secondo personaggio che mi ha scritto. L’ipotesi ch’è venuta in mente a me, e cioè che il Masseto rifiuti la Doc perché merita la Docg, a Gaja non passerebbe neanche per l’anticamera del cervello perché lui la pensa diversamente da me, sulla classificazione dei vini. Abbinare il nome del vitigno alla denominazione geografica, per esempio, che a me, convinto come sono che il vino debba essere identificato attraverso la vigna da cui nasce, sembra una deplorevole ambiguità delle Doc e delle Igt, secondo lui è invece un buon sistema: “Consente all’Italia del vino di tenere il piede in due scarpe, non nuoce al consumatore e dal punto di vista commerciale è assolutamente vantaggioso”.
Tutto sta nel vino proposto dal produttore
Gaja ritiene infatti che per i vini italiani sarebbe meglio adottare il nome varietale anziché quello geografico. “È vero”, ammette, “che il nome varietale non può essere protetto con l’efficacia delle indicazioni geografiche. Se però il produttore è capace di proporre un vino originale e lo sostiene con un’azione di marketing propria e incisiva, cosa mai dovrebbe temere?”. Non ritiene positiva la protezione fornita dalla denominazione geografica perché ad avvantaggiarsene, secondo lui, sono i “produttori di grandi volumi, di vini facilmente riproducibili altrove, che intendono costruirsi una situazione di monopolio sottraendosi così ad un confronto che invece sarebbe doveroso per il produttore e vantaggioso per il consumatore”.
Essere copiati non è poi così male se ci rende famosi
Perché poi preoccuparsi, come ho fatto io, se succede che, quando un vino italiano con il nome del vitigno ha successo, è inevitabile che qualcuno all’estero lo scopiazzi? “Per le centinaia di varietà italiane che danno origine a vini spesso prodotti in quantità modeste, l’ipotetico danno della mancata protezione non lo vedo proprio”, sostiene. Secondo lui, anzi, magari ce ne fossero di produttori esteri interessati a chiamare i loro vini con i nomi dei vitigni italiani: li farebbero conoscere al mondo. Poiché nessuno può illudersi di avere la verità in tasca, mi è sembrato giusto che i lettori, dopo aver appreso nel numero scorso come la penso io, conoscessero anche le ragioni di chi è di diverso parere come Gaja.
Ma perché Masseto non vuole la Doc?
Mi è sembrata però necessaria anche una verifica. Qual è il vero motivo per cui il Masseto continua a proporsi come vino a Igt pur avendo diritto alla Doc Bolgheri? L’ho chiesto a Giovanni Geddes da Filicaja, amministratore delegato delle aziende vitivinicole controllate dalla famiglia Frescobaldi. «Noi crediamo nelle potenzialità di questa Doc», mi ha spiegato. «Tant’è vero che il nostro primo vino di questo territorio, l’Ornellaia, è un Bolgheri Superiore. Ma il Masseto, essendo un Merlot in purezza, è nato come Igt, perché allora non poteva fare altrimenti. Abbiamo deciso che restasse tale per continuare a mettere in evidenza la sua diversità rispetto all’Ornellaia. Tenere ben distinti questi due vini, negli ultimi 20 anni, è stato l’unico modo per far crescere il successo di entrambi evitando che entrassero in conflitto d’interesse e si danneggiassero a vicenda».
Ma se le cose stanno così, sbaglio a ritenere che le denominazioni d’origine abbiano urgente bisogno di una revisione?
Tag: Angelo Gaja, Bolgheri Doc, denominazioni d'origine, luoghi non comuni, piramide della qualità, Riccardo BindaQuesto articolo è tratto da Civiltà del bere 5/2019. Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com
© Riproduzione riservata - 13/11/2019